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Quesito

Caro Padre Angelo,
[Questa è la domanda più complessa ed è una questione teorica] Sul problema della conoscenza del male.
Un uomo conosce i comandamenti, crede in Dio e osserva la sua Legge. Tuttavia tale uomo, interpretando la Legge secondo la sua coscienza, non si trova in accordo con la dottrina della Chiesa. Può capitare. Capita spesso, anzi.
Supponiamo, ad esempio (non rida, la prego, è un esempio forse meno sciocco di quello che sembra) che qui ci sia Robin Hood. Ruba ai ricchi per dare ai poveri. La Chiesa gli dice che rubare è sbagliato ma lui è convinto di fare il bene e, se per un solo momento avesse l’idea di offendere Dio, smetterebbe di compiere i furti. Egli compie peccato?
Non giudico l’azione in sé, quanto la disposizione dell’animo della persona. Ovvero, se compio un atto, convinto che sia giusto davanti a Dio, ma che per la Chiesa non lo è, compio peccato? Conta il fatto in sé o la volontà di offendere Dio?
So che ha già affrontato alcune delle questioni in altre discussioni, ma mi piacerebbe avere una risposta al riguardo.
Un saluto ed una preghiera


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. anzitutto bisogna fare una distinzione tra la legge di Dio e la legge della Chiesa.
La legge di Dio, se si tratta di legge naturale, non conosce dispense.
Il “non rubare” non appartiene semplicemente alla legge della Chiesa, ma alla legge di Dio.

2. Se uno in coscienza si sbaglia, ma il suo giudizio è certo e retto (vale a dire: ha cercato di informarsi), deve seguire la propria coscienza.
Questo è il parere di S. Paolo: “Io so, e ne sono persuaso nel Signore Gesù, che nulla è immondo in se stesso; ma se uno ritiene qualcosa come immondo, per lui è immondo” (Rm 14,14).
Pertanto la coscienza invincibilmente erronea va obbedita.

3. Tuttavia si deve ancora distinguere tra coscienza invincibilmente e incolpevolmente erronea e coscienza invincibilmente ma colpevolmente erronea.
Giovanni Paolo II nella Veritatis splendor afferma: “Nel caso in cui l’ignoranza invincibile non sia colpevole, la coscienza non perde la sua dignità, perché essa, pur orientandoci di fatto in modo difforme dall’ordine morale oggettivo, non cessa di parlare in nome di quella verità sul bene che il soggetto è chiamato a ricercare sinceramente” (VS 62).
Ma se la coscienza “è colpevolmente erronea, perché l’uomo non si cura di cercare la verità e il bene, e diventa quasi cieca in seguito all’abitudine al peccato” (Gaudium et spes 16), allora compromette la propria dignità.

4. Molto di più la coscienza vincibilmente erronea non può essere regola soggettiva degli atti umani, perché è necessario eliminare l’errore prima di agire.
Opportunamente Giovanni Paolo II ha detto che “non è sufficiente dire: “Segui sempre la tua coscienza”. È necessario aggiungere subito e sempre: Chiediti se la tua coscienza dice il vero o il falso e cerca instancabilmente di conoscere la verità”. Se non si facesse questa necessaria precisazione, l’uomo rischierebbe di trovare nella sua coscienza una forza distruttrice della sua umanità vera, anziché il luogo santo ove Dio gli rivela il suo bene” (17.8.1983).
L’ignoranza vincibile è avvertita dalla coscienza da alcuni segni, come quando ci si accorge che c’è qualcosa di sconveniente in una determinata azione, oppure viene il dubbio che sia meglio consultare una persona prudente ed esperta.
È invincibile, invece, quando non vi è il minimo dubbio sulla liceità di una determinata azione.

5. Con questi criteri generali ha dato implicitamente la risposta alla tua domanda.
Certamente per giudicare se vi sia peccato è necessario esaminare la volontà del soggetto (la sua intenzione), ma questa da sola non basta.
S. Paolo ricorda che “tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male” (2 Cor 5,10).

6. Infine per commettere peccato non si richiede la volontà esplicita di offendere Dio. Ci si distacca da Lui anche quando scientemente e liberamente si fa quanto è contrario alla sua legge.
Giovanni Paolo II in Veritatis splendor dice: “Si dovrà evitare di ridurre il peccato mortale ad un atto di opzione fondamentale, come oggi si suol dire, contro Dio, concepito sia come esplicito e formale disprezzo di Dio e del prossimo sia come implicito e non riflesso rifiuto dell’amore. Si ha, infatti, peccato mortale anche quando l’uomo, sapendo e volendo, per qualsiasi ragione sceglie qualcosa di gravemente disordinato. In effetti, in una tale scelta è già contenuto un disprezzo del precetto divino, un rifiuto dell’amore di Dio verso l’umanità e tutta la creazione: l’uomo allontana se stesso da Dio e perde la carità. L’orientamento fondamentale può, quindi, essere radicalmente modificato da atti particolari” (VS 70).

Ti saluto, ti prometto una preghiera e ti benedico.
Padre Angelo