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Quesito
Padre,
innanzitutto grazie di questa sua disponibilità nel rispondere.
Ho due domande da porle.
Una è una curiosità: in tasca porto una decina ad anello scout. Ce l’ho come un grande ricordo del beato Carlo Acutis. Pregai lì ad Assisi con questo rosario. Guardandolo penso spesso a questa grande figura. Per me è un esempio di santità vissuta nel quotidiano… Ecco però mi chiedo se si possa considerare una corona del rosario se abbia la stessa valenza di uno a cinque decine.
L’altra domanda che le porgo è veramente una curiosità: io in confessione ho l’abitudine di dire tutto e lo farò sempre.
Ma mi era stato anche detto che nelle Scritture non c’è la specificità del dire tutto.
Può sciogliermi questi dubbi?
Grazie, padre. Un’ultima cosa: se vuole, mi può ricordare in preghiera?
Grazie ancora di tutto.
Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. nella formula di benedizione delle corone del Rosario propria dell’Ordine dei Predicatori (domenicani) vien detto: benedicatur et sanctificetur haec sacratissimi Rosarii corona (venga benedetta e santificata questa corona del sacratissimo Rosario). Ora la corona consta di cinque decine.
Una sola decina non corrisponde alla corona del Rosario. Non fruisce pertanto, almeno in maniera piena, dei benefici spirituali e delle indulgenze annesse alla corona stessa
Rimane tuttavia un bel segno di devozione in onore della Madonna.
2. A proposito dell’integrità dell’accusa dei peccati Gesù ha detto: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati” (Gv 20,23).
Da queste parole del Signore si evince che il perdono dei peccati è legato al giudizio della Chiesa.
Gesù infatti non ha detto di perdonare comunque. Ma ha detto: “A chi perdonerete e a chi non perdonerete”.
Evidentemente la remissione dei peccati non è legata ai sentimenti del sacerdote confessore ma a quelli del penitente.
È necessario pertanto che il sacerdote conosca lo stato del penitente, la qualità del suo pentimento e soprattutto che cosa debba perdonare a nome di Dio.
Qualsiasi giudice nei tribunali umani non emette una soluzione generica, ma indica i capi di accusa circa i quali pronuncia il giudizio.
3. Per questo il concilio di Trento ha detto che l’accusa dei peccati, sottinteso gravi, è di diritto divino.
Ecco le testuali parole: “La confessione integra dei peccati è stata istituita dal Signore, e che è necessaria per diritto divino a quanti sono caduti in peccato dopo il Battesimo” (DS 1679)
E da ciò che è di diritto divino la Chiesa non può dispensare.
4. Il Concilio di Trento si basa sul fatto che il sacramento della riconciliazione è stato istituito ad modum iudicii (a modo di giudizio; cfr. Gv 20,22-23) e che “i sacerdoti non potrebbero né esercitare questo potere giudiziale senza conoscere la causa né osservare l’equità nell’imporre le pene se i fedeli stessi non dichiarassero prima i loro peccati non solo in genere ma anche in specie e singolarmente”.
5. Il medesimo Concilio ha decretato anche che “se qualcuno affermasse che la confessione sacramentale non è stata istituita o non è necessaria alla salvezza di diritto divino; oppure che il modo di confessarsi in segreto al solo sacerdote, che la Chiesa cattolica ha sempre osservato e osserva, è contrario all’istituzione e al comando di Cristo, ed è un’invenzione umana, sia anatema (vale a dire: scomunicato, n.d.r.)” (DS 1706).
6. Giovanni Paolo II nel Motu proprio Misericordia Dei (7.4.2002) lo ribadisce: “Il Concilio di Trento dichiarò che è necessario ‘per diritto divino confessare tutti e singoli i peccati mortali’ (DS 1707).
La Chiesa ha visto sempre un nesso essenziale tra il giudizio affidato ai sacerdoti in questo Sacramento e la necessità che i penitenti dichiarino i propri peccati (DS 1679, 1323), tranne in caso di impossibilità.
Pertanto, essendo la confessione completa dei peccati gravi per istituzione divina parte costitutiva del Sacramento, essa non resta in alcun modo affidata alla libera disponibilità dei Pastori”.
7. Va ricordato inoltre che il sacramento della confessione ha un significato medicinale. Come qualsiasi medico non dà un trattamento generico per qualunque malanno, ma una terapia specifica, così anche il sacerdote nelle sue indicazioni e nella prescrizione della penitenza tiene conto dello stato morale (malattia) del penitente.
In ragione di questo Giovanni Paolo II ha detto: “Tribunale di misericordia o luogo di guarigione spirituale, sotto entrambi gli aspetti, il sacramento esige una conoscenza dell’intimo del peccatore, per poterlo giudicare ed assolvere, per curarlo e guarirlo.
E proprio per questo esso implica, da parte del penitente, l’accusa sincera e completa dei peccati, che ha pertanto una ragion d’essere non solo ispirata da fini ascetici (quale esercizio di umiltà e di mortificazione), ma inerente alla natura stessa del sacramento” (Reconciliatio et paenitentia 31,II).
Molto volentieri ti ricordo nelle mie preghiere soprattutto perché me l’hai chiesto.
Ti benedico e ti auguro ogni bene.
Padre Angelo