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Quesito
Caro Padre Angelo,
Mi chiamo … sono sempre stato affascinato dalla storia della liturgia. Vorrei proporle un quesito comprendente alcune domande riguardo alla riforma liturgica del Concilio Vaticano II: tale riforma ha effettivamente riattualizzato le usanze liturgiche dei primi secoli del cristianesimo oppure si è trattato di un tentativo di avvicinamento al protestantesimo, come sostengono alcuni fedeli e chierici legati al rito tridentino?
Entrando più nello specifico, è possibile che alcuni elementi liturgici post conciliari particolarmente criticati dai tradizionalisti come la celebrazione coram populo, la preghiera universale, l’ubicazione del tabernacolo eucaristico non più sull’altare (specialmente nelle nuove chiese) o la possibilità di ricevere l’Eucaristia anche sulla mano siano semplicemente usi paleocristiani che sono stati ripristinati?
Se la risposta è si, quali fonti sono state consultate dai Padri Conciliari? E come mai sono stati scelti proprio i primi secoli come modello per rendere la liturgia più adatta all’epoca contemporanea?
In ultimo luogo, anche l’eliminazione delle orazioni che il sacerdote e i ministri recitavano sommessamente ai piedi dell’altare e la semplificazione dell’offertorio sono state effettuate per restituire la Messa alla sua semplicità originaria?
Nell’attesa di una sua risposta le auguro una buona Settimana in Albis.
Grazie infinite.
Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. l’obiettivo della riforma liturgica voluto dal Concilio Vaticano II non è stato quello di riportare la liturgia ai riti antichi.
Sarebbe stato stolto sacrificare tutto quello che sotto l’azione dello Spirito Santo la Chiesa ha maturato e sviluppato nel corso dei secoli.
Tantomeno l’intendimento della riforma liturgica è stato motivato da un avvicinamento alle chiese protestanti.
La riforma sarebbe stata necessaria indipendentemente dall’approccio ecumenico, tant’è che sotto certi aspetti era già cominciata con il pontificato di Pio XII.
2. Le motivazioni della riforma sono dichiarate in maniera esplicita dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla liturgia del concilio Vaticano II.
Sono in se stesse così evidenti che valgono per tutti i tempi.
Eccole: “È ardente desiderio della madre Chiesa che tutti i fedeli vengano formati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia e alla quale il popolo cristiano, «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo acquistato» (1 Pt 2,9; cfr 2,4-5), ha diritto e dovere in forza del battesimo.
A tale piena e attiva partecipazione di tutto il popolo va dedicata una specialissima cura nel quadro della riforma e della promozione della liturgia.
Essa infatti èla prima e indispensabile fonte dalla quale i fedeli possono attingere il genuino spirito cristiano, e perciò i pastori d’anime in tutta la loro attività pastorale devono sforzarsi di ottenerla attraverso un’adeguata formazione.
Ma poiché non si può sperare di ottenere questo risultato, se gli stessi pastori d’anime non saranno impregnati, loro per primi, dello spirito e della forza della liturgia e se non ne diventeranno maestri, è assolutamente necessario dare il primo posto alla formazione liturgica del clero. Pertanto il sacro Concilio ha stabilito quanto segue” (SC 14).
3. Lo spirito cristiano, che è quanto dire l’orientamento alla santificazione, non si esaurisce solo nella liturgia perché vi concorrono in modo determinante anche la sacra predicazione e soprattutto la vita quotidiana.
Ma la prima è indispensabile fonte a cui si ricorre per attingere e per alimentare lo spirito cristiano è la liturgica, in particolare la celebrazione dell’Eucaristia e del sacramento della riconciliazione.
Per sacra predicazione si intende certamente l’omelia che nella riforma liturgica è stata messa nel dovuto risalto, ma anche la predicazione in generale costituita dalla catechesi permanente.
Prima del Concilio Vaticano II l’omelia era sacrificata. Tuttavia la catechesi veniva fatta tutte le domeniche nella celebrazione dei vespri, alla quale concorreva buona parte del popolo cristiano. Non era obbligatoria, ma moltissimi partecipavano.
Oggi purtroppo la catechesi per gli adulti, a parte quella per i sacramenti dell’iniziazione cristiana, costituisce un vuoto che non si riesce a colmare. Non si è ancora trovata una forma valida che sostituisca quella precedente, fatta eccezione per alcuni movimenti e aggregazioni ecclesiali che provvedono da se stessi.
4. Inoltre a favore della riforma liturgica il Concilio porta quest’altra motivazione: “Perché il popolo cristiano ottenga più sicuramente le grazie abbondanti che la sacra liturgia racchiude, la santa madre Chiesa desidera fare un’accurata riforma generale della liturgia.
Questa infatti consta di una parte immutabile, perché di istituzione divina, e di parti suscettibili di cambiamento, che nel corso dei tempi possono o addirittura devono variare, qualora si siano introdotti in esse elementi meno rispondenti alla intima natura della liturgia stessa, oppure queste parti siano diventate non più idonee.
In tale riforma l’ordinamento dei testi e dei riti deve essere condotto in modo che le sante realtà che essi significano, siano espresse più chiaramente e il popolo cristiano possa capirne più facilmente il senso e possa parteciparvi con una celebrazione piena, attiva e comunitaria.
A tale scopo il sacro Concilio ha stabilito le seguenti norme di carattere generale” (SC 21).
5. Il criterio pertanto non è la scelta dei primi secoli come modello per rendere più adatta la liturgia, ma la distinzione tra ciò che è immutabile e ciò che è mutabile.
Nel ciò che è mutabile vi è anzitutto la lingua.
Se si trattasse di tornare semplicemente ai primi secoli bisognerebbe celebrare la liturgia in greco oppure in latino.
Ma il criterio non è questo, sebbene il greco e il latino siano forme espressive particolarmente alte e significative, che il concilio ha chiesto di non abbandonare.
Le chiese greco cattoliche hanno conservato l’uso del greco.
Di fatto l’uso del latino oggi è legato ad alcuni canti che accompagnano la liturgia, in particolare con la melodia gregoriana.
6. La riforma dei riti deve tendere ad una celebrazione piena, attiva e comunitaria da parte dei fedeli, la quale non si esaurisce nella comprensione materiale dei gesti e delle parole, ma deve portare in alto le menti dei fedeli e metterle in comunione viva con Dio.
Questa è la parte più difficile che non si risolve semplicemente nell’arte di celebrare, come in genere si suol dire, sebbene anche questa abbia la sua importanza. Ma nel fatto che il sacerdote per primo si elevi in alto, si immedesimi con Cristo e viva in Dio.
Il che non può avvenire senza la debita preparazione spirituale.
7. La preparazione spirituale è indispensabile.
Ed è ben diversa dalla preparazione tecnica, che dopo un po’ di apprendistato porta a fare a menadito il proprio mestiere.
Si tratta invece di una preparazione ascetica, spirituale e mistica nel senso più vero della parola: di introduzione a vivere in comunione con realtà invisibili e nascoste. Questa preparazione sotto un certo aspetto è sempre nuova e inedita.
In questa preparazione è particolarmente importante il sacro silenzio, quel silenzio per il quale San Giovanni Bosco prima di celebrare la Messa non rivolgeva la parola a nessuno, limitandosi ad un cenno di saluto con il capo. Tutti lo vedevano raccolto e immerso in Dio già prima della celebrazione. E questa era già di suo una catechesi ben efficace.
Ti ringrazio di avermi dato l’occasione di far riferimento a queste realtà che sono tra le più belle e le più santificanti della nostra vita.
Augurandoti un sereno proseguimento delle feste pasquali, ti benedico e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo