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Quesito
Caro Padre,
il merito della sofferenza, del lavoro, delle opere è dato dall’amore e in un secondo tempo dalla difficoltà.
Ma allora mi chiedo quelle persone che soffrono e magari non conoscono Gesù soffrono 2 volte uno perché non dando un senso alla sofferenza quest’ultima è più dura e 2 perché non meritano (anche se è vero che molti anche senza conoscerlo si rassegnano alla sofferenza e sprigionano amore meritando molto).
Stessa cosa si può dire del lavoro, se uno fa un lavoro che gli piace sarà portato ad amarlo ma uno che per esempio fa un lavoro logorante (per necessità perché non ha trovato altro ecc…) difficilmente riuscirà ad amare il proprio lavoro (pensiamo a lavori come la catena di montaggio ecc..) anche qui oltre la sfortuna di fare un lavoro duro non merita da un punto di vista soprannaturale quindi sembra che a volte anche la fortuna ci aiuta a meritare più o meno (anche se la fortuna per chi vede le cose nella prospettiva di Dio non esiste).
Luca
Risposta del sacerdote
Caro Luca,
dobbiamo precisare le cose.
1. Quando in teologia si dice che il merito delle opere deriva dall’amore, per amore s’intende la carità.
La carità è la maniera divina di amare infusa in noi mediante la grazia.
Per questo, trattandosi di un amore soprannaturale, può portare frutti di ordine soprannaturale, e cioè meritare per la vita eterna.
Gesù stato chiaro: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto… Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano” (Gv 15,1-2.4-6).
E San Paolo: “E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova” (1 Cor 13,3).
Il catechismo della Chiesa Cattolica è molto preciso e dice: “la carità di Cristo in noi è la sorgente di tutti i nostri meriti davanti a Dio. La grazia, unendoci a Cristo con un amore attivo, assicura il carattere soprannaturale dei nostri atti e, di conseguenza, il loro merito davanti a Dio e davanti agli uomini” (CCC 2011).
2. Inoltre la difficoltà o la sofferenza non sono sorgente del merito in secondo tempo. Ma influiscono nel merito solo nella misura in cui fanno crescere la carità.
Perché si può soffrire anche malamente, bestemmiando, come avvenne per il ladrone posto alla sinistra di Gesù in croce. E allora non si merita niente.
3. Resta vero che chi non raccoglie con Cristo lavora e soffre penando maggiormente.
Per questo il Signore ha detto: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero»” (Mt 11,28-30).
Ti ringrazio come sempre, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo