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1. Il mattino del 7 marzo 1274 chiudeva gli occhi alla terra per aprirli a quelli del cielo il nostro grande San Tommaso d’Aquino.
Qualche giorno prima gli era stato portato il Viatico dall’abate del monastero di Fossanova, nei pressi di Latina, dove era riparato a causa di un crollo improvviso di forze mentre si recava al concilio di Lione.
Come si usava quei tempi, l’abate gli chiese se credeva che nell’ostia consacrata vi fosse il vero Figlio di Dio che nacque da Maria Vergine e fu appeso al patibolo della croce, che morì per noi e risuscitò il terzo giorno.
San Tommaso con voce sciolta, come riferiscono i primi cronisti, con devota attenzione e fra le lacrime rispose: “Per quanto in questa vita si può conoscere ciò che la fede ci insegna circa questo Sacramento, io rispondo che veramente credo e so con certezza che qui è veramente presente l’Uomo-Dio, Figlio di Dio Padre e della Vergine Madre, e così credo con l’anima e confesso con la parola come il sacerdote mi ha proposto circa questo santissimo sacramento”.
Proferite queste parole, disse: “Ricevo te, prezzo della redenzione della mia anima, ricevo te, viatico del mio pellegrinaggio.
Per tuo amore ho studiato, ho vegliato e mi sono logorato; Te ho predicato, Te ho insegnato e non ho mai affermato nulla che ti fosse contrario, e – se è capitato – l’ho fatto senza volerlo e non mi ostino in tale opinione.
Se poi ho detto qualcosa di male contro questo Sacramento o su altro, mi rimetto interamente alla correzione della Santa Chiesa di Roma nella cui obbedienza ora lascio questa vita”.
2. Viene riferito che “dopo aver ricevuto il Sacramento, sempre con devozione chiese a suo beneficio e come esempio per gli altri di poter ricevere l’indomani l’olio della santa unzione, il sacramento dei morenti, perché lo spirito di questa unzione, che lo aveva inviato come guida per i suoi amici, lo conducesse al cielo a cui aspirava.
Poco tempo dopo, rese al Signore il suo spirito che aveva mantenuto santo proprio come lo aveva ricevuto, e abbandonò il suo corpo con la stessa serenità con cui mirabilmente aveva dato l’impressione di vivere” (Guglielmo di Tocco, Positio per la canonizazione).
3. Terminate le esequie, “Reginaldo volle tessere l’elogio del suo maestro per saldare il proprio debito come discepolo e per consolare la folla circostante che si aspettava una parola sui meriti del nostro dottore, di cui già intravedeva i segni evidenti della santità.
Alzatosi dunque in mezzo all’assemblea disse: “Io sono testimone di tutta la vita e dell’intima coscienza di questo dottore. Spesso ho ascoltato la sua confessione, ne ho appena udito quella generale, e l’ho sempre trovato puro come un bambino di cinque anni, che non ha conosciuto la contaminazione della carne e non ha mai acconsentito ad alcun peccato” (Ib.).
4. A fra Reginaldo, che precedentemente si era manifestato dispiaciuto che non potesse giungere a Lione dove avrebbe ricevuto qualche riconoscimento ecclesiastico che avrebbe dato lustro all’Ordine e gloria temporale alla sua famiglia, San Tommaso disse: “Figlio, non preoccuparti per questo; tra le altre cose ho chiesto e ottenuto da Dio, e gliene rendo grazie, di accogliermi da questa vita nello stato di umiltà in cui mi trovo, indegno quale sono, senza che il conferimento di alcuna dignità mi potesse allontanare da questo stato.
Certo, avrei potuto progredire ancora nella scienza e giovare agli altri con la dottrina, ma a Dio è piaciuto impormi il silenzio, ponendo fine al mio insegnamento con quella rivelazione, perché come ben sai ha deciso di confidarmi il segreto di una conoscenza superiore” (Ib.).
5. Ed ecco il primo miracolo compiuto da San Tommaso appena entrato in cielo: mentre era ancora disteso sul letto di morte, il sotto priore dell’abbazia Giovanni di Ferentino, che era ormai quasi cieco, si fece accompagnare ai piedi del defunto dove si prostrò in preghiera e poi accostò il suo viso a quello di Tommaso chiedendo per i suoi meriti la restituzione della vista. E subito la riebbe e cantò il suo Benedictus.
In questo miracolo o segno c’è un’indicazione ben precisa da parte di Dio. Chi si avvicina a San Tommaso, ritrova subito la vista dell’intelletto. E ben presto può convenire con quello che disse Papa Giovanni XXII in occasione della sua canonizzazione: “San Tommaso ha illuminato la Chiesa più di tutti i dottori insieme e si farà maggiore profitto in un anno con i suoi libri che i libri degli altri durante un’intera vita”.
E poiché qualcuno obiettò che in vita San Tommaso non aveva fatto miracoli, il medesimo Pontefice rispose che aveva fatto tanti miracoli quanti furono gli articoli che aveva scritto.
6. E in riferimento a questi articoli il santo Papa Paolo VI nella lettera Lumen Ecclesiae che scrisse per il settimo centenario della morte di San Tommaso volle “segnalare un ultimo pregio, che conferisce non poco alla validità perenne della dottrina di San Tommaso: ed è la qualità del linguaggio limpido, sobrio, essenziale, che egli riuscì a forgiarsi nell’esercizio dell’insegnamento, nella discussione e nella composizione delle sue opere. Basti ripetere, a questo proposito, ciò che si legge nell’antica liturgia domenicana della festa dell’Aquinate: Stilus brevis, grata facundia: celsa, firma, clara sententia (lo stile conciso, un’esposizione piacevole, un pensiero profondo, limpido, robusto).
Non è questa l’ultima ragione dell’utilità di volgersi a San Tommaso in un tempo come il nostro, nel quale si usa spesso un linguaggio o troppo complicato e contorto, o troppo rozzo, o addirittura ambiguo, perché vi si possano riconoscere lo splendore del pensiero e un tramite tra gli spiriti chiamati allo scambio e alla comunione della verità” (LE 20).
7. Paolo VI, dopo aver fatto proprie le parole di Pio XI e cioè che San Tommaso è il più santo tra i dotti e il più dotto tra i Santi, concluse dicendo che “è interesse di tutto il mondo cristiano che questa commemorazione centenaria sia degnamente celebrata, poiché nelle onoranze a San Tommaso c’è qualcosa di più che un atto di stima per lui, cioè il riconoscimento dell’autorità della chiesa docente” perché “la Chiesa con la sua autorità convalida la dottrina di San Tommaso e se ne serve come di uno strumento elettissimo, sicché estende in qualche modo a lui, come e più che ad altri insegni suoi dottori, il raggio del suo stesso magistero” (LE 22).
Noi non possiamo non lodare Dio per aver dato questo grande dono alla Chiesa e al mondo e di averlo fatto germogliare all’interno dell’Ordine di San Domenico, nel quale ha trovato tutto ciò che il suo cuore desiderava: la comunione permanente con Dio (il contemplari) e la grazia di espandere la sua luce piena di amore su tutti (et contemplata aliis tradere).
fr. Angelo Bellon, O.P.