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Quesito
Caro Padre Angelo,
mi chiamo Sandro, vorrei porle un quesito sull’effetto del peccato sulla nostra coscienza.
In parole povere, quel senso di oppressione e inquietudine che si accompagna ad un peccato, è dovuto alla nostra educazione cattolica o è oggettivo in tutti?
Siamo noi cristiani che indotti fin dall’infanzia a ritenere malvagio un atto ce lo facciamo pesare sulla coscienza di conseguenza?
Mentre, al contrario lo stesso atto non turberebbe chi non ne sia stato indotto a pensarlo come peccato?
E poi sulla confessione, è indubbio che dopo avere ricevuto il perdono io senta un senso di sollievo e pulizia e apertura verso il mondo difficilmente spiegabile con la suggestione, ma anche li si tratta di suggestione o di una oggettività ?
Magari la coscienza lo prende come un palliativo affinché si possa tirare avanti?
E chi non può accedere alla Riconciliazione come fa a non sentire un inderogabile BISOGNO di freschezza dell’anima dopo atti che feriscono la coscienza?
Personalmente mi sentirei talmente oppresso da non potere alzare più gli occhi.
Questo è quanto.
Se crede può pubblicare sul sito questa mail.
La saluto calorosamente, ringraziandola per il servizio che ci offre.
Risposta del sacerdote
Caro Sandro,
1. mi chiedi se il senso di oppressione che si avverte dopo un peccato mortale sia dovuto alla coscienza educata in maniera cattolica oppure sia un fatto naturale.
Ebbene qui è necessario fare una distinzione.
Ci sono dei precetti che si impongono alla nostra coscienza perché sono scritti nel nostro cuore. Sono precetti di diritto naturale, quali il non uccidere, non rubare, non commettere adulterio.
Questi non sono frutto dell’educazione cattolica.
Per questo chiunque si sente a disagio se ruba (tant’è che lo fa di nascosto), se mette in giro una calunnia, tanto più su una persona buona e innocente, se uccide un’altra persona.
Tutto ciò che ferisce il diritto naturale, ferisce la nostra natura e fa star male.
2. Vi sono poi altri precetti che derivano dalla nostra educazione cattolica, come il santificare le feste in determinati giorni, fare astinenza o digiuno, la vita di preghiera.
Allora prova disagio e rimorso solo chi crede.
3. Certo la fede e l’educazione cattolica raffinano la coscienza, per cui un buon cristiano sente maggiore rimorso anche per le violazioni del diritto naturale, come ad esempio per una sola parola malevola detta in assenza dell’interessato.
Sotto quest’aspetto aveva ragione Dante quando diceva: “O dignitosa coscienza e netta, come t’è picciol fallo amaro morso!”.
Per questo i santi hanno una sensibilità maggiore sia nei confronti del bene sia nei confronti del male.
4. Per converso alcune persone inveterate nel male (si pensi a certi delinquenti) hanno anestetizzato la loro coscienza al punto che non provano rimorso neanche nei confronti dei peccati contro il diritto naturale.
La delinquenza in alcuni è una seconda natura.
Allora può succedere che non solo non si avverta più niente ma addirittura che ci si vanti di ciò di cui ci si dovrebbe vergognare.
Lo ricorda bene San Paolo quando dice di alcuni: “La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra” (Fil 3,19).
Anche oggi vediamo persone oneste, brave e competenti nel loro lavoro.
Ma per quanto riguarda alcuni ambiti della loro vita hanno permesso al male di entrare nel loro cuore, si sono dissoluti e si vantano pubblicamente di ciò di cui prima si vergognavano.
5. Mi chiedi poi se il senso di freschezza e di sollievo che si prova nella confessione sia semplicemente un fatto psicologico o se corrisponda alla realtà.
Ebbene a questo proposito abbiamo un dato dinanzi a noi. Molte persone oggi ricorrono allo psicologo, ma ne vengono fuori come vi sono entrate.
Forse all’inizio provano qualche sollievo. Poco dopo più nulla.
Eppure con lo psicologo talvolta scendono a descrivere la loro vita e le loro azioni in dettagli in cui è proibito scendere nella confessione per non profanare il Sacramento.
La differenza è questa: dalla confessione si esce sollevati.
6. Anzi le stesse persone che vanno dallo psicologo e nello stesso tempo vanno anche a confessarsi sono testimoni della profonda differenza tra le due pratiche.
Nella prima c’è una liberazione psicologica.
Nella seconda c’è una liberazione, anzi, una purificazione morale accompagnata da una santificazione dell’anima.
Questa purificazione morale include in se stessa anche una liberazione psicologica.
Per questo Freud avrebbe detto che la confessione praticata dalla Chiesa Cattolica ha costituito per secoli la psicanalisi dei poveri.
7. Freud pensava che con la psicologia e con la psicanalisi non avesse più
senso ricorrere alla Confessione sacramentale. Ma anche su questo punto si è sbagliato.
Molte persone ad un certo punto lasciano la psicanalisi portata avanti magari per anni e con scrupolosa fedeltà nel pagare l’analista perché scoprono la Confessione.
E si accorgono di quanta ragione avesse Dio nel dire attraverso il profeta Geremia: “Due sono le colpe che ha commesso il mio popolo: ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua” (Ger 2,13).
8. Infine penso che tutti sentano il bisogno di essere nuovi nel loro interno e di essere purificati.
Purtroppo molti non sanno che a loro portata di mano c’è un Sacramento di rigenerazione e di vita. Ed è il Sacramento della confessione.
Certamente è una grazia per te averlo conosciuto e ti auguro di accedervi sempre in maniera regolare e frequente.
Si attinge molto a questo pozzo.
È una grazia inestimabile.
Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo