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Caro Padre Angelo,
Vorrei sapere la differenza tra evangelizzazione e proselitismo.
Inoltre vorrei capire come bisogna comportarsi in alcuni casi.
Se ad esempio si ha un amico ateo si può parlare a lui di Dio proponendo le ragioni della fede?
Se un proprio genitore é un pò distante dalla Chiesa e non partecipa a Messa si può spiegare ad esso l’importanza del santificare le feste dicendo che é bello dar lode al Signore.
Si può convincere una persona su una cosa giusta e oltre a pregare si può liberamente parlare o no?
Se una persona vicina o lontana commette una colpa lo si può riprendere per fargli rendere conto del male e condurlo al bene?
Io non credo che sia sbagliato voler parlare della vita cristiana.
Bisogna testimoniare con le opere l’amore di Dio ma é giusto anche persuadere positivamente una persona parlandogli delle cose di Dio?
Grazie mille sempre a Dio per il suo Servizio.
Attendo una sua risposta a questi dubbi.
In anticipo grazie.


Carissimo,
1. tutti siamo chiamati ad evangelizzare, a diffondere la vita soprannaturale della grazia che Dio ci ha donato e senza della quale non è possibile raggiungere la vita eterna.
Dobbiamo farlo imparando dal nostro Maestro, il quale prima cominciò a fare e poi a insegnare come ricordano gli Atti degli Apostoli (At 1,1).

2. Ed è quanto ha voluto ricordare Paolo VI nell’esortazione postsinodale “Evangelii nuntiandi”.
Al primo posto indubbiamente ci dev’essere la testimonianza della vita.
Una testimonianza non ostentata, ma naturale, genuina come quella del fuoco che di sua natura – oltre a riscaldare – illumina.

3. Ecco le parole del Papa: “Ed essa (la buona novella) deve essere anzitutto proclamata mediante la testimonianza.
Ecco: un cristiano o un gruppo di cristiani, in seno alla comunità d’uomini nella quale vivono, manifestano capacità di comprensione e di accoglimento, comunione di vita e di destino con gli altri, solidarietà negli sforzi di tutti per tutto ciò che è nobile e buono.
Ecco: essi irradiano, inoltre, in maniera molto semplice e spontanea, la fede in alcuni valori che sono al di là dei valori correnti, e la speranza in qualche cosa che non si vede, e che non si oserebbe immaginare.
Allora con tale testimonianza senza parole, questi cristiani fanno salire nel cuore di coloro che li vedono vivere, domande irresistibili: perché sono così? Perché vivono in tal modo? Che cosa o chi li ispira? Perché sono in mezzo a noi?
Ebbene, una tale testimonianza è già una proclamazione silenziosa, ma molto forte ed efficace della Buona Novella.
Vi è qui un gesto iniziale di evangelizzazione” (EN 21).

4. Poi Paolo VI soggiunge: “Tuttavia ciò resta sempre insufficiente, perché anche la più bella testimonianza si rivelerà a lungo impotente, se non è illuminata, giustificata – ciò che Pietro chiamava «dare le ragioni della propria speranza» (1 Pt 3,15), – esplicitata da un annuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù.
La Buona Novella, proclamata dalla testimonianza di vita, dovrà dunque essere presto o tardi annunziata dalla parola di vita.
Non c’è vera evangelizzazione se il nome, l’insegnamento, la vita, le promesse, il Regno, il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, non siano proclamati (EN 22).

5. Veniamo adesso al proselitismo.
Per comprendere la portata di questa parola è necessario rifarsi alla Sacra Scrittura che parla più volte di proseliti.
Si tratta di persone provenienti dal paganesimo che si erano aggiunte ai giudei ed erano insieme con loro osservanti della legge, delle feste e del culto.
Proseliti erano presenti accanto ai giudei nel giorno di Pentecoste e udivano gli apostoli annunciare nelle proprie lingue le grandi opere del Signore (At 2,11)

6. A questa parola “proseliti” la Bibbia di Gerusalemme annota: “Proseliti: sono coloro che, pur non essendo giudei di origine, hanno abbracciato la religione giudaica e accettato la circoncisione e così sono divenuti membri del popolo eletto (cfr At 6,5 e 13, 43; Mt 23,15).
Costoro però non sono da confondersi con i «timorati di Dio» (At 10,2), i quali simpatizzavano per il giudaismo e frequentavano le sinagoghe, ma non giungevano alla circoncisione e alla pratica rituale della legge.
«Giudei» e «proseliti» non sono quindi nuove denominazioni di popoli, ma solo termini qualificanti quelli già enumerati” (nota a At 2,11).

7. Gli Ebrei erano persuasi che vi è un unico Dio lassù in cielo e quaggiù sulla terra.
E se vi è un solo Dio, allora Dio non è il Dio di un solo popolo ad esclusione di altri.
Di qui la necessità di condurgli gli stranieri e farne dei proseliti, che letteralmente sta ad indicare “coloro che sono venuti ad aggiungersi, i nuovi venuti”.
I giudei erano dunque contenti di fare dei proseliti, i quali però rimanevano sempre proseliti.

8. San Paolo nella sua predicazione converte a Cristo sia giudei che proseliti, come appare da At 13,43: “Sciolta l’assemblea, molti Giudei e prosèliti credenti in Dio seguirono Paolo e Bàrnaba ed essi, intrattenendosi con loro, cercavano di persuaderli a perseverare nella grazia di Dio”.

9. Oggi però alla parola proselitismo talvolta viene dato un significato deteriore, quello di fare seguaci attraverso un indottrinamento.
Ma il cristianesimo non è una dottrina o un’ideologia: è invece un avvicinarsi a Cristo e un accogliere la vita divina dentro di sé.
Ora l’avvicinarsi a Cristo viene causato dalla testimonianza di vita che suscita ammirazione, come riferisce Tertulliano quando scrive che i pagani vedendo i cristiani erano soliti meravigliarsi tanto che dicevano: “Guardate i cristiani come si amano”.

10. Qualcosa del genere capitò a San Pacomio († 348). Era un pagano e reclutato nell’esercito contro la sua volontà. A Tebe vide dei cristiani che portavano cibo ai carcerati. Ne rimase così impressionato che volle approfondire il cristianesimo e uscito dall’esercito si fece battezzare e andò a vivere vicino ad Antonio (abate). In seguito diede alla vita monastica la forma cenobitica (comunitaria).
Ma Pacomio si convertì perché ebbe l’opportunità di conoscere le motivazioni della condotta dei cristiani.

11. In questo senso Papa Francesco ha detto: “quando la gente, i popoli vedono questa testimonianza di umiltà, di mitezza, di mansuetudine, sentono il bisogno…”.
Soprattutto davanti “alla testimonianza della carità, di questa carità umile, senza prepotenza, non sufficiente, umile, che adora e serve”.

12. Venendo adesso alle singole domande che mi hai posto:
Se ad esempio si ha un amico ateo si può parlare a lui di Dio proponendo le ragioni della fede?
Sì, se questo non lo disturba.
Diversamente ci si accontenta della testimonianza di vita e della preghiera per lui.

Se un proprio genitore é un pò distante dalla Chiesa e non partecipa a Messa si può spiegare ad esso l’importanza del santificare le feste dicendo che é bello dar lode al Signore.
Sì, ma se si vede che è apatico conviene intraprendere le strade della preghiera e del sacrificio, che toccano i cuori ben più delle parole, come diceva Santa Teresina del Bambin Gesù.

Si può convincere una persona su una cosa giusta e oltre a pregare si può liberamente parlare o no?
Sì, se si vede che il dialogo è opportuno.
Se non è opportuno e non è gradito si deve procedere con la preghiera e i sacrifici.

Se una persona vicina o lontana commette una colpa lo si può riprendere per fargli rendere conto del male e condurlo al bene?
Sì, se si prevede che la correzione porterà qualche beneficio.

Io non credo che sia sbagliato voler parlare della vita cristiana.
Bisogna testimoniare con le opere l’amore di Dio ma é giusto anche persuadere positivamente una persona parlandogli delle cose di Dio?
Non solo è giusto ma è anche necessario.
Ma la testimonianza della vita è imprescindibile.
Tuttavia la testimonianza – come diceva Paolo VI – è solo l’inizio. Va motivata. È “un gesto iniziale di evangelizzazione” (EN 21).

Ti ringrazio per la pazienza nell’attendere, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo

Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo