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Un visitatore propone alcuni passaggi del magistero di Benedetto XVI e ne chiede il commento
Il commento è messo in corsivo, dopo ogni citazione del Papa
Rev. mo Padre,
mi permetto di proporLe, per un Suo commento ed una Sua spiegazione, tre pensieri estratti da discorsi e testi dell’attuale Pontefice Benedetto XVI.
Porgo a Lei, ed ai frequentatori del sito, tali “stralci” perchè mi sembrano davvero tra i più significativi per esprimere i messaggi “cardine” che provengono dalla Cattedra di Pietro.
“…con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell’uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo; se superiamo la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell’esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza. In questo senso la teologia, non soltanto come disciplina storica e umano-scientifica, ma come teologia vera e propria, cioè come interrogativo sulla ragione della fede, deve avere il suo posto nell’università e nel vasto dialogo delle scienze…” (Aula Magna dell’Università di Regensburg Martedì, 12 settembre 2006)
Sarebbe bello che la ragione superasse il limite che si è autodecretata: sarebbe vero solo ciò è sperimentabile con i sensi.
Il Papa fa appelli.
Li aveva già fatti anche Giovanni Paolo II fin dall’inizio del suo pontificato quando aveva detto: “Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo, alla sua salvifica potestà”.
Ma nel nostro mondo si sta rinnovando e consumando il dramma attuatosi all’inizio della redenzione: “Venne nella sua casa, ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1,11).
Questa specie di chiusura della ragione da l’impressione di un velo che Satana ha posto sulla ragione di molti.
Che fare oltre gli appelli?
Va ricordato quando ha detto il Signore: “Certa specie di demoni si scacci solo con la preghiera e il digiuno!” (Mt 17,21).
La penetrazione della teologia tra le varie scienze che si studiano e si approfondiscono nell’Università è un problema di notevole importanza e nello stesso tempo complesso.
La Chiesa stessa in Italia ha qualche reticenza, perché teme che gli eventuali docenti di teologia non siano conformi al Magistero della Chiesa. E allora il disastro sarebbe ancora più grave.
È necessario trovare la forma giusta.
“…La fede non è semplicemente l’adesione ad un complesso in sé completo di dogmi, che spegnerebbe la sete di Dio presente nell’animo umano. Al contrario, essa proietta l’uomo, in cammino nel tempo, verso un Dio sempre nuovo nella sua infinitezza. Il cristiano è perciò contemporaneamente uno che cerca e uno che trova. È proprio questo che rende la Chiesa giovane, aperta al futuro, ricca di speranza per l’intera umanità…” (ANGELUS Castel Gandolfo Domenica, 28 agosto 2005).
Questa è la vera fede.
La fede non consiste semplicemente nel conoscere il Catechismo o anche la Somma teologica a memoria, ma entrare in un rapporto di vita con Dio.
Questo rapporto passa attraverso la parola, si nutre di parole, ma finalmente mira a far sì che Dio viva nell’uomo e l’uomo viva in Dio.
Questa è la vera crescita della fede, una crescita che non finisce mai. È la fede che forma i Santi.
“…l’uomo non raggiunge veramente se stesso grazie a ciò che fa, bensì grazie a ciò che riceve. Egli deve attendere il dono dell’amore, e non si può accogliere l’amore se non come dono. Non lo si può ‘‘fare’ da soli, senza l’altro; bisogna attenderlo, permettere che ci venga dato. E non si può divenire integralmente uomini fuorché venendo amati, lasciandosi amare. Il fatto che l’amore rappresenta per l’uomo la più alta possibilità e al contempo la più profonda necessità, e che ciò che è più necessario è contemporaneamente la cosa più libera e inesigibile, significa appunto che l’uomo, per la sua ‘‘salvezza’, è rinviato a un ricevere. Qualora egli rifiuti di accettare tale dono, distrugge se stesso….Tutto ciò significa indubbiamente una relativizzazione delle opere, del fare. La lotta di Paolo contro la ‘‘giustizia basata sulle opere’ va compresa a partire da qui. Bisogna però soggiungere che, in questo classificare l’operare umano come grandezza solo penultima, sta anche la sua profonda liberazione: l’attività dell’uomo può ora compiersi in modo tranquillo, con quella scioltezza e libertà che si addice a ciò che è penultimo. Il primato del ricevere non intende affatto condannare l’uomo alla passività; non dice che l’uomo possa ora starsene a braccia conserte, come ci rinfaccia il marxismo. Al contrario, esso ci dà piuttosto la possibilità, con atteggiamento di responsabilità e al contempo senza convulsa agitazione, di affrontare sereni e liberi le cose di questo mondo, mettendole al servizio dell’amore che redime…” (Da “Introduzione al Cristianesimo”, Ed. Queriniana)
Questo passaggio di Joseph Ratzinger è alquanto difficile.
Qui il teologo di un tempo voleva dire che la perfezione dell’uomo non consiste nel fare, come pensava Marx, al quale piaceva parafrasare il Vangelo di Giovanni scrivendo: In principio c’era l’agire.
Se così fosse, quante persone si troverebbero nell’incapacità anche fisica di fare le pur minime azioni.
La perfezione dell’uomo consiste nell’essere riempiti di Dio e del suo modo di amare, di donare. È la perfezione propria della contemplazione e della carità. In questo senso Gesù ha detto a Marta che Maria si era scelta la parte migliore che non le sarebbe stata tolta. Nessuno ci può togliere la contemplazione, l’unione con Dio, l’essere pieni di Lui, neanche la morte.
Invece l’azione prima o poi ci vien tolta: o perché si va in pensione, o perché si diventa vecchi o inabili… Nessuno invece ci può impedire di amare e di amare col cuore di Dio.
Ora come si potrebbe amare col cuore di Dio se non ci si lasciasse invadere e riempire da Lui.
Sono personalmente molto colpito dai richiami del Papa alla “sintonia” possibile tra fede e ragione, nonché alla scoperta della vera gioia nell’intima amicizia con Dio. Colgo anche, con gioia, come il popolo di Dio si dimostri – anche numericamente – sempre più attratto da questo grande catechista e predicatore della nostra epoca.
Le sarei davvero grato, Rev. mo Padre, se potesse aiutarmi ad approfondire le tematiche contenute nei testi che ho riportato per estratto.
La ringrazio di cuore e Le assicuro la mia povera preghiera.
Antonio
Mi hai dato un incarico notevole: quello di commentare l’insegnamento del dolce Cristo in terra. Così Santa Caterina da Siena chiamava il Papa.
Quello di benedetto XVI è l’insegnamento di un uomo che vive l’unione con Dio e desidera portare all’unione con Dio.
C’è da sperare che anche i laicisti possano cogliere la sua testimonianza: non è semplicemente quella dell’uomo colto ed erudito secondo la logica umana, ma quella di un uomo di Dio, che penetra nella verità non solo attraverso le risorse dell’intelligenza, che certamente non gli mancano, ma soprattutto attraverso l’esperienza dell’unione con Dio, dell’unione con la sorgente di ogni luce.
Nel suo Magistero troviamo tutte le caratteristiche della sapienza che viene dall’alto, come dice l’Apostolo Giacomo: “La sapienza che viene dall’alto invece è anzitutto pura; poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia” (Gc 3,17).
Ti ringrazio di avermi dato questo onore.
Ti prometto un ricordo nella preghiera e ti benedico.
Padre Angelo