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Quesito
Salve Padre Angelo,
le scrivo per esporre un mio grosso dubbio sulla vita sacerdotale, che a me piacerebbe intraprendere. Io credo di avere ottime abilità oratorie per poter fare catechesi, credo di essere abbastanza premuroso da potermi dedicare alle sofferenze spirituali e non degli altri, credo che sarei un buon sacerdote…
Però faccio fatica ad accettare il celibato.
Leggo sempre di come “Vita sacerdotale e vita da sposato” siano assolutamente incompatibili, ma io non riesco davvero ad accettarla questa cosa. E non in odio di per sé al celibato, San Paolo lo fu, ma perché nella Chiesa (sia occidentale che orientale), esso non è sempre esistito come obbligo impartito da Gesù o dagli apostoli.
Abbiamo sempre avuto numerosi sacerdoti sposati, con figli perfino. Oggigiorno i preti sposati esistono ancora nella Chiesa ortodossa, ma anche nelle Chiese cattoliche di rito orientale, in perfetta comunione con Roma, pur mantenendo la tradizione dei preti sposati.
Perché per queste ultime ciò è accettabile e per noi occidentali no se siamo “nella stessa squadra” e non si sta parlando di eretici o scismatici?
Tempo fa riflettevo su questo problema proprio davanti ad una Chiesa cattolica di rito bizantino a Roma, e mi stavo proprio dicendo “Cavolo, ma perché io mi devo fare tutti sti problemi? Fossi stato di rito bizantino nessuno avrebbe avuto da ridire.”
E non credo sia neanche vero che i preti sposati siano un “fallimento”, perché come già detto essi sono sempre esistiti (ed esistono ancora oggi, funzionando perfettamente). Parlando con alcuni preti ortodossi di questo problema mi hanno proprio detto che “Se non fossimo sposati non avremmo la stessa energia nel predicare”. E anche nell’Islam, ho conosciuto due Imam, entrambi con moglie e numerosi figli, che tranquillamente dedicavano tempo sia alla famiglia, sia all’insegnamento dell’Islam, sia al proprio lavoro (mentre poi, un prete della mia diocesi mi ha letteralmente ghostato, ovvero è sparito come se fosse un fantasma)
Come dovrei vivere tutto ciò? Cambiare rito è una tattica al limite del canonico e anche brutta da fare, sebbene io ami il rito bizantino di Crisostomo. Mi sento veramente bloccato, affranto, mi sembra quasi un’ingiustizia. Perché devo sentirmi in colpa o “nell’errore” se Dio non lo ha mai preteso e neanche la Chiesa per almeno un millennio?
Io temo che se un giorno diventassi un sacerdote potrebbe capitare che tornando in casa e sedendo sul divano potrei pensare “Vorrei un abbraccio da parte di una persona amata, mi sento solo”. So di molti preti che inciampano nell’alcol, o in altri vizi per colmare il vuoto. Non vorrei poi chiudermi in un autoconvincimento, perché dopo un percorso del genere, è difficilissimo pensare di poter abbandonare “la chiamata” per via della depressione da solitudine.
Grazie
Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. nonostante tutte le buone motivazioni che hai portato, la Chiesa latina preferisce il celibato.
Il primo motivo sta nel fatto che fin dall’inizio alcuni sono rimasti celibi, sebbene non fosse detto esplicitamente che fosse necessario essere celibi per essere sacerdoti.
Alcuni ne hanno sentito l’esigenza.
Proprio per questo motivo, il concilio di Cartagine alla fine del secolo quarto, ha disposto tale disciplina per i sacerdoti, affermando che essa è radicata nella prassi apostolica.
2. Come ha ricordato Benedetto XVI il celibato si è sentito necessario in riferimento all’eucaristia quotidiana.
Se i sacerdoti dell’Antico Testamento per compiere l’esercizio del loro ministero, che consisteva nell’entrare nel santuario e versare il nuovo incenso, si richiedeva la purità sessuale da almeno tre giorni per avere un cuore maggiormente rivolto a Dio a motivo di quel particolare atto di culto, quanto più questo è necessario quando si tratta della celebrazione dell’eucaristia, che rende presente sull’altare Gesù Cristo stesso nell’atto supremo della redenzione: il sacrificio della croce.
3. Secondo Benedetto XVI è stata l’eucaristia quotidiana ad imporre questa prassi e a chiedere ai sacerdoti di celebrare il culto a Dio con il cuore indiviso.
4. Tu immagini il sacerdote, che tornato a casa, riposa sul divano nell’abbraccio della moglie.
Io preferisco pensare al sacerdote che torna a casa e si lascia abbracciare da Gesù Cristo, continua a confidargli sia le persone che ha incontrato, sia l’efficacia delle parole che ha detto e sia le speranze che ha suscitato perché il Signore le porti a compimento.
5. Non sto a fare i confronti se siano migliori i preti sposati o i preti celibi.
Tu menzioni alcune derive tra i preti celibi.
Non si può essere ingenui così da pensare che le derive ci siano solo da una parte.
Perché dove ci sono uomini, lì ci sono miserie (ubi homines, ibi miseriae).
6. Tutto sommato, l’immagine del prete come tu te lo presenti e a cui aspireresti, dà ancora l’impressione di un funzionario. Finito il suo lavoro, torna a casa e si riposa.
Mentre Gesù ha chiamato gli apostoli perché stessero con lui e poi anche per mandarli a predicare e a cacciare i demoni. Così si legge in Marco 3,14.
Il sacerdote è uno che sta con il Signore.
Il Signore è il suo complemento.
Il Signore è il suo tutto.
La sua sposa sta nelle anime che il Signore gli affidato perché le custodisca tutte per la vita eterna.
La Chiesa latina discerne la vocazione sacerdotale solo in chi ha la volontà di dedicarsi totalmente a Dio e al prossimo.
7. Il sacerdote non può pensare al suo ministero come un lavoro simile a quello degli altri.
Anche quando è materialmente solo, è chiamato a stare davanti al Signore e a pregare per quelli che gli sono stati affidati, per quelli che sono in pericolo, per quelli che sono morti.
8. Se mi è permesso di darti un consiglio, dal momento che in te vi sono ottime disposizioni nei confronti del sacerdozio, chiedi insistentemente al Signore la grazia della vocazione, la grazia di donarti totalmente fino in fondo come ha fatto lui.
Chiedila attraverso la mediazione della preghiera di Maria.
Se la nostra preghiera porta sempre i segni di tante debolezze e di tante imperfezioni, la preghiera della Madonna è onnipotente.
È stata definita “omnipotentia supplex”, onnipotente nella preghiera.
Alla tua preghiera aggiungo volentieri la mia perché anche tu, chiamato come gli apostoli, sia pronto a lasciare tutto per seguire il Signore.
Ti benedico e ti auguro ogni bene,
padre Angelo