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Quesito

Buongiorno
Con la presente come da titolo Le scrivo riguardo a quella polemica, che durante la lotta al Giansenismo acuì la rivalità tra Gesuiti e Domenicani che in modo più sottile pare ci sia pure oggi, su cui non voglio né far ironia e polemica (il clero è umano, a volte fin troppo).
Senza chiedere chi avesse ragione perché immagino che il veto papale di allora non abbia risolto la questione (…).
Mi farebbe piacere conoscere in modo imparziale le reciproche accuse di eresia tra i due ordini e anche gli effetti politici dell’eventuale condanna dell’una o dell’altra. (…).
Non è detto che io sappia cogliere tali sottigliezze, ma se fosse possibile conoscerle le sarei grato.
Cordialmente


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. per dare una visione imparziale, come tu chiedi, alla questione de auxiliis ho consultato due trattati di antropologia teologica.
Nel primo si accenna con una sola riga alla discussione del secolo 17º.
Nel secondo, di cui è autore un gesuita, neanche un accenno.
I due autori, di grande peso, con il loro silenzio evidentemente hanno considerato irrilevante l’argomento.

2. Ti ripresento pertanto la disputa per quanto ne ho studiato a scuola. 
La disputa verteva sulla grazia sufficiente e sulla grazia efficace.
Si partiva dal principio che Dio dona a tutti gli uomini la grazia sufficiente per salvarsi.
Proprio per questo viene chiamata grazia sufficiente.
Non tutti però si salvano.
Fin qui ci si trova d’accordo nel ritenere che se ci si danna è solo per responsabilità personale perché si è rifiutata la grazia sufficiente per la salvezza.

3. La discussione nasceva invece per coloro che si salvano.
Ci si domandava: per quale motivo in quelli che si salvano la grazia sufficiente diventa efficace?
Il gesuita spagnolo Luigi Molina diceva che diventa efficace perché Dio dà un ulteriore contributo in chi prevede che ne farà buon uso.
Introduce così il concetto di “scienza media”, che vuol significare proprio la previsione che se ne farà buon uso.

4. I domenicani, come a capo Domingo Bañez, che partecipò attivamente al concilio di Trento e fu anche confessore di Santa Teresa d’Avila, accusavano i gesuiti di essere semipelagiani.
Pelagio, del V secolo, asseriva che l’uomo può santificarsi con le sole proprie forze. E fu condannato dalla Chiesa perché ci si può salvare solo venendo elevati da Dio all’ordine soprannaturale mediante la grazia.
Furono condannati anche i semipelagiani, che cercarono di attenuare la tesi di Pelagio. Dicevano che l’uomo si salva, sì, per la grazia, ma anche per il suo personale contributo.
Alla dottrina semipelagiana si oppose il concilio di Orange e la condannò. Il motivo è il seguente: se l’uomo si salvasse anche per il suo personale contributo, allora non sarebbe più pienamente grazia.
Ebbene, i domenicani accusavano i gesuiti di ripetere quell’errore.

5. Per contro, i gesuiti accusavano i domenicani, i quali asserivano che la grazia sufficiente diventa efficace per nessun contributo da parte dell’uomo, di ripetere il concetto di predestinazione di Calvino, secondo il quale Dio ha deciso di salvarne alcuni e di dannarne altri.

6. I domenicani chiaramente non potevano accettare una tale accusa perché la responsabilità in chi rifiuta la grazia sufficiente è solo di colui che la rifiuta mediante il peccato e non certo per volontà di Dio che in Gesù Cristo si è offerto per la salvezza di tutti.
E concludevano: se ci si salva, ci si salva solo per la grazia di Dio che dà anche la forza di dire sì al suo impulso, e se ci si danna è solo per responsabilità propria.

7. I domenicani e i gesuiti si appellarono al Papa Clemente VIII il quale istituì la commissione de auxiliis divinae gratiae.
Ad un certo momento il cardinale gesuita Roberto Bellarmino avvertì il Papa di guardarsi dall’affrettare la sentenza, che si temeva essere di condanna per la posizione dei gesuiti, essendo la materia così spinosa.
Quelli che non erano favorevoli alla tesi dei gesuiti, dicevano che il Bellarmino aveva compiuto quel passo perché una condanna della posizione teologica dei gesuiti avrebbe gettato discredito sulla Compagnia che a quei tempi era particolarmente potente su vari fronti, compreso quello politico.
Altri dicevano che la condanna dei gesuiti sarebbe stata salutata da luterani e calvinisti come un loro trionfo.

8. Morto Clemente VIII che volle partecipare di persona alle discussioni, le dispute continuarono con il suo successore Paolo V.
Queste divennero così accese e senza tregua che il gesuita Gregorio de Valencia stramazzò esausto al suolo.
Paolo V, vedendo svanita la speranza di giungere a una conclusione, dopo nove anni di dispute e 160 sedute, sciolse la commissione ordinando che le due parti si astenessero dall’accusarsi a vicenda con parole aspre, che manifestassero l’amarezza dell’animo (ut verbis asperioribus, amaritiem animi significantibus, invicem abstineant). 
Questo avvenne nel 1607.

9. Poiché il Papa non ha data alcuna sentenza di condanna, a fortiori non la esprimo io.
Posso però assicurare che quella polemica oggi non viene minimamente alimentata né dai domenicani né dai gesuiti.
È una polemica del passato.

Con l’augurio di ogni bene ti assicuro la mia preghiera e ti benedico..
Padre Angelo