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Roma, 25/01/2018,
Festa della Conversione di san Paolo
Al laicato dell’Ordine dei Predicatori
Cari sorelle e fratelli laici dell’Ordine dei Predicatori,
è nello slancio della celebrazione del Giubileo dell’Ordine che mi rivolgo a voi che nei prossimi mesi preparerete l’Assemblea Internazionale del Laicato Domenicano. Senza dubbio in tutte le regioni sarà un evento di grande importanza per celebrare la grazia data all’Ordine, nell’avere sorelle e fratelli laici come membri attivi della sua missione. Secondo la specificità di ogni regione, sarà anche un’occasione per considerare ancora una volta il modo in cui oggi la vocazione laica sia sempre più importante se l’Ordine deve inculturare meglio la proclamazione della buona novella della venuta del Regno. Per tutto l’Ordine e nella prospettiva aperta durante il congresso sulla Missione dell’Ordine che ha concluso la celebrazione del Giubileo nel gennaio 2017, esprimo il desiderio che l’Assemblea sia l’occasione di una chiamata impegnativa ad una creatività apostolica che integri davvero la specifica partecipazione del Laicato dell’Ordine. È in questo modo che quest’ultimo può servire al meglio il mondo e la Chiesa con la predicazione, 800 anni dopo la decisione di Domenico di mandare i suoi frati ai quattro angoli del mondo, mi pare che tale mandato debba trovare oggi la sua attualizzazione, non soltanto tenendo presenti le preoccupazioni di una dispersione “geografica” ma anche cercando di stabilire la predicazione dell’Ordine rendendola ricca della diversità di culture e di stati di vita. E scoprendo che è tramite la ricchezza di tale diversità che l’Ordine è chiamato oggi a manifestare la sua identità di unico “corpo predicante”, radicato in comunione nella stessa chiamata a “dedicarsi totalmente all’evangelizzazione della Parola di Dio”.
Tutti sappiamo che la realtà delle fraternite laiche dell’Ordine è molto diversa a secondo delle regioni, che il loro dinamismo varia e che la loro piena integrazione nella vita dell’Ordine è diversa da un luogo all’altro. Sappiamo anche che possiamo sprecare troppo tempo e energia nell’interrogarci sulla “identità” domenicana delle fraternite, senza che questo porti i frutti di vita come speriamo. Ma con molti di voi, sono convinto che la vita del Laicato dell’Ordine nascerà non dal focalizzarsi sulle formalità e strutture, bensì dal coraggio di sentire la chiamata fatta all’Ordine, perché è Ordine di Predicatori: cioè di servire la missione della Chiesa la quale, essendo il Popolo di Dio pellegrino nella storia (Lumen Gentium), continuamente diventa ciò che è chiamato ad essere nel proclamare la venuta del Regno. Non è questo il percorso sul quale siamo guidati da tanti laici domenicani quali Pier Giorgio Frassati e Giorgio La Pira? Seguendo il Concilio Vaticano II, è cruciale ricordare che i laici in virtù del battesimo, sono “resi partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo” e “per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano” (Lumen Gentium, 31).
Il segno di fraternità
La decisione di indicare i membri laici dell’Ordine non più con l’espressione “Terz’Ordine” bensì di parlare di “Fraternite laiche domenicane” mette in evidenza un aspetto centrale della proclamazione del Regno che insieme all’intero Ordine siete chiamati a diffondere. Per Domenico, colui che dall’inizio della sua missione nella Linguadoca voleva chiamarsi “fratello Domenico”, la Fraternità è legata in modo intrinseco alla proclamazione del Regno. Fratelli e sorelle che non si radunano dopo essersi scelti ma che si ricevono gli uni gli altri come amici di Dio, imparando insieme come diventare membri e attori di una famiglia di figli e figlie dello stesso Padre. Essere segno di fraternità nel cuore della vita secolare, significa essere un segno che gli esseri umani portano dentro di sé questa capacità di vivere come fratelli e sorelle, cioè di stabilire rapporti che pur nella loro diversità li uniscono nella stessa figliolanza, nello stesso desiderio di essere mandati a questo mondo come testimoni della Parola e della vita nella grazia di Dio.
Nelle mie visite a tutto l’Ordine, sono sempre più convinto che per l’Ordine, ogni ramo a modo proprio, questo sia un mezzo per rispondere alla chiamata di Paolo VI quando, in Evangelii nuntiandi, scrisse: «L’uomo (o la donna) contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (EN 41). In quanto predicatori di grazia, siamo chiamati di essere testimoni, “parabole di comunione”, coloro che risvegliano nel mondo tutte le nostre capacità umane per diventare fratelli e sorelle, nel cuore della storia concreta dell’umanità che così viene trasformata. Nello scrivere ciò, vorrei estendere le mie osservazioni oltre un ramo singolo dell’Ordine per sottolineare che, considerato da questo punto di vista, il carisma di evangelizzazione tipico dell’Ordine non si definisce nella totalità delle diverse “funzioni” di evangelisti ma piuttosto rientra nella realtà “quasi sacramentale” dell’incessante divenire della fraternità umana. Inoltre, è spesso l’esperienza viva della fraternita che in cambio ci conduce all’approfondimento del nostro desiderio della “Proclamazione del Regno”. Ed è anche dal punto di vista di questo segno di fraternità, mi pare, che possiamo considerare la diversità dei modi “secolari” di essere legati all’Ordine: non solo come alleati nella realizzazione di una funzione, un progetto o un impegno, né soltanto come legame di amicizia con questo o quest’altro persona o comunità, ma in quanto impegnati nell’avventura di una fraternità che aspira a parlare nel mondo di ciò di cui questo mondo è essenzialmente capace. In tal senso, credo che dobbiamo più che mai considerare insieme tutti i modi in cui il Laicato vuole essere “legato” all’Ordine di Domenico, cioè fare l’esperienza della Chiesa stabilita dallo Spirito come fraternità, e anche invitare altre persone a trovare la loro gioia nella stessa esperienza.
È in questo orizzonte che vorrei mettere in evidenza alcune delle sfide che il Laicato dell’Ordine deve aiutare lo stesso Ordine a accogliere e a sottolineare, per il bene della missione di predicazione di tutti.
Il vangelo della famiglia
Come qualsiasi realtà domenicana, le fraternite laiche e i gruppi del Movimento Internazionale di Gioventù Domenicana – secondo il proprio modo, quindi per un periodo essenzialmente limitato, poiché la gioventù non dura!) – incidono nel cuore del loro progetto la conversione attraverso e verso la fraternita. In un certo senso, tali realtà fraterne corrispondono con ciò che sono le comunità fraterne di persone consacrate, proprio perché hanno fatto una scelta che le mettono in un modo nuovo in relazione con le proprie famiglie, mentre il laicato, scegliendo di appartenere all’Ordine come laici, sceglie di portare tale nuovo appartenenza, tale nuovo modo di realizzare il carisma del loro battesimo, come dono fruttuoso nel cuore stesso della loro vita familiare.
Mi pare che finora non abbiamo, tutti insieme, capito interamente la ricchezza di quella scelta. Se la Chiesa, desiderando rinnovare in modo profondo e radicale la sua missione di evangelizzazione, ora afferma la necessità del “Vangelo della famiglia (Amoris Laetitia, 63), sottolineando che la famiglia in quanto tale (e dire ciò significa parlare della famiglia normale, non di quella “ideale”, con le sue gioie e le sue sofferenze, con i suoi risultati belli e gioiosi e anche le disfunzioni dolorose ma a volte fruttuose), deve essere pienamente “agente di evangelizzazione”, cosa significa ciò per la predicazione della Parola di verità? E poi, come possiamo contribuire alla scoperta al cuore stesso della storia del mondo che la famiglia è in se stesso evangelizzatrice, testimone della grazia di Cristo che è la “grazia di fraternità” (S.Th IIa-IIae 14, 2 ad 4)?
È nelle famiglie e nel corso della storia di ciascuna famiglia segnata da successi e dal caos, che l’essere umano impara cosa significa essere padre o madre, fratello o sorella, figlio o figlia. Tali realtà fondamentali della vita umana non sono in primo luogo categorie etiche o virtuose sulle quali la Chiesa dovrebbe fare un discorso teologico e morale che guidi il comportamento. Sono le realtà della vita umana attraverso le quali ogni essere umano è chiamato a riconoscere la grazia della rivelazione del Nome di Dio. Come molti di voi, posso affermare che molte fraternite sono luoghi in cui tutti possono liberamente e con sicurezza (e naturalmente con misura e discrezione) condividere la propria esperienza familiare e trovare il sostegno che si aspettano. Mi pare che i religiosi e le religiose dell’Ordine, che naturalmente hanno una propria esperienza di vita familiare ma una vita che in questo senso è atipica, abbiano bisogno di essere istruiti da queste esperienze dei loro fratelli e sorelle laici. Così la predicazione di tutti trae beneficio dalla reale diversità di esperienze di fede, che rappresentano contesti per comprendere il lavoro della grazia. Così chiama il laicato dell’Ordine a contribuire alla definizione nell’Ordine del modo più appropriato di integrare il “Vangelo della famiglia” al cuore dei loro ministeri pastorali e di predicazione.
Al cuore della Chiesa
Come per tutti i rami dell’Ordine, la realtà comunitaria – parabola di comunione”, per ricordare ancora la bellissima espressione di frère Roger di Taizé – è una parte essenziale dell’evangelizzazione della Parola di Dio con la quale la Chiesa viene edificata. È ovvio che prende forme specifiche nella vita laica domenicana, ma non è meno essenziale. La sua testimonianza è più potente oggi quando la Chiesa, così mi pare, è sensibile in modo particolare alla dimensione comunitaria della fede condivisa e della ricerca della verità. Si dice spesso tra i laici dell’Ordine, che la fraternita è un luogo di sostegno e arricchimento, fonte alla quale ogni membro attinge per dare vigore agli impegni che molti hanno in parrocchia ma anche, nel senso più largo, nel portare la propria esperienza e abilità quando lavorano ai margini e in quei “punti di frattura” che sfidano la giustizia, la dignità e i diritti dei singoli e dei popoli e dove è così importante proclamare il Vangelo. È motivo di rendere grazie quando vediamo realizzati, dall’unione di varie forme di appartenenza all’Ordine, i criteri generali per la predicazione dell’Ordine ricordati così spesso dai nostri Capitoli.
Tuttavia, al cuore delle comunità ecclesiali la testimonianza e l’esperienza delle fraternite devono anche trovare il loro ruolo al servizio della diffusione della dimensione missionaria della Chiesa. Questo vale nelle comunità parrocchiali, oltre una semplice “funzionalità pastorale” e senza confondersi con i tanti movimenti apostolici o spirituali che le compongono. È anche, però, la testimonianza di molti dei laici dell’Ordine impegnati al di fuori delle solite strutture ecclesiali in molte realtà sociali e culturali, così dimostrando l’aspirazione della Chiesa ad espandere continuamente la sua tenda alle dimensioni del mondo intero, oggi sempre più intrecciati.
Aggiungo a questo punto che la realtà demografica del laicato dell’Ordine in alcune regioni ci invita a prestare attenzione al modo in cui accogliamo, integriamo e curiamo le persone più anziane tra noi: ogni gruppo umano, credo, dimostra qualcosa della propria umanità nel modo in cui prende cura dei più vecchi, con gratitudine, responsabilità e solidarietà.
La diversità di esperienza di fede nel dialogo, per una proclamazione comune
Al Concilio Vaticano II, la Costituzione Gaudium et Spes insisteva che la Chiesa ha la possibilità di ricevere l’esperienza dell’impegno nei lavori secolari del mondo vissuti dal laicato. Non si tratta principalmente di rafforzare una distinzione tra ministero “sacro” e impegno “nella realtà dell’impasto umano”. Qui si tratta ancora di riconoscere con gratitudine la diversità delle esperienze di fede. Il teologo morale che cerca di rendere intelligibile la complessità dell’attuale medicalizzazione della procreazione, ad esempio, non avrà la stessa esperienza di fede del medico e del ricercatore che nella quotidiana routine delle sue consultazioni e interventi ascolta i desideri e le sofferenze dei pazienti. L’uomo o la donna “di chiesa”, affascinato dalla stupefacente potenzialità delle nuove tecnologie digitali e cercando di integrarsi nelle nuove reti sociali per una comunicazione più moderno e più efficace, sicuramente non pone le stesse domande di fede di quelle dei professionisti laici cristiani che, giorno per giorno, sono sfidati dal progresso e dai poteri di una tecnologia che continua ad andare oltre ciò che avrebbero potuto immaginare. In molti paesi dove l’Ordine è consolidato, le realtà sociali, economiche e politiche segnano la vita dei laici in modo molto diverso dal modo in cui segnano alle istituzioni di vita consacrata. Il coinvolgimento nella vita secolare come professionista e agente nel mondo degli affari, della ricerca e dell’insegnamento, nel commercio e nell’amministrazione, nei problemi ecologici o nella guida di comunità umane, offre un contenuto all’esperienza di fede che deve essere prima integrata nella dinamica globale della proclamazione del Regno. La migrazione forzata per motivi economici, politici o religiosi, le conseguenze della globalizzazione per quella parte della popolazione che è vittima piuttosto di coloro che ne traggono benefici stanno lasciando il loro segno sulla vita di molte sorelle e fratelli laici dell’Ordine e sulle loro famiglie e la nostra comunione non raggiungerà la sua piena verità se dimentichiamo quella realtà.
Nello stesso modo credo che sia importante sottolineare la specifica esperienza dei laici nel mondo contemporaneo nel campo dei pluralismi religiosi che rappresentano non soltanto molte società ma anche, spesso, le realtà della propria famiglia o del lavoro. Tali realtà spesso in modo molto diretto devono far fronte all’ateismo, all’agnosticismo, all’indifferenza alla religione, allo scetticismo o addirittura all’ostilità verso il cristianesimo e a volte a qualsiasi religione. In molte parti del mondo è il laicato della Chiesa ad avere a che fare nel modo più diretto con l’emergenza di nuove, intensissime chiese evangeliche che colpiscono anche la loro chiesa. Così spesso tocca ai laici più che a noi clero della Chiesa discernere e entrare in dialogo con tali contesti. Inoltre, adesso il cristianesimo, il giudaismo, l’islam, le principali religioni dell’Asia e quelle tradizionali dell’Africa si intersecano nello stesso luogo ed è chiaro che partecipano alla costruzione di rapporti nella diversità delle nostre società e segnano la vita delle famiglie attraverso alleanze e migrazioni. Così i laici sono in prima linea nel riconoscere che il dialogo ecumenico e interreligioso, oggi forse più che mai, rappresenta una priorità per la missione dell’Ordine.
In tale contesto di pluralismo religioso, ma anche davanti all’ignoranza, i pregiudizi, i timori e le forme di rifiuto che possiamo constatare in vari luoghi riguardo alle grandi religioni del mondo, la tradizione di fiducia nella capacità di umana solidarietà e nella riflessione critica condotta nel dialogo con altri alla ricerca di una maggiore intelligibilità della verità, ci sprona ad essere più che mai, uomini e donne di dialogo tra culture e religioni.
Da tutti questi punti di vista, i laici domenicani hanno una doppia responsabilità, ad extra e ad intra. Ad extra, nella partecipazione a mettere la creatività umana, ispirata dalla vita del Vangelo e dal desiderio apostolico, a servizio della costruzione di un mondo abitabile per tutti. Ad intra, quella di contribuire all’iscrizione nel cuore della vita dell’intero Ordine di una profonda consapevolezza che una fraternità di predicatori è chiamata ad essere vulnerabile a ciò che ferisce il mondo e ad imparare, in solidarietà con le vittime e i dimenticati del mondo, a discernere i segni dei tempi nel dialogo con il quale l’Ordine vuole annunciare la Parola. Il recente Capitolo generale dei frati dell’Ordine chiese a questi ultimi di impegnarsi almeno una volta l’anno allo studio fatto insieme del contesto della loro predicazione. Mi pare che fare ciò in dialogo con i laici dell’Ordine possa essere per tutti molto fruttuoso. Credo che sia un servizio molto specifico che l’Ordine deve fare alla Chiesa: contribuire all’esperienza di fede in conversazione con il sapere e le pratiche contemporanei, partecipando all’elaborazione dell’intelligibilità teologica del dialogo di Dio nel mondo.
I mondi dei giovani
Al cuore di questa lettura del contesto dell’evangelizzazione, si deve riservare un posto privilegiato all’attenzione alle realtà vissute dai giovani. Dappertutto i giovani sono coloro che apriranno nuovi sentieri per il futuro e che cercano la trasmissione delle tradizioni e delle culture a loro precedenti. Sono sia quelli che imparano più velocemente ad addomesticare gran parte del progresso del mondo moderno sia quelli che lo stesso mondo è più propenso a dimenticare, emarginare, sfruttare. Sono quelli più esposti all’erosione dei credi religiosi argomentati in modo critico aldilà delle reazioni soltanto emotive, sia quelli segnati più profondamente dalla “interculturazione” tipica dei mondi di oggi. Papa Francesco, convocando il prossimo sinodo che si occuperà dei giovani, della fede e del discernimento vocazionale, invita tutta la Chiesa a mettere tale tema al centro della sua riflessione. Vista la loro vita familiare e professionale, i laici dell’Ordine, a mio parere, sono in prima linea nello stimolare l’intero Ordine a rispondere a questa chiamata del papa.
È per questo motivo che vorrei in modo del tutto particolare invitare l’intero ordine a fare la sua parte nella preparazione del sinodo, tra i tanti impegni dei frati, suore e laici nei mondi, nelle culture e nelle attività di cui i giovani sono il cuore. È per questo motivo che mi pare anche così essenziale in questo periodo promuovere il Movimento Internazionale della Gioventù Domenicana (IDYM o MJD) che nell’Ordine offre la possibilità ai giovani di dare alla loro vocazione di giovani cristiani quel tono particolare di evangelizzazione alla scuola di san Domenico. Mentre abbiamo in molti modi tante belle esperienze di “cura pastorale dei giovani”, il Movimento fu fondato per offrire ai giovani la possibilità di adoperare iniziative pastorali, discernendole alla luce degli elementi strutturanti di evangelizzazione secondo la tradizione domenicana. Ancora una volta, in questo campo, la tradizione metterà a disposizione la sua grande ricchezza per promuovere l’autonomia e la creatività specifica di ciascuno, allo stesso tempo affermando il grande valore del dialogo tra e dentro le generazioni per il maggior servizio della proclamazione del Regno.
Una fraternità di discernimento e reciproco “accompagnamento di vita”
Vorrei anche sollevare qui una domanda che ripetutamente si pone in diverse fraternite e in tutte le culture ove è presente l’Ordine: il problema delle situazioni coniugali “irregolari”. Nell’esortazione apostolica Amoris Laetitia, papa Francesco, sottolineando il discernimento necessario di fronte alla grande diversità di tali situazioni, insiste che «Si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una misericordia “immeritata, incondizionata e gratuita”. Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo!» (AL 297). In seguito fa riferimento al consenso raggiunto dai padri sinodali: « Riguardo al modo di trattare le diverse situazioni dette “irregolari”, i Padri sinodali hanno raggiunto un consenso generale, che sostengo: ‘In ordine ad un approccio pastorale verso le persone che hanno contratto matrimonio civile, che sono divorziati e risposati, o che semplicemente convivono, compete alla Chiesa rivelare loro la divina pedagogia della grazia nella loro vita e aiutarle a raggiungere la pienezza del piano di Dio in loro’ sempre possibile con la forza dello Spirito Santo.» (AL 297). Parlando dei battezzati che hanno divorziato e si sono risposati con rito civile, il papa ripete la posizione espressa da molti durante il Sinodo, osservando che « devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo. La logica dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale, perché non soltanto sappiano che appartengono al Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma ne possano avere una gioiosa e feconda esperienza. Sono battezzati, sono fratelli e sorelle, lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti. La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate. Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo. Questa integrazione è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più importanti» (AL 299). Di certo, come scrive il papa, c’è grande diversità di situazioni, evocate durante il Sinodo per non parlare della situazione vissute dagli omosessuali battezzati, ed è importante promuovere «un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari, che dovrebbe riconoscere che, poiché “il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi”, le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi» (AL 300).
Queste riflessioni mi sembrano particolarmente rilevanti per aiutare le nostre fraternite a gestire con calma situazioni in cui si debba accogliere e integrare nelle fraternite stesse fratelli o sorelle che vivono situazioni del genere. La questione non dovrebbe essere se li accogliamo o no, bensì pensare a come la loro appartenenza ad una fraternita potrebbe essere uno dei modi in cui la Chiesa li accompagna e accetta con serenità l’applicazione dei loro doni ricevuti dallo Spirito. Di certo le fraternite laiche dell’Ordine non sono contesti in cui le regole della Chiesa non vengono rispettate, neanche luoghi in cui la “dispensa eccezionale” dalle regole potrebbe essere facilmente consentita. Si tratta piuttosto di rispettare un doppio impegno. Da una parte, essere un luogo di accoglienza, discernimento e accompagnamento: «Quando si trova una persona responsabile e discreta, che non pretende di mettere i propri desideri al di sopra del bene comune della Chiesa, con un Pastore che sa riconoscere la serietà della questione che sta trattando, si evita il rischio che un determinato discernimento porti a pensare che la Chiesa sostenga una doppia morale» (AL 300). Dall’altra parte, rendere autentico il “segno di fraternità” che rappresenta la missione delle fraternite laiche dell’Ordine nella Chiesa e nel mondo, integrando la realtà, sempre incompleta e imperfetta, dell’esistenza umana che si dedica al percorso di conversione in risposta alla chiamata alla santità. Toccherebbe quindi a noi, a secondo del caso, capire come trovare insieme modi di vivere, celebrare e predicare nelle nostre fraternità, prendendo in considerazione la situazione dei membri legati dalla solidarietà fraterna. Qui, a mio parere, è una questione particolare per il nostro Ordine, che ogni giorno rende grazie per essere stato chiamato a predicare grazia e misericordia “verbo et exemplo”. Faccio quindi appello a tutti i priori provinciali e agli ufficiali provinciali del laicato domenicano a includere questo tema nell’agenda delle riflessioni nella loro Provincia sulla missione del laicato nell’Ordine, per definire le modalità concrete di accogliere e accompagnare i fratelli e le sorelle coinvolti in tali situazioni. Chiedo loro di fare ciò in dialogo con gli Ordinari locali e di fare un resoconto delle loro conclusioni ai capitoli provinciali del laicato e dei frati, portandone una sintesi al prossimo Capitolo Generale.
Forse qualcuno di voi si aspettava che questa lettera affrontasse punti più in relazione con i problemi strutturali delle nostre fraternite: adattamenti necessari della Regola, modalità di formazione, struttura di “governo”, modalità di vita del laicato nella singola Provincia, lo status e il ruolo delle assemblee regionali… Tutto ciò è importante e invito caldamente quelle regioni che hanno affrontato questi punti a condividerli davanti all’Assemblea, così che quest’ultima possa, ove opportuno, dibatterli e proporre direttive. Tuttavia sono questioni da affrontare con calma e senza tensione, per non considerare le fraternite come fine a se stesse, bensì secondo il loro fine: quello di essere a servizio della proclamazione della Parola. Ecco perché insisto che tali necessari ritocchi alle nostre strutture debbano sempre tenere come orizzonte primario, perché è l’orizzonte della vita, le sfide dell’evangelizzazione che l’Ordine vuole affrontare rafforzando la comunione fraterna tra tutti i suoi rami. Quando hanno come fonte e orizzonte una tale determinazione per l’evangelizzazione che le strutture portano frutti abbondanti. È anche quando la determinazione per l’evangelizzazione è semplice e robusta che si trova modo di adattare le strutture per rispondere alle nuove esigenze, alla richiesta dei laici che vorrebbero che il carisma del loro battesimo si spiegasse alla luce dell’intuizione evangelica e apostolica di Domenico. Non realizzava lo stesso Domenico il suo desiderio di donare alla Chiesa un Ordine di Predicatori accogliendo coloro che, riconoscendo la pertinenza della sua intuizione, gli chiedevano di essere a loro volta accolti?
Molto fraternamente,
fr Bruno Cadoré, op
Maestro dell’Ordine di Predicatori
Traduzione a cura di LaiciDomenicani.com
a cura del laicato domenicano della Provincia di S. Caterina da Siena
L’originale può essere scaricato in formato pdf dal sito della Curia dell’Ordine