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Quesito

Caro Padre Angelo,
innanzitutto grazie di cuore per la tua sempre generosa disponibilità nel rispondere alla grande mole di quesiti che ti vengono posti. Mi aggiungo anch’io, approfittando con gratitudine della tua carità, per una questione che ritengo importante. Si dice che l’osservanza dei comandamenti viene dopo l’accoglienza della grazia, come sua conseguenza, e questo è chiaro: un’osservanza senza grazia sarebbe volontarismo. Ma allora a che punto possiamo collocare il pentimento? Negli Atti degli Apostoli, Pietro dichiara: “Pentitevi (o convertitevi, metanoeite) e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo” (At 2,38). In questo punto cruciale del Nuovo Testamento l’azione dell’uomo (la conversione, il pentimento) sembrerebbe precedere l’azione del Signore (il dono della grazia). Come salvare il fatto che la grazia divina precede sempre l’iniziativa umana? Forse supponendo che il pentimento è già un’azione resa possibile dal soccorso di Dio, che ispira il cambiamento?
Grazie per la tua risposta, caro padre Angelo, e che il Signore ti ricompensi per quello che fai in Suo nome.
Uniti in Cristo
don Fabrizio


Risposta del sacerdote

Caro don Fabrizio,
1. la risposta l’hai introdotta tu stesso affermando che non sarebbe possibile per l’uomo pentirsi se non fosse ispirato e mosso da Dio.
Si tratta di accogliere la grazia che il Signore suscita nel nostro cuore.
Quando San Pietro parlava la sua parola risuonava alle orecchie degli ascoltatori. Ma in quel medesimo momento lo Spirito Santo illuminava la mente e muoveva il cuore di quelle persone.

2. Avviene anche per il pentimento quel medesimo meccanismo che si attua per la fede.
Ecco che cosa dice Sant’Agostino commentando l’espressione “la sua unzione vi insegnerà ogni cosa” (1 Gv 2,27): “Il suono delle nostre parole percuote le orecchie, ma il vero maestro sta dentro. Non crediate di poter apprendere qualcosa da un uomo.
Noi possiamo esortare con lo strepito della voce ma se dentro non v’è chi insegna, inutile diviene il nostro strepito. Ne volete una prova, o miei fratelli?
Ebbene, non è forse vero che tutti avete udito questa mia predica?
Quanti saranno quelli che usciranno di qui senza aver nulla appreso?
Per quel che mi compete, io ho parlato a tutti; ma coloro dentro i quali non parla quell’unzione, quelli che lo Spirito non istruisce internamente, se ne vanno via senza aver nulla appreso. L’ammaestramento esterno è soltanto un ammonimento, un aiuto.
Colui che ammaestra i cuori ha la sua cattedra in cielo.
Egli perciò dice nel Vangelo: Non vogliate farvi chiamare maestri sulla terra: uno solo è il vostro maestro: Cristo (Mt 23, 8-9).
Sia lui dunque a parlare dentro di voi, perché lì non può esservi alcun maestro umano. Se qualcuno può mettersi al tuo fianco, nessuno però può stare dentro il tuo cuore.
Se nessuno vi può stare, Cristo invece rimanga nel tuo cuore; vi resti la sua unzione, perché il tuo cuore assetato non rimanga solo e manchi delle sorgenti necessarie ad irrigarlo.
È dunque interiore il maestro che veramente istruisce; è Cristo, è la sua ispirazione ad istruire.
Quando non vi possiede né la sua ispirazione né la sua unzione, le parole esterne fanno soltanto un inutile strepito” (Commento alla prima lettera di Giovanni).

3. Ugualmente anche per il pentimento vale quanto ha definito il secondo concilio di Orange (530) a proposito della fede: “Non solo la crescita, ma anche l’inizio della fede e della stessa inclinazione a credere non provengono dalle nostre capacità naturali, ma dal dono della grazia, e cioè dall’ispirazione dello Spirito Santo” (canone 5, DS 375).
Per cui possiamo dire: non solo il pentimento, ma anche la stessa inclinazione a pentirsi è frutto della grazia preveniente.

4. Anche il timore stesso della perdizione eterna, chiamato in gergo teologico attrizione, è dono di Dio come ricorda il concilio di Trento: “Quella contrizione imperfetta che si dice attrizione, che si concepisce comunemente o dalla considerazione della bruttezza del peccato o dal timore dell’inferno e delle pene, se esclude la volontà di peccare con la speranza del perdono, non solo non rende l’uomo ipocrita e maggiormente peccatore, ma è un dono di Dio e un impulso dello Spirito Santo, che certamente non abita ancora nell’anima, ma soltanto muove; con l’aiuto di tale impulso il penitente si prepara la via della giustizia. E benché l’attrizione senza il sacramento della penitenza per sé non possa portare il peccatore alla giustificazione, tuttavia lo dispone ad impetrare la grazia di Dio nel sacramento della penitenza. Infatti i niniviti, scossi utilmente da questo timore per la predicazione terrorizzante di Giona, fecero penitenza e impetrarono misericordia dal Signore (cfr. Giona 3)” (DS 1678).

Ti auguro ogni bene per il tuo prezioso ministero e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo