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Quesito
Buon giorno Padre,
vorrei farle una domanda.
Dentro ogni persona c’è un, chiamiamolo, “io”, composto dalle proprie conoscenze, competenze, interessi, affetti.
Questo “io” fa parte dell’anima e quindi sopravvive alla morte?
Apparentemente sì, altrimenti non avrebbe senso dire che l’uomo è immortale.
Però immaginiamo, per esempio, una madre che muore lasciano un figlio disabile; come farebbe ad essere felice in paradiso sapendo che lui è rimasto solo?
Voglio dire, andrebbe da Dio ad assillarlo fino a quando Lui, per sfinimento, gli concederebbe una grazia.
Adesso ho fatto una battuta ma spero di avere reso il concetto.
Se questa grazia non c’è come deve essere interpretata la cosa? Lei non era abbastanza santa? Il ricordo del figlio magari c’è, ma è una cosa ormai sfumata e lontana?
Chiediamo spesso alle persone care di intercedere per noi, però se, apparentemente, non si vedono risultatati particolari vuol dire che l’“io” di queste persone ci ha “dimenticati”?
Grazie
Marco
Risposta del sacerdote
Caro Marco,
1. più che dire che dentro ogni persona c’è un io, si può dire in maniera corretta che la persona è un io.
La persona risulta dall’interezza dell’essere umano, che è un composto di anima e di corpo.
2. Quando il corpo viene meno con la morte, viene meno anche la persona.
Pertanto, morendo il corpo, muore anche la persona.
Ed è per questo che la Chiesa nel suo linguaggio parla delle anime dei defunti, e non delle persone dei defunti.
3. Certo, la coscienza dell’io è nell’anima.
Ma l’io, e cioè la persona, non è soltanto l’anima. Il corpo non è elemento essenziale.
4. Con la morte, l’anima sussiste perché è immortale. Ed è nella facoltà intellettiva dell’anima che permane la coscienza di se stessi.
5. Scrivi: “altrimenti non avrebbe senso dire che l’uomo è immortale”.
Questa espressione non è corretta perché l’uomo è mortale e questo è evidente e certo per tutti!
È immortale invece l’anima razionale perché trascende la materia. Questo è manifesto dalle sue operazioni.
6. Per la domanda finale: è necessario tenere presente che i Santi in paradiso (come, ad esempio, la mamma di un figlio disabile) hanno una visione intera e globale della vita, che comprende il passato, il presente e il futuro, anche quello eterno, di quelli che sono quaggiù.
Con questo comprendono che le afflizioni che colpiscono alcuni nella vita presente non sono fine a se stesse, ma servono per un bene più grande.
Vedono in anticipo quello che Gesù ha detto quando ha affermato che “vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi” (Lc 13,30).
Pertanto “la valutazione di un cristiano non può limitarsi all’orizzonte della sola vita terrena: egli sa che, in seno alla vita presente, se ne prepara un’altra, la cui importanza è tale che alla sua luce bisogna esprimere i propri giudizi. Da questo punto di vista non esiste quaggiù un male assoluto, fosse anche l’orribile sofferenza di allevare un bambino minorato nel corpo o nella mente. È questo il rovesciamento dei valori annunciati dal Signore: “Beati coloro che piangono perché saranno consolati” (Mt 5,5). Sarebbe un volgere le spalle al Vangelo, se si misurasse la felicità con l’assenza di sofferenze e delle miserie in questo mondo” (Dichiarazione sull’aborto procurato, 18.11.1974, n. 25).
7. Le persone sante che di là ci amano e non cessano di intercedere per noi, vedendo che i disegni di Dio non si compiono definitivamente nella vita presente ma nell’eternità, comprendono pienamente che Dio non si è sbagliato nella permissione del male o delle disabilità e, come si legge nell’Apocalisse, “cantano il canto di Mosè, il servo di Dio, e il canto dell’Agnello: “Grandi e mirabili sono le tue opere, Signore Dio onnipotente; giuste e vere le tue vie, Re delle genti! O Signore, chi non temerà e non darà gloria al tuo nome?” (Ap 15,3-4).
Con l’augurio di ogni bene, ti benedico e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo