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Quesito

Caro padre Angelo,
leggendo le sue numerose risposte non si può non rimanere affascinati: lei definisce la Vocazione di ciascuno di noi come “quello che uno è”, con una definizione ormai celebre al punto che un mio compagno di seminario per indicarmi che conosceva il vostro sito mi ha indicato queste parole. Su questo tema ho il desiderio di porle delle questioni perché spero che lei possa gettare luce su una situazione particolare: la mia. In passato le scrissi una volta quando esercitavo la mia professione di medico e mi chiedevo se fosse bene per me entrare in seminario.
Guardando alla mia vita, al mio passato, alla mia tenera età io volevo fare il medico ma non era per me così chiaro: un cammino di discernimento serio mi ha fatto vedere come già nei primi anni delle elementari ero appassionato del corpo umano e dei suoi organi.
Durante gli anni universitari il mio rapporto con Dio si fece sempre più intenso, già a 18-20 anni chiedevo al Signore di donarmi un cuore puro e vivevo la Messa domenicale con una dimensione interiore molto molto forte. Ricordo come lo studio si fece intenso quando capii che dovevo studiare per Lui.
Conobbi grazie al padre spirituale San Giuseppe Moscati: me ne innamorai. Letta la sua biografia, decisi che anche io sarei andato a Messa ogni giorno, e così fu.
Nel frattempo alcune difficoltà della mia vita non mi davano tregua e anche io non mi vedevo “risolto” come persona. Allora ebbi una luce: l’unico che mi avrebbe ascoltato e aiutato sempre era Gesù Eucaristia e fu allora che iniziai a non accontentarmi della mia adorazione settimanale ma iniziai ad andare ogni sera in una cappella dove Gesù era sempre esposto per l’Adorazione personale a qualsiasi orario.
Ricordo poi di aver visto un’immaginetta delle anime sante del purgatorio dove un sacerdote presiedeva la Messa e dal calice il Sangue sgorgava a fiume su tali anime: io mi sentii partecipe di quel gesto compiuto dal sacerdote. Questa partecipazione credo che sia riservata ai “chiamati”. Il mio confessore mi vede fatto per diventare sacerdote, così anche altri preti.
Io adesso mi chiedo se la vocazione del prete sia incompatibile con quella del medico.Può essere che la mia vocazione naturale sia quella di fare il medico e quella soprannaturale di essere chiamato al sacerdozio? Io riconosco questo nella mia vita: non sgomito per i paramenti né per fare il parroco, anzi. Può avvenire la chiamata in un secondo momento?
Io vedo il sacerdote come il vero medico a volte e, mi lasci dire, faccio il medico con un fare sacerdotale.
Quando mi penso sacerdote contesto della diocesi e delle parrocchie mi sembra di essere coartato. Non mi vedo in una parrocchia. Quel tipo di ministero non mi trascina, non mi coinvolge. Non dico che sia brutto, dico solo che non mi piace così tanto. Mi sembra stretto, angusto, piccolo. Con questo non voglio criticare affatto chi invece sogna da sempre quel contesto, quegli abiti, quella dimensione. Vivo sospeso letteralmente, convinto che nella fedeltà quotidiana il Signore si rivelerà, ma non ho una prospettiva chiara e stabilita, sebbene abbia pensato anche ai domenicani.
Dal momento che non le scrivo tutti i giorni mi permetto di porle un secondo quesito che, effettivamente, anche nei miei studi di teologia non ha ancora trovato risposta: sono sicuro che lei concorda che il Sacerdote come Alter Christus ha uno sguardo sul reale che è diverso da quello umano, che è frutto della grazia sacramentale ricevuta in forza dell’Ordine sacro. Bene. Adesso se guardiamo alla storia dei Santi, mi viene in mente Santa Caterina da Siena che “accompagnò” il Papà nelle sue scelte: la santità consegna anche uno sguardo di fede pieno, uno sguardo che vede oltre l’apparenza. Io sono stato sempre affascinato da questo sguardo, che a volte ho sentito nominare come “sguardo trasfigurante”. Adesso le chiedo: “Che differenza c’è, se c’è, tra questi due sguardi certamente non in opposizione? In che misura esprimono entrambi il punto di vista di Dio? Quale lo specifico di ognuno?” Ho provato a chiedere al mio professore di liturgia, ma vorrei sentire anche il suo parere. Mi permetto di aggiungerle che la domanda non è casuale: io voglio diventare santo, almeno mi piacerebbe davvero, sarebbe proprio bellissimo! Magari! Dio mi perdoni laddove c’è superbia. Per questo mi chiedo anche cosa corrisponda al mio desiderio di possedere quello sguardo che è così simile, se me lo conferma, al punto di vista di Dio. Me lo chiedo da aspirante santo e da aspirante sacerdote. Spero di essermi saputo esprimere.
La ringrazio per avermi letto, la ringrazio di cuore. Grazie ancora per tutto quello che fa, padre Angelo.
La porto, per come posso, nella mia preghiera.


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. leggendo la risposta che ti avevo dato a suo tempo sono riuscito ad individuarti.
Mi pare che una cosa sia chiara dopo vari anni di discernimento: c’è in te la chiamata al sacerdozio. Su questo mi pare che non vi siano dubbi né da parte del confessore né da parte di altri sacerdoti.
Il problema è un altro: quale tipo di sacerdozio è fatto per te dal momento che quello diocesano, che in genere si esprime nel ministero parrocchiale, non ti affascina.
E non perché non sia bello e non sia utile, ma perché senti che le potenzialità che il Signore ti ha dato rimarrebbero in qualche modo soffocate.
Giustamente hai fatto riferimento al padre Sertillanges, il domenicano francese, che aveva detto che la vocazione è quello che uno è.
Adesso si fa sempre più evidente che sei chiamato al sacerdozio, ma non a quello diocesano.
Che fare?

2. Dal momento che non è ancora chiara, probabilmente, la qualità della tua vocazione sacerdotale io ti direi di entrare pure nel seminario diocesano ma rimanendo sempre molto schietto con i tuoi formatori. Sono certo che ti comprenderanno. E se un giorno tu dovessi dire loro che hai capito che il tipo di vocazione sacerdotale fatto per te è, ad esempio, quello dei francescani, ti aiuterebbero a realizzare i tuoi desideri.
È vero poi che il ministero sacerdotale dei preti diocesani si esprime comunemente nelle parrocchie, ma non è esclusivo.
Tuttavia è necessario dare la propria totale disponibilità al vescovo. Se questi ti dice: non pensare più a fare il medico, devi accantonare questo tuo desiderio.

3. Mi piace anche ricordare che nella Chiesa vi è un ordine religioso, quello dei Fatebenefratelli, che potrebbe garantirti in qualche modo la conciliabilità delle due vocazioni.
San Riccardo Pampuri, dopo essere stato medico condotto, è entrato in quest’ordine religioso, morendo tuttavia dopo solo qualche anno dal suo ingresso.
Forse anche altri ordini o congregazioni religiose ti possono offrire la possibilità di portare avanti simultaneamente i due carismi.
Il sacerdote domenicano che io ho incontrato da piccolo era prima un sacerdote diocesano, ma sentiva che il ministero parrocchiale era troppo stretto per lui. Si sentiva fatto per una cerchia più ampia da servire attraverso la predicazione. Ed è stato davvero un grande predicatore, gratificato all’interno dell’Ordine anche con il titolo di predicatore generale. Solo pochi, in un numero che non eccedesse quello di quattro o di sei (non ricordo bene) potevano essere decorati di tale titolo con tanto di privilegio di partecipare ai consigli conventuali e ai capitoli provinciali.
La vita religiosa, indubbiamente, offre il ventaglio di servire la Chiesa sotto molteplici forme, che non sono essenzialmente quelle parrocchiali.

3. Non è necessario che tu già fin d’ora abbia un progetto chiaro e concreto da realizzare nella tua vita sacerdotale. È sufficiente, a parer mio, che tu sia aperto ad ascoltare i disegni di Dio in una struttura abbastanza larga di prospettive che ti permetta di sentirli e di realizzarli.
Puoi pensare anche all’ordine domenicano.
Il Signore ha detto a Santa Caterina da Siena, domenicana, che ha voluto che l’ordine domenicano fosse una navicella tutta larga.
Forse è prematuro che tu individui fin d’ora come potrai coniugare il tuo essere medico con il sacerdozio. È sufficiente che tu sappia che è possibile coniugare le due cose. È di questi giorni la notizia di un domenicano filippino, ma entrato nell’ordine negli Stati Uniti, che sta approntando un farmaco per il coronavirus.

4. Ricorderai bene la vicenda di Abramo che, come abbiamo sentito nella seconda lettura della prima domenica dopo Natale, per fede partì obbedendo al comando del Signore e partì senza sapere quale fosse la sua destinazione.
Il Signore gliela avrebbe indicata cammin facendo, come in realtà fece.
Pertanto vai avanti in seminario, rifletti bene, prega, domanda lumi al Signore.
Quando poi capirai qual è la navicella nella quale il Signore ti vuole, si potranno esaminare i passi da compiere.

5. Vengo ora alla seconda domanda che mi hai posto mi chiedi quale sia la diversità dello sguardo sul reale che è un sacerdote rispetto a quello umano.
Anziché fare una duplice distinzione, io ne farei una triplice. Perché c’è uno sguardo tipico del sacerdote, c’è uno sguardo tipico del cristiano e c’è uno sguardo tipico della persona umana da un punto di vista naturale.
Partendo da quest’ultimo, direi che da un punto di vista naturale uno cerca il suo perfezionamento all’interno di questo mondo in un’ottica prettamente temporale.
Il cristiano, con il lume della fede, vede tutte le cose dal punto di vista di Dio. San Tommaso dice che avere fede significa guardare con gli occhi di un altro. Quando si ha fede in Dio si guarda con gli occhi di Dio e pertanto con uno sguardo di ordine soprannaturale tenendo lo sguardo su Cristo e su ciò che giova alla nostra anima. Per questo all’inizio del capitolo 12º della lettera agli ebrei si legge: “Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio” (Ebr 12,1-2).
Lo sguardo del sacerdote è certamente di ordine soprannaturale, e pertanto include ciò che ho detto or ora, ma con un lume particolare proveniente da un particolare dono dello Spirito Santo: quello del consiglio.
Questo lume di ordine soprannaturale suggerisce i mezzi più opportuni per governare santamente gli altri. Il campo d’azione del dono del Consiglio non si limita alla vita personale, ma si estende alla direzione delle anime e al governo di una comunità ecclesiale.
Se il Signore ti chiama al sacerdozio ti munirà in modo particolare anche di questo preziosissimo dono.

Ti ringrazio di portarmi nella tua preziosa preghiera, ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico,
Padre Angelo