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Quesito

Caro Padre Angelo,
vorrei porgerle un quesito di natura un pò generale. Frequentando una scuola d’arte (come quella del fumetto) in cui si respira un’aria molto progressista, mi è capitato spesso di relazionarmi (e di stringere forti amicizie) con miei coetanei atei o agnostici.
Questo per me non rappresenta un problema, sia perchè sono una persona di mentalità aperta, sia perchè sono certo che la mia fede non sia influenzabile da idee altrui.
Tuttavia, capita spesso che, durante qualche cena o qualche uscita fra amici, esca fuori la chiacchierata sull’argomento "religione", e, quando succede, mi ritrovo sempre a dover difendere delle critiche (mi creda, sempre apportate dai miei amici col massimo rispetto) apportate all’istituzione della Chiesa.
Devo ammettere che ce ne sono alcune che non sono in grado di argomentare degnamente, non perchè dubiti sulla moralità della Chiesa, ma per la mia mancanza di argomentazioni efficaci. Mi chiedevo se lei potesse darmi una mano a fare chiarezza a me, e quindi a loro. Le elenco di seguito tre dei quesiti che mi sono stati posti:

1) si dice che Dio ascolta le nostre preghiere e le esaudisce se lo ritiene opportuno. Allora in cosa si differenzia da un Deus Ex Machina?

2) se Dio vuole bene (premesso che il bene di Dio è differente da quello degli uomini) a tutte le creature del creato indistintamente, la nostra vita ha lo stesso valore di quella di un animale? O addirittura a quella di una pianta o di un fungo?

3) si dice che la fede è qualcosa che "senti". Io non la sento, dunque come posso non definirmi ateo.

Mi rendo conto che sono domande di una banalità disarmante. Talmente disarmante che mi mettono in difficoltà.
Poiché voglio bene ai miei amici vorrei tanto avere la capacità verbale di avvicinarli al Signore, ma provo un tale sconforto quanto vedo che sono proprio le domande più semplici (quelle che fanno in genere i bambini) a mettermi in crisi (solo verbale, sia chiaro).
La ringrazio anticipatamente di cuore e la ricordo nella preghiera,
Paolo.


Risposta del sacerdote

Caro Paolo,
a volte certe domande sembrano banali, come quelle che fanno i bambini. In realtà si tratta di questioni grandi alla cui risposta hanno rivolto l’attenzione i più grandi teologi e pensatori della Chiesa.

1. Alla prima domanda rispondo così:
Dio concede le grazie in vista dei beni più alti che ci vuole accordare.
Non ci dà quelle che non sarebbero un bene per  noi.
Tuttavia va ricordato che il rapporto tra l’uomo e Dio nella preghiera non è come il rapporto che c’è in questo momento tra me e te.
Va ricordato che è Lui che suscita il volere e l’operare, come dice San Paolo (Fil 2,13).
Il Catechismo della Chiesa Cattolica riporta l’insegnamento molto bello tratto dalle Rivelazioni dell’Amore divino di Giuliana di Norwich (claustrale inglese † 1416). Dio le dice: “Io sono il fondamento della tua intercessione. Prima di tutto c’è la mia volontà di darti qualche cosa. Poi, io faccio in modo che tu lo voglia, in seguito, ti spingo a chiederlo e, infine tu lo chiedi. Come potrebbe accadere che tu non l’ottenga? Tutto ciò che il Signore ci suggerisce di chiedere, egli stesso ce lo ha destinato da tutta l’eternità. Per questo egli è profondamente gioioso quando preghiamo” (giuliana di norwich, Rivelazioni dell’Amore divino, Cap. 44).
La preghiera allora non altro è che l’apertura della nostra vita a Dio che si dona, come la finestra che si apre permette al sole di entrare con la sua luce e il suo calore.
Dipende da noi dunque ricevere le grazie che Dio da tutta l’eternità ha decretato di darci e che attendono solo di essere ricevute.
Pertanto non vi è nessun meccanicismo, nessun contrattualismo, nessun deus ex machina.

2) Per la seconda domanda ecco la risposta:

Dici bene che l’amore di Dio è diverso dal nostro, perché noi amiamo una realtà per il bene che ha o che le desideriamo, mentre l’amore di Dio è causativo del bene.
Scrive S. Tommaso: “Dio non ama il bene come lo amiamo noi. Infatti, poiché la nostra volontà non è la causa della bontà delle cose, ma anzi, è mossa da tale bontà come dal suo oggetto, l’amore col quale vogliamo il bene per qualcuno non è causa della sua bontà, ma al contrario, la sua bontà, vera o supposta, suscita l’amore col quale vogliamo che conservi il bene che ha o acquisti quello che non ha ancora. A questo indirizziamo i nostri sforzi. Quello di Dio, invece, è un amore che infonde la bontà nelle creature” (Somma teologica, I, 20, 2).
 Questo significa che Dio non ama maggiormente una persona per il fatto che è più perfetta e più santa, ma una persona è più perfetta e più santa per il fatto che è più amata da Dio. In questo senso si capiscono meglio le parole di S. Paolo: “Che cosa ha tu che non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto; perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?” (1 Cor 4,7).
Ciò premesso, sorgono due problemi: se l’atto di amore con cui Dio ama se stesso sia distinto dall’atto di amore con quale ama le creature e se Dio ami una creatura più di un’altra.
 R. Garrigou-Lagrange afferma che “l’amore che Dio ha per noi si distingue solo virtualmente dall’amore essenziale comune alle tre Persone e per il quale esse amano necessariamente la bontà divina; soltanto che quest’amore a noi voluto da Dio, per il quale ci ha creato e ci conserva, è libero, poiché Dio non ha affatto bisogno di crearci per essere infinitamente sapiente, infinitamente buono e per godere d’una beatitudine infinita” (L’amore di Dio e la croce di Gesù, I, p. 42).
Per il secondo problema S. Tommaso afferma: “Da parte dell’atto di volontà… non si può dire che Dio ami più alcune cose che altre, dato che ama tutto con un solo e semplice atto di volontà, che non può mai variare.
Da parte invece del bene che si vuole all’amato… Dio ama alcune cose più che altre, poiché, dato che il suo amore è causa della bontà delle cose, non ve ne sarebbero alcune migliori di altre, se Dio non avesse voluto, per esse, beni maggiori che per le altre” (Somma teologica, I, 20, 3).
S. Agostino dice che “Dio ama tutte le cose che ha fatto; ma tra esse ama di più le creature ragionevoli, e tra queste maggiormente ama quelle che sono membra del suo Figlio unico; e molto di più ancora il suo stesso Unigenito” (Super Joan., Tract. 110).
Cristo, anche come uomo, “è amato dal Padre non solo più di tutto il genere umano, ma anche di tutto il complesso delle creature. Gli ha voluto infatti un bene più grande poiché gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome (Fil 2,9), affinché fosse vero Dio” (s. tommaso, Somma teologica, I, 20, 4, ad 1).
Ciò significa praticamente che Cristo va amato più di ogni altra cosa e l’amicizia con lui va preferita a tutte le amicizie e gli amori. Infatti chi viene introdotto nel circolo di amore divino, conforma il suo modo di amare a quello di Dio.
Su chi fra gli uomini e i santi concretamente sia più amato da Dio, S. Tommaso, dopo tanti ragionamenti, conclude: “Comunque sia, parrebbe presunzione voler dirimere una tale questione, poiché, come si dice nei Proverbi ‘chi scruta gli spiriti è il Signore’ (Pr 16,2) e nessun altro” (Ib., I, 20, 4, ad 3).

3) Alla terza domanda:
Quando si dice che la fede è qualcosa che "senti" non s’intende che la si senta sensibilmente. Altrimenti tu e molti altri come te dovrebbero concludere di essere atei.
Probabilmente quest’espressione vuol dire che la fede è un dono di Dio, liberamente accolto dall’uomo.
Per questo dono l’uomo si trova ad aderire a realtà invisibili e soprannaturali con una certezza che non ha pari.
S. Giovanni dice che “chi crede, ha la testimonianza di Dio dentro di sé” (1 Gv 3,10). In questo modo la fede non è “fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio” (1 Cor 2,5).
Questa testimonianza di Dio dentro di noi non è di ordine sensibile, ma intellettuale.
Scrive S. Giovanni d’Avila: “La fede che Dio infonde si poggia sulla verità divina, e fa credere ben più fermamente che non vedendo con i propri occhi e toccando con le proprie mani, e con certezza maggiore della nozione che quattro è più di tre, o altre cose consimili, le quali sono viste dall’intelletto con tale chiarezza da non avere la minima esitazione e da non poterne dubitare anche se volesse” (Audi, filia, c. 43.).
Nella fede si aderisce a Dio che è la verità in persona, la verità per essenza.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica scrive: “La fede è certa, più certa di ogni conoscenza umana, perché si fonda sulla Parola stessa di Dio, il quale non può mentire. Indubbiamente, le verità rivelate possono sembrare oscure alla ragione e all’esperienza umana, ma «la certezza data dalla luce divina è più grande di quella offerta dalla luce della ragione naturale» (s. tommaso, Somma Teologica, II-II, 171, 5, ad 3). «Diecimila difficoltà non fanno un solo dubbio» (j. h. newman, Apologia pro vita sua)” (CCC 157).

Ti ringrazio per la fiducia, ricordo nella preghiera te e i tuoi amici atei o agnostici e vi benedico.
Padre Angelo