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Quesito
Caro Padre Angelo,
mi scuso in anticipo per l’apparente frivolezza del quesito.
Si tratta della “Salve Regina”. Mi imbarazza un poco rivolgere a Maria le parole “Orsu’ dunque…”. Non soltanto è un modo di parlare del tutto antiquato (oggi chi si rivolgerebbe così a un interlocutore?), ma mi pare addirittura scortese. Mi sembra come se Le dicessi “e andiamo, forza, muoviti…”.
Per farla breve, quando dico quella preghiera il piu’ delle volte salto quelle due parole che mi creano qualche imbarazzo. Ho torto? Faccio male?
La ringrazio per il Suo prezioso servizio e La ricordo nella preghiera.
Armando
Risposta del sacerdote
Caro Armando,
è vero che quelle parole “orsù dunque” non sono comuni nel nostro linguaggio. Ma traducono abbastanza fedelmente quelle latine: “eja ergo”.
In questa espressione tu vi leggi qualcosa di irriguardoso.
A dire il vero io non l’ho mai rilevato. Anzi, quest’espressione è il grido di uno che si trova in una particolare necessità e dice a sua Madre di far presto perché ne ha bisogno.
Del resto, espressioni analoghe si trovano anche nei Salmi: “Svègliati, perché dormi, Signore? Dèstati, non ci respingere per sempre” (Sal 44,24).
Probabilmente la Conferenza episcopale italiana, che ha ritoccato diverse parole di alcune preghiere tradizionali, non ha trovato a questo proposito una parola più adeguata e fedele al testo latino.
In ogni caso, nella tua preghiera privata puoi comportarti come meglio credi. Se salti quelle due parole, non commetti nessun peccato.
Questa preghiera, per quanto bella e commovente soprattutto quando è cantata in latino nella melodia gregoriana, non è parola di Dio, come invece lo è il Padre Nostro e come lo è la prima parte dell’Ave Maria.
Ti ringrazio per l’apprezzamento per il nostro lavoro e per la preghiera, che ricambio cordialmente. Ti benedico.
Padre Angelo