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Quesito

Caro Padre Angelo,
ho assistito ad una discussione tra un sacerdote "vecchio stampo" ed un giovane sacerdote sul tema "Materia Grave".
Il secondo, appellandosi al n. 1858 (me lo sono andato a cercare…) del CCC, diceva che i peccati di materia grave sono quelli  quelli in cui (cito il n. 1858): "La materia grave è precisata dai Dieci comandamenti, secondo la risposta di Gesù al giovane ricco: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre” (Mc 10,19 ). La gravità dei peccati è più o meno grande: un omicidio è più grave di un furto. Si deve tener conto anche della qualità delle persone lese: la violenza esercitata contro i genitori è di per sé più grave di quella fatta ad un estraneo" [il corsivo è mio].
Il sacerdote anziano obbiettava che così si rischia di "derubricare" dai Peccati Gravi – ad esempio – l’andare a Messa alla domenica e nelle Feste Comandate (poiché NON È risposta di Gesù al giovane ricco)
Mi può dare il suo parere?
Grazie
Stefano


Risposta del sacerdote

Caro Stefano,
1. Giovanni Paolo II, nell’enciclica Veritatis splendor, spiega come mai Gesù faccia nel passo citato riferimento solo ai comandamenti della seconda tavola della legge.
Giova ricordare che questa enciclica è stata scritta proprio per illustrare i principi morali da cui fluisce l’insegnamento esposto nel Catechismo della Chiesa Cattolica.

2. Ecco dunque che cosa dice il Papa:
“Dal contesto del colloquio e, specialmente, dal confronto del testo di Matteo con i passi paralleli di Marco e di Luca, risulta che Gesù non intende elencare tutti e singoli i comandamenti necessari per «entrare nella vita», ma, piuttosto, rimandare il giovane alla centralità del Decalogo rispetto ad ogni altro precetto, quale interpretazione di ciò che per l’uomo significa «Io sono il Signore, Dio tuo».
Non può sfuggire, comunque, alla nostra attenzione quali comandamenti della Legge il Signore Gesù ricorda al giovane: sono alcuni comandamenti che appartengono alla cosiddetta «seconda tavola» del Decalogo, di cui compendio (Rm13,8) e fondamento è il comandamento dell’amore del prossimo: «Ama il prossimo tuo come te stesso» (Mt 19,19 e Mc 12,31).
In questo comandamento si esprime precisamente la singolare dignità della persona umana, la quale è «la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa».
I diversi comandamenti del Decalogo non sono in effetti che la rifrazione dell’unico comandamento riguardante il bene della persona, a livello dei molteplici beni che connotano la sua identità di essere spirituale e corporeo, in relazione con Dio, col prossimo e col mondo delle cose. (…).
I comandamenti rappresentano, quindi, la condizione di base per l’amore del prossimo; essi ne sono al contempo la verifica. Sono la prima tappa necessaria nel cammino verso la libertà, il suo inizio: «La prima libertà», scrive sant’Agostino, «consiste nell’essere esenti da crimini… come sarebbero l’omicidio, l’adulterio, la fornicazione, il furto, la frode, il sacrilegio e così via. Quando uno comincia a non avere questi crimini (e nessun cristiano deve averli), comincia a levare il capo verso la libertà, ma questo non è che l’inizio della libertà, non la libertà perfetta…»” (VS 13).

3. Poi il Papa prosegue: “Ciò non significa, certo, che Gesù intenda dare la precedenza all’amore del prossimo o addirittura separarlo dall’amore di Dio. Lo testimonia il suo dialogo col dottore della Legge: questi, che pone una domanda molto simile a quella del giovane, si sente rimandato da Gesù ai due comandamenti dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo (Lc 10,25) e invitato a ricordare che solo la loro osservanza conduce alla vita eterna: «Fa’ questo e vivrai» (Lc10,28).
È comunque significativo che sia proprio il secondo di questi comandamenti a suscitare la curiosità e l’interrogativo del dottore della Legge: «Chi è il mio prossimo?» (Lc 10,29). II Maestro risponde con la parabola del buon Samaritano, la parabola-chiave per la piena comprensione del comandamento dell’amore del prossimo (Lc 10,30). I due comandamenti, dai quali «dipende tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,40), sono profondamente uniti tra loro e si compenetrano reciprocamente. La loro unità inscindibile è testimoniata da Gesù con le parole e con la vita: la sua missione culmina nella Croce che redime (Gv 3,14), segno del suo indivisibile amore al Padre e all’umanità (Gv 13,1).
Sia l’Antico che il Nuovo Testamento sono espliciti nell’affermare che senza l’amore per il prossimo, che si concretizza nell’osservanza dei comandamenti, non è possibile l’autentico amore per Dio.
Lo scrive con vigore straordinario san Giovanni: «Se uno dicesse. "Io amo Dio", e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi, infatti, non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4,20). L’evangelista fa eco alla predicazione morale di Cristo, espressa in modo mirabile e inequivocabile nella parabola del buon Samaritano (Lc 10,19) e nel «discorso sul giudizio finale (Mt 25,31)” (VS 14).

4. La motivazione del Papa è chiara. Non c’è vero amore per Dio che non si esprima attraverso l’amore del prossimo.
Negando l’amore al prossimo, di fatto lo si nega a Dio.
Le due tavole dunque sono saldamente unite, come dice il Papa.

5. Ai due sacerdoti va osservato che si deve leggere un articolo del Catechismo in collegamento con gli altri.
Accanto al n. 1858, se vai a vedere bene, vi è un rimando al n. 2072.
Questo numero è particolarmente importante perché parla espressamente dell’obbligazione dei comandamenti-.
Su questo tema dice: “Poiché enunciano i doveri fondamentali dell’uomo verso Dio e verso il prossimo, i dieci comandamenti rivelano, nel loro contenuto essenziale, delle obbligazioni gravi. Sono sostanzialmente immutabili e obbligano sempre e dappertutto. Nessuno potrebbe dispensare da essi. I dieci comandamenti sono incisi da Dio nel cuore dell’essere umano” (CCC 2072).

Ti saluto, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo