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Quesito
Caro Padre Angelo,
Innanzitutto la ringrazio molto per il bel progetto che porta avanti. Volevo chiederle qual è l’importanza dell’esperienza di vita Cristiana per arrivare a concepire nella nostra mente i Misteri della fede. Quello che vorrei capire è in che modo la ragione è influenzata dalle esperienze di vita che facciamo e se solo attraverso di esse si può arrivare a comprendere razionalmente l’Incarnazione del Verbo o la Trinità di Dio o quantomeno a concepirle senza poterne dimostrare la ragionevolezza.
Da qui volevo farle una seconda domanda meno teologica e più storica: ferma restando l’assoluta Verità della fede Cristiana che deriva dalla Rivelazione contenuta nelle Sacre Scritture, in che rapporto essa si pone con i culti misterici del mondo antico dal punto di vista dell’approccio al divino? Poiché anche gli antichi sapevano che alcune realtà che trascendono quella quotidiana umana si possono conoscere solo attraverso l’esperienza (quella delle iniziazioni ai misteri in particolare), con la quale il divino si può intuire, pur rimanendo ineffabile, si può dire in un certo senso che il cristianesimo ha alla base questo stesso tipo di approccio, per il quale si può accedere alla piena comprensione di quello che ci ha rivelato Gesù solo conducendo la nostra vita secondo i Suoi insegnamenti e in preghiera per poter accogliere il dono della Grazia illuminante?
Mi rendo conto che si tratta di una domanda molto complessa, ma le sarei veramente grato se riuscisse a risolvere questo mio dubbio.
Grazie e che Dio la benedica.
Antonio
Risposta del sacerdote
Caro Antonio,
1. per la prima domanda la risposta ce la dà il Signore ed è la più chiara possibile: “La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce” (Gv 3,19-21).
2. Commentando l’affermazione di Gesù “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” (Mt 5,8) San Tommaso scrive: “Chi è puro, custodisce Dio dentro di sé come in un Tempio.
La purezza dai cattivi pensieri fa sì che gli uomini vedano Dio da contemplare nel tempio del proprio corpo.
Niente infatti impedisce la spirituale contemplazione come l’immondezza della carne” (Commento a Matteo 5,8).
Nessuna cosa dispone meglio alla conoscenza della verità quanto la purezza dell’anima e della mente.
3. Ugualmente S. Alberto Magno dice che “l’anima che non ha mai ubbidito alle voluttà carnali possiede per ciò stesso un’intelligenza più pura e meglio disposta alle cose celesti” (Cfr. v. bernadot, L’ordine dei frati Predicatori, 3,4).
4. Il Catechismo della Chiesa Cattolica nota che “c’è un legame tra la purezza del cuore, del corpo e della fede” (CCC 2518).
E cita S. Agostino: “I fedeli devono credere agli articoli del Simbolo affinché, credendo, obbediscano a Dio; obbedendo, vivano onestamente; vivendo onestamente, purifichino il loro cuore, e purificando il loro cuore, comprendano quanto credono” (s. agostino, De fide et symbolo, 10,25).
5. Per la seconda domanda credo che si debba procedere con molta cautela.
Perché per i pagani l’iniziazione consisteva molto spesso in turpitudini varie.
E il culto agli idoli, come afferma San Paolo, coincideva con il culto ai demoni (cfr. 1 Cor 10,20).
Per noi quest’espressione sembra esagerata.
Per Sant’Agostino, che aveva partecipato a quelle iniziazioni, no.
Anzi, era l’affermazione più vera.
6. Ecco qualche sua testimonianza.
Sant’Agostino intitola il capitolo 4 del 2 libro del De Civitate Dei con le seguenti parole: “Gli idolatri non hanno mai ricevuto dai loro dei alcun precetto di moralità, anzi nei loro riti commisero turpitudini di ogni sorta.
Nel prosieguo, dopo aver notato che nei templi degli dei non risuonò mai l’incitamento alla castità mentre sarebbe stato dovere degli dei “ammonire e riprendere i peccatori per mezzo del loro sacerdoti, minacciare castighi ai trasgressori e promettere il
premio ai giusti, scrive: “Anche noi, nella nostra adolescenza, abbiamo assistito qualche volta a questi spettacoli, a queste parate sacrileghe; anche noi partecipavamo a quelle danze, ascoltavamo quei concerti e ci dilettavamo dei giuochi disonesti celebrati in onore degli dei e delle dee, della vergine
Celeste e di Berecinzia, madre di tutti gli dei.
Davanti alla lettiga di questa venivano cantati da impudichi giullari, nel giorno della festa del suo lavacro, certe cose che non conviene cantare, non dico, dinnanzi alla madre degli dei, ma neppure davanti alla madre di qualsiasi uomo onesto, anzi neppure davanti alla madre degli stessi giullari.
La verecondia umana sente un non so che verso i genitori, che neppure la nequizia può cancellare. Onde quei detti e quei fatti osceni che venivano cantati pubblicamente davanti alla madre degli déi, alla presenza di una grande moltitudine di uomini e di donne, gli stessi giullari si sarebbero vergognati di cantarli, facendo le prove, davanti alle loro madri”.
6. Ugualmente intitola il cap. 26 del medesimo libro: “I demoni davano ammonimenti segreti riguardanti i buoni costumi; nelle sagre invece si insegnava ogni iniquità”.
Poi scrive: “Non sappiamo dove e quando le persone sacre ascoltassero i precetti della celeste castità: tuttavia davanti allo stesso tempio, andandovi tutti da ogni parte e fermandosi ciascuno dove si poteva, si osservavano attentamente i giuochi che vi si facevano e si vedeva alternativamente qui la pompa delle meritrici, là una vergine dea davanti alla quale si facevano atti di adorazione e si compivano disonestà. Non vi scorgemmo attori verecondi, né pudichi: là si commetteva ogni sorta di oscenità. Era noto ciò che piacesse maggiormente alla vergine dea e vi si faceva tutto quello che poteva essere appreso e portato via dal tempio dalla più istruita matrona.
Alcune donne più vereconde distoglievano lo sguardo dai movimenti impuri degli scenici e, benché arrossissero nel vedere l’arte della malvagità, l’imparavano anch’esse. Si vergognavano degli uomini e non osavano guardare liberamente quei gesti impudichi, ma non ardivano condannare con casto cuore le sagre di colei che veneravano.
E queste cose si facevano pubblicamente nel tempio, perché fossero imparate; per compierle poi, si cercava, in casa almeno, un luogo segreto.
Reca però molta meraviglia che esistesse ancora qualche pudore nei mortali, per cui non commettessero in pubblico le scelleratezze umane che potevano aver imparato da quegli dei i quali si sarebbero adirati se non le avessero fatte.
E quale altro spirito eccita a commettere adulterii e a compiacersi di quelli commessi, tentando con occulto istinto le menti corrotte, se non quello che si diletta di tali cerimonie, ordina che vengano eretti nei templi i simulacri dei demoni, ama nei giuochi l’insegnamento dei vizi, mormora in segreto parole di virtù e di giustizia, anche per ingannare quei pochi che sono buoni e rinnova spesso pubblicamente gli incitamenti al male per impossessarsi dei molti che sono cattivi?”.
7. Queste affermazioni di sant’Agostino sono il più bel commento alle parole di san Paolo: “Che cosa dunque intendo dire? Che la carne sacrificata agli idoli vale qualcosa? O che un idolo vale qualcosa?
No, ma dico che quei sacrifici sono offerti ai demòni e non a Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demòni” (1 Cor 10,19-20).
8. Per noi invece la vita santa è la migliore iniziazione alle cose sante.
Ed è nello stesso tempo la via migliore per giungere alla conoscenza di Dio secondo quanto insegna san Giovanni: “La sua unzione vi insegna ogni cosa” (1 Gv 2,27).
9. Per la precisione, in merito a quanto scrivi: “ferma restando l’assoluta Verità della fede Cristiana che deriva dalla Rivelazione contenuta nelle Sacre Scritture” va detto che la Verità della fede cristiana che deriva dalla Rivelazione è contenuta nelle Sacre Scritture e nella Sacra Tradizione.
Mentre ti auguro una conoscenza sempre più piena di Dio e dei suoi misteri attraverso la sua esperienza ti assicuro la mia preghiera e ti benedico.
Padre Angelo