Questo articolo è disponibile anche in: Italiano
Quesito
Caro Padre Angelo,
intanto La ringrazio per il suo sito e la possibilità accordata ad ogni fedele e non di poterLe scrivere: è davvero importante saper trovare, oggigiorno, delle risposte chiare, dettagliate e vere, cioè cattoliche, e non adulterate in qualche modo, nel panorama della rete web.
Torno a scriverLe per la seconda volta per una domanda: quando l’ira è peccato? Nel senso, noi sappiamo che è uno dei sette vizi capitali, quindi è sempre peccato mortale, ma sappiamo anche che Gesù stesso si è arrabbiato e indignato profondamente, tanto da passare all’azione contro i mercanti del tempio con una frusta di cordicelle o tanto da chiamare i farisei “razza di vipere” e “sepolcri imbiancati”. Ora la rabbia viene condannata dalla Chiesa, ma è possibile esserci una rabbia buona come quella di Gesù? Qual è il confine tra difesa di se stessi, anche alzando un po’ la voce, o indignazione per cose dette di noi non vere e il peccato veniale e poi mortale? Reprimere la rabbia fa male a tutti, perché allora è peccato arrabbiarsi?
Grazie per la sua risposta!
A presto!
Francesco
Risposta del sacerdote
Caro Francesco,
a proposito dell’ira è necessario distinguere tra l’emozione (passione) dell’ira, il peccato d’ira e il vizio dell’ira.
1. Intanto vediamo che cosa sia l’ira.
L’ira come emozione consiste in un’agitazione molto forte dell’anima in forza della quale uno irrompe e si precipita su qualcosa o su qualcuno per eliminare un male.
S. Tommaso dice che l’ira è “una passione che si esprime nella tendenza dell’inclinazione sensitiva a distruggere ciò che viene appreso come contrario a quanto è voluto o desiderato” (III Sent., d. 15, q. 2, a. 2).
S. Agostino: “è il moto dell’animo che spinge a punire per un’ingiuria fatta a sé o ai propri cari” (Enarratio in Psalm. 6, n. 3).
2. Le emozioni, e quindi anche l’emozione dell’ira, sotto il profilo morale non sono né buone né cattive. Dipende dall’uso che se ne fa.
In questo senso l’emozione dell’ira in Nostro Signore quando caccia i venditori dal tempio o si scaglia contro l’ipocrisia degli scribi e dei farisei è un bene.
È dunque giusto alzare la voce quando ce n’è bisogno per far capire che si sta facendo un grande male e che non si può andare avanti in quel modo.
In questo senso, più che di ira, si tratta di zelo per il bene.
Sarebbe addirittura peccaminoso prendere alla leggera situazioni in cui ne va di mezzo un bene molto grande.
3. Il peccato d’ira invece consiste nella reazione di fronte al male compiendone uno più grande, come quando si uccide una persona perché ci ha insultato o tradito o quando la reazione nei confronti del male è sproporzionata e illegale.
Di fatto in questi casi la mente si lascia stravolgere dall’emozione o passione e l’ira diventa peccaminosa.
Se il male compiuto in preda all’ira è grave, evidentemente si compie peccato grave.
4. Ci si trova infine di fronte al vizio dell’ira quando l’anima si turba per un nonnulla e si accende di animosità.
L’ira è un vizio capitale perché origina tanti altri peccati.
5. Forse è opportuno ricordare i rimedi proposti per sradicare i moti dell’ira peccaminosa.
Alcuni sono proposti addirittura da autori (filosofi) pagani, come Seneca, il quale diceva: “Il più grande rimedio dell’ira è prendere tempo” (De ira, lib. II, cap. 29, n.1). E continuava: “c’è sempre tempo, e il tempo apre la strada alla verità” (lib. II, cap. 22, nn. 2-3).
Inoltre bisogna frenare la curiosità su quanto gli altri dicono di noi. Diceva ancora Seneca: “Non vuoi essere iracondo? Non essere curisioso” (lib. III, cap. 11, n. 1) e non indulgere nei sospetti, conservando la semplicità di cuore e la benevolenza.
Per sradicare l’ira peccaminosa è necessario anche rimuovere o diminuire la stima della propria eccellenza o superiorità. Dice S. Tommaso: “Considera chi sei stato. E perciò contro l’ira sarà ottimo rimedio la ricognizione della propria fragilità” (In Epist. ad Titum, cap. 3, lect. 1).
Buon rimedio è anche quello che cerca di conservare la serenità d’animo e di non abbandonarsi alla tristezza. Aristotele notava che gli uomini nel gioco, nelle feste, nella prosperità, nel felice esito delle loro attività e dei loro affari, nei piaceri onesti, nella speranza corroborata dalla fiducia, non si lasciano trasportare facilmente dall’ira, ma sono miti e indulgenti” (2 Retorica, 3, 2) perché “tutte le cose che impediscono la tristezza, impediscono l’ira” (s. tommaso, Somma teologica, I-II, 47, 3, ad 3).
Infine è molto utile pensare a come ci si riduce quando ci si abbandona all’ira: orribili nell’aspetto, agitati e scossi nel corpo, facili al crimine, alle devastazione e distruzioni.
6. Accanto a questi mezzi di ordine naturale ve ne sono altri, tipicamente evangelici.
1. Non provocare gli altri all’ira: “E voi, padri, non esasperate i vostri figli, ma fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore” (Ef 6,4); “voi, padri, non esasperate i vostri figli perché non si scoraggino” (Col 3,21).
2. Sopportare pazientemente le ingiurie e le provocazioni altrui: “Ma io vi dico: amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano e pregate per coloro che vi perseguitano e vi calunniano, perché siate figli del Padre vostro celeste che fa sorgere il suo sole sopra i buoni e sopra i cattivi, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” Mt 5,44-45); “sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri” (Col 3,12).
3. Estinguere subito l’ira appena si è accesa perché non divampi: “sia ognuno pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all’ira. Perché l’ira dell’uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio (Gc 1, 19-20); “nell’ira non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date spazio al diavolo” (Ef 4,26-27).
E ancora: “Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti. Non fatevi giustizia da voi stessi, vivete in pace con tutti. Non fatevi giustizia da voi stessi carissimi, ma lasciate fare all’ira divina. Sta scritto infatti: a me la vendetta, sono io che ricambierò, dice il Signore. Al contrario, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete dagli da bere; facendo questo, infatti, ammasserai carboni ardenti sopra il suo capo. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene” (Rm 12,17-21).
4. Contemplare e imitare l’esempio di Cristo paziente: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29). E S. Pietro: “Cristo patì per voi lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: egli non commise peccato e non si trovò inganno nella sua bocca, quando era oltraggiato non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia” (1 Pt 2,21-23).
Ti saluto, Francesco, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo