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Caro Padre Angelo,
oggi ho avuto una discussione con alcuni miei colleghi non credenti (siamo studenti e/o ricercatori in Fisica) riguardo al fatto che a loro dire la felicità umana dipenda da e sia frutto solamente di reazioni chimiche che avvengono nel cervello. Sostenevano inoltre che questo sia il risultato degli ultimi studi di neuroscienze.
Ho obiettato che i drogati, anche se provassero “estasi euforiche” lunghissime, non sono veramente felici della loro vita (anzi!), che la scienza non è deputata a capire il senso della nostra vita (che si occupa di capire come sono le cose e non perché) che le neuroscienze non sanno ancora come fra loro comunichino due neuroni, che abbiamo una coscienza e una libertà che sarebbero eliminate qualora fosse vero quanto sostengono, che le esperienze interiori di amore e amicizia possono naturalmente portare uno a dire che la sua vita e la sua felicità siano molto più di una mera reazione o di un insieme di reazioni.
Gradirei una sua riflessione, eventualmente più ampia della mia, in merito.
La ringrazio e la ricordo in preghiera.
Saluti,
Gabriele


Caro Gabriele,
1. mi pare che tu abbia dato una risposta più che sufficiente, soprattutto quando hai detto che “le neuroscienze non sanno ancora come fra loro comunichino due neuroni, che abbiamo una coscienza e una libertà che sarebbero eliminate qualora fosse vero quanto sostengono”.

2. Non entro nel merito della comunicazione dei neuroni fra di loro, che non è di mia specifica competenza, ma in quello della libertà.
È verissimo quanto hai affermato: se tutto dipendesse dalla combinazione dei neuroni fra di loro, saremmo nel più piatto materialismo e determinismo.
Mentre l’esperienza primigenia di ogni persona è proprio quella della libertà.
Ognuno avverte di esserlo. E questa testimonianza della coscienza è così profonda e universale che se dovessimo negarla, dovremmo negare tutte le altre testimonianze della coscienza: di aver fame o freddo, di soffrire, di amare,….

3. Per Cartesio la persuasione di essere liberi farebbe parte delle idee innate.
Ha detto testualmente: “Il fatto che vi sia libertà nella nostra volontà e che ad arbitrio possiamo assentire o non assentire a molte cose, è manifesto al punto che è da annoverarsi fra le nozioni prime e affatto comuni che ci sono innate” (CARTESIO, Principi della filosofia, 39).
Ora, a parte la discussione che si può fare sulla fondatezza della teoria delle idee innate, c’è da rilevare il convincimento comune di essere dotati di libertà.

4. S. Tommaso porta come primo argomento a favore della libertà il consenso universale dei popoli. Scrive: “L’uomo possiede il libero arbitrio: altrimenti vani sarebbero i consigli, le esortazioni, i precetti, le proibizioni, i premi e le pene” (Somma teologica, I-II, 83,1).
Tutta la struttura della vita associata con i suoi regolamenti è una testimonianza perenne della libertà.
Portare una persona in tribunale e condannarla per il male commesso sarebbe un grande ingiuria, dal momento che nessuno sarebbe libero e pertanto responsabile delle proprie azioni.

5. Se volessimo andare più a fondo e vedere quale sia il fondamento della libertà dell’uomo lo troveremmo nella natura razionale della sua intelligenza.
Questa razionalità si esprime nel fatto che siamo portati a soppesare ciò che cade sotto la nostra conoscenza.
A differenza delle menti intuitive (come quelle angeliche) che vedono tutto e subito, la nostra conoscenza parte dai sensi i quali colgono solo il particolare.
E a differenza delle conoscenze unicamente sensitive (come quelle degli animali) che colgono solo quel particolare (per cui, ad esempio, messo il formaggio nella trappola siamo certi di prendere il topo), noi invece compiamo processi di analisi e di sintesi, colleghiamo o disgiungiamo i particolari fra di loro.

6. Proprio a motivo dalla matura razionale della nostra intelligenza qualunque bene si presenta ai nostri occhi sempre come un bene parziale e incompleto.
Per questo la volontà non si sente costretta a conseguirlo.
Anche Dio, fin che siamo di qua, lo cogliamo come uno dei tanti oggetti perché non lo conosciamo così come è, ma ad instar rerum corporearum, e cioè come se fosse uno dei tanti oggetti corporei.
Per questo S. Tommaso affermava che “la radice o la prima origine di tutta la libertà è costituita nella ragione” (De veritate, 24,1).

7. Ma a parte quanto si è detto finora, c’è un’altra sorgente della felicità che sfugge completamente a coloro che riducono la mente umana solo alla combinazione di neuroni: ed è l’esperienza soprannaturale della grazia.
È in particolare l’esperienza del neo convertito, che precedentemente neanche immaginava potesse esistere una tale sorte di felicità, che non ha origine da nessuna combinazione neuronale, ma dall’infusione, anzi dall’irruzione della vita celeste e divina nel cuore dell’uomo.
Ed è anche l’esperienza di chi vivendo una particolare esperienza di grazia gode della presenza personale di Dio nel proprio cuore.
È ciò di cui scrive San Tommaso quando afferma che “l’amore dello Spirito Santo fa irruzione nell’anima come un torrente impetuoso, perché la sua volontà è così efficace che nessuno può resistergli; non si trattiene un torrente. Gli uomini spirituali sono inebriati di delizie perché tengono la loro bocca aderente alla sorgente della vita” (Commento al Salmo 36,9).
E dice che si tratta di una gioia che “sorpassa qualsiasi gioia umana” (Somma teologica, II-II, 180, 7) ed è “un certo inizio della felicità del cielo, della beatitudine” (Ib., II-II, 180, 4).

8. Se i tuoi interlocutori avessero fatto tale esperienza (purtroppo ne dubito) capirebbero che certe esperienze non sono di origine né naturale e né preternaturale, ma soprannaturale.
In certi casi l’esperienza è l’unica via della conoscenza.

Perché tu e gli altri tuoi amici la possiate fare e vivere con grande intensità, assicuro la mia preghiera e vi benedico.
Padre Angelo