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1 – All’alba del 7 marzo 1274 spira nell’abbazia di Fossanova, presso Terracina, a quarantotto o quarantanove anni, Tommaso d’Aquino.
L’incertezza sull’anno di nascita dipende dal fatto che a quel tempo non esistono ancora i registri dell’anagrafe; quando il bambino non appartiene a una casata regale o principesca o quando mancano inequivocabili testimonianze autobiografiche o biografiche, ci si deve accontentare dell’approssimazione. Così per esempio noi sappiamo che Dante è nato tra la fine di maggio e il giugno del 1265, poiché egli stesso dice di essere nato sotto il segno dei Gemelli, che copre appunto quel periodo dell’anno; nel caso di Alberto di Colonia, il maestro di Tommaso, l’incertezza è addirittura clamorosa, oscillando l’anno di nascita fra il 1193 e il 1206. Occorre anche ricordare che gli uomini e le donne del Medioevo, anche se nati in famiglie di alto lignaggio, tanto più se consacrati a Dio nella vita religiosa dicono molto poco o nulla di sé.
2 – Torniamo a Tommaso. Pur essendo morto a soli quarantotto (o quarantanove) anni, egli lascia una mole di opere impressionante: non solo le due “Summae” (la “Somma contro i Gentili” e la “Somma teologica”), che da sole basterebbero a dargli una gloria immortale, ma anche decine e decine di opuscoli, di commenti a libri biblici, a testi di Aristotele e di autori posteriori, per non dire dei contributi liturgici, quali il “Pange Lingua” e il “Te adoro devote”.
A distanza di secoli restiamo stupefatti e ammirati per la sua operosità di studioso e di scrittore.
Egli cessa di scrivere nel dicembre 1273, dichiarando che quanto ha composto è paglia; probabilmente Tommaso si propone di essere ancora di più in comunione con quel Dio, che ha tanto amato, il quale lo accoglierà di lì a tre mesi.
La fama di santità, che lo accompagna già in vita, non viene meno dopo la morte.
Tuttavia in quel periodo alcuni ecclesiastici, che combattono un’interpretazione radicale (oggi diremmo naturalistica e laica) dell’aristotelismo, che va sotto il nome di averroismo latino, coinvolgono nella condanna anche alcune sue dottrine, invero più filosofiche che teologiche. L’arcivescovo di Parigi, ossia Etienne Tempier, collegato con la prestigiosa università della Sorbona (proprio quella in cui Tommaso ha cominciato a insegnare nel 1252), condanna alcune sue proposizioni (1277); è significativo che in quell’occasione Alberto di Colonia lasci la Germania e si rechi a Parigi per difendere la memoria del suo allievo più illustre e la validità delle dottrine incriminate; poco dopo due arcivescovi di Canterbury, Richard Kildwarby e John Peckam, con quella di Oxford, condannano altre sue proposizioni. Il magistero dei pontefici non censura mai Tommaso. Anzi, egli è stimato da papa Alessandro IV, da Urbano IV e da Clemente IV.
Il tempo intanto lavora a suo favore. Già nel 1278 l’ordine dei predicatori, che egli ha tanto onorato con la vita, la predicazione e gli scritti, dichiara il tomismo dottrina ufficiale dell’ordine.
Il 18 luglio 1323 un papa del periodo avignonese (per buona parte del ‘300 i pontefici, tutti francesi, non risiedono più a Roma, ma ad Avignon, una città della Provenza) iscrive Tommaso nell’albo dei santi. A coloro che gli obiettano che l’Aquinate non ha compiuto miracoli, il papa risponde che “quante articoli ha scritto, tanti miracoli ha compiuto” e ancora “Egli ha illuminato la Chiesa più di tutti gli altri Dottori”.
Nel Medioevo il processo canonico che porta a iscrivere qualcuno fra i santi non passa, come invece per lo più avviene oggi, attraverso i tre gradi: riconoscimento delle virtù eroiche (venerabile), riconoscimento di un miracolo (beato), riconoscimento di altri miracoli (santo). Anche con il procedimento più rapido del Medioevo, non è facilissimo per una persona di vita esemplare essere elevata agli altari, se quell’individuo è stato anche un intellettuale e ha scritto molto, specialmente se filosofo. Non a caso Bonaventura da Bagnoregio (morto nel 1275) e Alberto Magno (m. nel 1280) sono stati annoverati fra i santi rispettivamente nel XV e nella prima parte del XX secolo; Giovanni Duns Scoto (m. nel 1308) è stato beatificato nel 1993.
Dante non aspetta che Tommaso e Bonaventura siano formalmente riconosciuti santi per incontrarli nel suo Paradiso, precisamente nel cielo del sole, tra gli spiriti sapienti.
Nel canto XII egli introduce Bonaventura, il maestro francescano, per tracciare un profilo di san Domenico; nel canto precedente introduce Tommaso per esporre la vita di san Francesco.
Inoltre il sommo poeta interpella Tommaso per farsi chiarire dei dubbi. Il richiamo a queste due “auctoritates”, vissute poco più di una generazione prima, ci dice quanto egli li stimi.
Poco dopo la fine del concilio di Trento, durante il quale si ricorre spesso alla dottrina di Tommaso – la Somma teologica è il testo più venerato, dopo la Bibbia-, papa Pio V, domenicano, conferisce all’Aquinate il titolo di dottore della Chiesa; egli è il primo a riceverlo fra coloro che sono nati dopo il Mille.
Ancora prima Tommaso è chiamato “Doctor Angelicus”. Coloro che lo hanno conosciuto da vivo non potrebbero che assentire e altrettanto coloro che lo hanno incontrato indirettamente, negli scritti e nelle testimonianze biografiche.
L’attributo “angelicus” gli si addice assai bene per l’innocenza della vita, l’amore per la purezza, la pratica dell’umiltà, della mansuetudine, di tutte le virtù che aiutano anche il prossimo ad elevare lo sguardo al cielo; si addice a chi possiede un’intelligenza così cristallina, anche perché immune dalle “oscure suggestioni del male”, che risolve con semplicità anche questioni ardue; gli si addice per l’espressione chiara, persino disadorna, che non cerca aiuto nella retorica. Questo stile non è l’unico modo per avvicinarsi ai grandi problemi e soprattutto all’enigma dell’uomo; molti, in tempi diversi, hanno preferito lo stile appassionato e talora enfatico di Agostino o di un autore più vicino a noi come Blaise Pascal.
L’aggettivo “angelicus” è poi quanto mai adatto a chi ha riflettuto sugli angeli, tanto che in Tommaso l’angelologia è parte integrante della teologia e offre anche spunti per confrontare i puri spiriti con gli esseri umani.
3 – Chi ha qualche famigliarità con la storia del pensiero filosofico non si stupirà se diciamo che nei secoli che vanno dall’età della Controriforma sino all’Ottocento l’Aquinate risulta ai margini delle correnti prevalenti. Egli è considerato come la rocca di un’istituzione dal grande passato, ma non più capace di soddisfare le istanze di un mondo che cambia e che, almeno in qualche caso, non sa più che farsene del soprannaturale. È all’incirca questo il punto di vista, naturalmente con diverse sfumature, dell’Illuminismo e del Positivismo. Si considera il pensiero della Scolastica e non solo di Tommaso come qualcosa di cristallizzato e attardato in una forma mentale e in categorie speculative astratte e desuete.
La reviviscenza del tomismo nella “seconda scolastica”, sviluppatasi tra Cinquecento e Seicento, malgrado l’indubbio valore di alcuni suoi esponenti, non ha contribuito a fare di Tommaso un interlocutore persuasivo dei filosofi e degl’intellettuali della cosiddetta modernità.
Inoltre l’Aquinate risente del declino del sistema di Aristotele, attaccato da più parti nell’età moderna, per quanto Tommaso non sia riducibile a una versione cristiana dell’aristotelismo.
Quel che si è appena detto non vuole affatto ridimensionare Tommaso d’Aquino. Al di là degli alti e bassi della sua fortuna nei diversi tempi e nei diversi ambienti, la sua grandezza rimane indiscussa e più che onorevole il suo posto fra i maestri dell’Occidente.
Tra la seconda metà dell’Ottocento e il Novecento l’interesse e la stima per l’Aquinate si ravvivano.
Si pensi innanzitutto alla rinascita del tomismo, promosso dall’università belga di Lovanio prima e poi da quella del Sacro Cuore di Milano.
Così il cardinale belga Mercier si impegna in questa direzione; egli è fautore di una reinterpretazione del tomismo che entra in dialogo con alcune correnti del pensiero moderno da Descartes a Kant.
Tra i maggiori neotomisti del XX secolo non mancano alcuni italiani, quali Francesco Olgiati, Carlo Giacon e Cornelio Fabro. Tuttavia, i più rappresentativi sono i Francesi Jacques Maritain, autore di molti testi, tra cui “Umanesimo integrale”, e Etienne Gilson, più noto come storico della filosofia, soprattutto della patristica e della scolastica; il suo capolavoro è probabilmente “Lo spirito della filosofia medievale”.
Ancor prima di questa reviviscenza di studi, sono i pontefici che stimolano e poi accompagnano il risveglio dell’interesse per la scolastica e particolarmente per Tommaso d’Aquino. Al riguardo è fondamentale l’enciclica di Leone XIII “Aeterni Patris” (1979). Da allora in poi il magistero pontificio da un lato ha incoraggiato lo studio del Doctor Angelicus nelle istituzioni ecclesiali, dall’altro si è ispirato al pensiero dell’Aquinate in documenti solenni quali le encicliche e nel Catechismo della Chiesa Cattolica, nel quale è l’autore più citato dopo Agostino.
S. Tommaso, chiamato già dai suoi contemporanei “doctor angelicus” sia per l’indole contemplativa sia per la chiarezza del pensiero; più recentemente è stato anche chiamato da Giovanni Paolo II “doctor humanitatis” poiché egli non ha scrutato soltanto il mistero di Dio e dei puri spiriti, ma dà un ampio spazio e tratta con alta stima i molti problemi relativi alla persona, come individuo inserito nella società.