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Caro Rev.do padre Angelo,
la ringrazio per il tempo che dedica a questo servizio così importante (che bello sarebbe riunire in una pubblicazione le domande più importanti, e le risposte più utili, perchè sempre più fedeli possano conoscere la Parola di Dio e il Magistero della Chiesa).
Le scrivo in merito ad un punto su cui è già stato interrogato da qualche visitatore: la celebrazione del Sacrificio eucaristico con la sola presenza del Sacerdote celebrante.
Aderendo al magistero della Chiesa circa la validità del Sacramento, la lettura del canone 906 CIC mi ha risvegliato qualche perplessità circa la sua opportunità (sulla legittimità, mi rimetto alla sua risposta). Il canone dice: “Il sacerdote non celebri il Sacrificio eucaristico senza la partecipazione di almeno qualche fedele, se non per giusta e ragionevole causa”.
Ho letto anche che questo canone era riprodotto (o meglio, questo ha riprodotto quello) nel codice del 1917, più o meno negli stessi termini, quindi si tratta di una disciplina “pre-conciliare”.
Leggo anche nella Istruzione “Eucharisticum mysterium”: “Nella celebrazione della Messa appaiono manifesti successivamente i principali modi in cui Cristo è presente alla sua Chiesa, poiché, in primo luogo, egli appare presente nella stessa assemblea dei fedeli, riunita nel suo nome; poi nella sua Parola, quando viene letta e spiegata la Scrittura, e nella persona del ministro; infine, e in modo speciale, sotto le Specie eucaristiche” (n. 55).
In una occasione lei ha scritto: “Ultimamente i Papi non hanno cessato di esortare i sacerdoti a celebrare quotidianamente anche se non vi fosse la presenza del popolo.”
Ho letto le testimonianze del Car. Van Thuan, prigioniero per molti anni del regime comunista, che celebrava giornalmente l’Eucaristia, con qualche goccia di vino in una mano, e qualche briciola di pane (azzimo) nell’altra, davvero toccante.
Ma d’altra parte personalmente mi è accaduto questo: ad un camposcuola parrocchiale, di ritorno da una escursione, era quasi mezzanotte, il sacerdote che ci accompagnava si assentò, perchè, diceva, doveva celebrare la messa, non essendo mai mancato nella celebrazione quotidiana. Dopo poco tempo lo vedemmo tornare, contento di aver soddisfatto l’impegno.
Ecco, le chiedo quale sia la giusta e ragionevole causa che possa giustificare un sacerdote a celebrare la messa senza il popolo, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, soprattutto in termini di opportunità.
La ringrazio per la risposta che vorrà darmi, prego per lei e perchè il Signore alimenti ogni giorno il fuoco della sua vocazione.
Filippo


Caro Filippo,
1. giusta e ragionevole causa può essere questa: che si prevede che nell’arco della giornata non si avrà l’opportunità di poter celebrare la Messa. Questo è stato il caso del sacerdote di cui mi hai parlato nella tua mail.
Questo è il caso di altri che ad esempio a motivo delle lezioni e degli spostamenti da un posto all’altro non hanno la possibilità di celebrare la Messa d’orario nella quale in genere c’è sempre qualche fedele o non si possono aggiungere per la concelebrazione.

2. Anche in passato nell’Ordine domenicano i sacerdoti avevano la possibilità concessa dalla Santa Sede di celebrare senza la partecipazione dei fedeli.
Il motivo era chiaro: dovevano partire per la predicazione e affrontare un viaggio che – fatto a piedi – a volte durava giorni e giorni senza avere la possibilità di trovare una Chiesa.
Tanto più che in passato si poteva celebrare solo al mattino. Non era prevista la Messa vespertina, stante tra l’altro la disciplina dell’obbligo del digiuno dalla mezzanotte.

3. Ora per un sacerdote l’azione più preziosa e più benefica tra tutte quelle che può compiere in giornata senza dubbio è la Santa Messa.
Il santo Curato d’Ars diceva che la ragione è questa: tutte le altre sono azioni di uomini, questa invece è azione di Dio.

4. San Tommaso parlando dell’efficacia dell’Eucaristia scrive:
“L’utilità poi di questo sacramento è grande e universale.
È grande, poiché al presente causa in noi la vita spirituale, e finalmente causerà la vita
eterna, come abbiamo già detto.
Infatti, essendo questo il sacramento della passione del Signore, come qui sopra abbiamo notato, contiene in sé il Cristo come vittima; cosicché tutti gli effetti della passione sono anche effetti di questo sacramento.
Infatti questo sacramento altro non è che l’applicazione a noi della passione del Signore.
Poiché, non essendo opportuno che Cristo rimanesse sempre con noi con la sua presenza visibile, egli volle supplirvi con questo sacramento.
Perciò è evidente che la distruzione della morte, operata da Cristo con la propria morte, e il ripristino della vita, che Cristo ha causato con la sua risurrezione, sono gli effetti di questo sacramento”.

5. Prosegue San Tommaso: “Tale utilità inoltre è universale, perché la vita che conferisce non è limitata a un solo uomo, ma per quanto dipende da essa si estende a tutto il mondo, secondo l’efficacia della morte di Cristo. «Egli è propiziazione per i nostri peccati, e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo».
Inoltre si deve notare che l’efficacia in questo sacramento ha una estensione diversa dagli altri sacramenti; poiché gli altri sacramenti hanno effetti limitati ai singoli soggetti. Nel battesimo, per es., riceve la grazia solo chi viene battezzato.
Invece nella celebrazione di questo sacramento l’effetto è universale; poiché esso si estende non solo al sacerdote che celebra, ma anche a quelli per i quali egli prega e a tutta la Chiesa, sia a quella dei vivi, come a quella dei morti.
E la ragione sta nel fatto che in questo sacramento è presente la stessa causa universale di tutti i sacramenti, cioè Cristo” (Commento al Vangelo di Giovanni 6,52).
Ecco qui la preziosità della Messa celebrata dal sacerdote.
Non c’è opera più grande e più utile che possa fare quotidianamente per coloro che il Signore gli ha affidato perché li custodisca per la vita eterna.

6. Perché allora privare il celebrante e la Chiesa tutta di un beneficio così grande e prezioso?
Tanto più che il sacerdote quando celebra non è mai da solo.
Agisce in persona Christi, ma anche in persona Ecclesiae di cui è ministro e per la quale celebra.

7. Colgo l’occasione per sottolineare che quest’efficacia nei singoli fedeli è proporzionata al grado di unione con Cristo.
Dice ancora San Tommaso: “Mangia spiritualmente la carne e beve il sangue, rispetto a Cristo là contenuto e significato, chi a lui si unisce con la fede e la carità, per trasformarsi in lui e divenire membro di lui.
Poiché questo cibo non si trasforma affatto in colui che lo assume, ma trasforma in sé chi lo mangia, secondo la frase che gli attribuisce sant’Agostino: «Io sono il cibo dei grandi: cresci e mangerai di me; però non sarai tu a trasformarmi in te, ma sarò io a trasformarti in me»
Perciò è un cibo il quale è in grado di rendere l’uomo divino, e di inebriarlo con la sua divinità.
Lo stesso si dica riguardo al corpo mistico, che qui è solo significato se chi si comunica diviene partecipe dell’unità della Chiesa” (Commento al Vangelo di Giovanni 6,55).

Ti ringrazio per aver attirato attenzione sul bene in assoluto più grande che il Signore ha messo nelle nostre mani.
Ti ricorderò in particolare nella prossima Messa che celebrerò e ti benedico.
Padre Angelo