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Buongiorno padre Angelo,
Da quando ho ripreso in mano la mia vita cercando di seguire Gesù mi trovo spesso combattuta in alcune circostanze.
Il Vangelo dice:
Mt 5,41 E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due.
Mt 5,42 Da’ a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle.
Ma qual è il limite che bisogna rispettare per non essere manipolati dalle persone?
Mi trovo spesso ad avere a che fare con persone che ‘pretendono’ e che se non fai come dicono loro ti giudicano.
In cuor mio ho la paura di essere giudicata egoista, indifferente, una cattiva cristiana, di dare un dispiacere, di perdere un amico, la paura che non mi venga fatto più alcun favore. Ma non voglio nemmeno sentirmi ‘schiava’ di queste paure e dipendere dagli altri.
I santi sottostavano a tutto e sopportavano tutto per amore di Gesù ma la cosa non mi convince ancora. C’è qualcosa di sbagliato…. devo servire Dio, non essere schiava del giudizio del mio prossimo.
In cuor mio sento di fare abbastanza per gli altri ma alle volte questo non basta e mi sento sempre in difetto. Questo mi causa nervosismi e devo ammettere che verso alcune persone che cercano di approfittarsi nutro rancore.
Come mi devo regolare?
Francesca
Cara Francesca,
ti riporto anzitutto l’interpretazione dei Santi Padri alle parole di Nostro Signore che mi hai riportato.
1. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due.
Sant’Agostino ricorda che “questo ammonimento non riguarda tanto il camminare fisico quanto piuttosto la disposizione dell’animo”.
La nostra disponibilità nei confronti degli altri deve essere il più larga possibile.
Il limite: che anzitutto siamo chiamati a provvedere alle necessità nostre personali e di chi ci è più prossimo.
E il più prossimo a noi sono i nostri famigliari nei confronti dei quali abbiamo dei doveri inderogabili.
Dice ancora Sant’Agostino: “Per prima cosa impara ad amare te stesso… Infatti se non sai amare te stesso, come potrai amare veramente il prossimo?” (Sermo 368,5).
2. Per cui non è lecito tralasciare il proprio dovere per qualunque motivo, magari fosse un mezzo capriccio del nostro prossimo.
Solo in caso di grave necessità dobbiamo sospendere il nostro dovere per renderci disponibili per il prossimo.
Dobbiamo tenere presente anche che il nostro più prossimo sono quelli nei confronti dei quali abbiamo delle particolari responsabilità e sono i nostri famigliari.
Dice infatti la Sacra Scrittura: “Se uno non pensa ai suoi, massime a quei di casa, costui ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele” (1 Tm 5,8).
San Tommaso commenta: “Dunque si deve avere una carità maggiore verso i congiunti” (Somma teologica, II-II, 26, 7, sed contra ).
3. Per il secondo versetto che hai riportato:
Da’ a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle.
Dobbiamo tenere presente quanto dice San Giovanni Crisostomo: “Poiché le nostre ricchezze non sono nostre, ma di Dio: Dio infatti ha voluto che noi fossimo dispensatori delle sue ricchezze, non padroni”.
E Sant’Agostino: “Dice dunque: dà a tutti quelli che chiedono, ma non tutto, in modo da dare ciò che puoi dare onestamente e giustamente.
Che fare infatti se uno chiede del danaro per cercare di opprimere un innocente? O se chiede un’azione vergognosa? Bisogna dare dunque ciò che non nuoccia né a te né ad altri, per quanto può giudicare un uomo; e quando hai rifiutato una richiesta inammissibile, bisognerà spiegargli la causa affinché se ne vada soddisfatto; quando gli darai la correzione che merita la sua ingiusta domanda, gli avrai dato di più che se avessi accontentato la sua richiesta” (De Sermone Domini, 1,20).
San Girolamo offre anche un’altra interpretazione: “Può anche essere inteso il danaro dell’insegnamento che non viene mai meno ma, quanto più viene dato, tanto più viene duplicato” (Commento a Matteo).
4. Un altro autore che viene passato con il nome di Crisostomo scrive: “Quindi Cristo ci comanda di dare il prestito, non però sotto usura, poiché chi dà in questo modo non dà le cose sue, ma porta via quelle altrui; scioglie da un vincolo e lega con molti; e non dà per la giustizia di Dio, ma per il proprio guadagno.
Inoltre il denaro usurario è simile al morso del serpente: come infatti il veleno del serpente corrompe nascostamente tutte le membra, così l’usura cambia in debito tutti i possedimenti”.
5. Sant’Agostino osserva che alcuni obiettano che questo insegnamento di Cristo non è compatibile con l’ordine pubblico. Infatti se si permette agli empi di approfittare della bontà dei cristiani, essi diventano sempre più empi perché la cattiva volontà è rafforzata come un nemico interiore.
Per cui se il precetto della pazienza non deve mai abbandonare il fondo del cuore e se la bontà che ci porta a rendere bene per male deve risiedere permanentemente nella volontà, tuttavia si dovranno pur punire, sebbene controvoglia e con una certa benigna severità, gli usurpatori dei nostri beni.
È un bene grande quello che si fa all’empio quando gli si toglie la libertà del male” (Ad Marcellinum, ep. 138,2).
Ecco dunque i limiti: che le richieste altrui siano più cogenti dei nostri doveri e che il bene che facciamo non giovi agli approfittatori per diventare sempre più iniqui.
Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo