Questo articolo è disponibile anche in: Italiano
Quesito
Buon giorno Padre,
Sono il ragazzo che le chiedeva lumi per la frasi dei proverbi "Il fratello aiutato dal fratello è come una cittadella fortificata". Vorrei ringraziarla moltissimo per il lavoro che continua a fare, e anche ringraziare quelli che collaborano anche a livello tecnico per mantenere in piedi l’infrastruttura. Ormai internet è diventata la nuova piazza pubblica di discussione ed è veramente importante portare anche la luce del Vangelo, insieme alle nuove tecnologie!
Le faccio una serie di domande molto lunghe, mi scuso per questo! sono principalmente riguardo alla morale e al relativismo, sul rapporto tra libertà personale e suoi limiti, in rapporto alla morale (considerando sia una visione cristiana, che atea della vita).
1) Ho avuto modo di confortarmi su diversi fatti di cronaca con amici cattolici (praticanti). Eutanasia, suicidio… spesso molti mi rispondevano "Uno è libero di fare quello che vuole, fintantoché non lede la libertà altrui". A me questo non è parso molto cristiano. Ho risposto, dicendo che tutti siamo corresponsabili l’uno dell’altro, e siamo tenuti ad amarci gli uni gli altri come Cristo ("Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi"); se io amo veramente una persona, non posso accettare che si ammazzi, o si faccia del male perché nessuno in natura desidera la propria morte (a meno che non abbia grossi dolori fisici o spirituali, ma questi vanno risolti curandolo, mica togliendolo di mezzo!). Lei alla luce del Magistero, potrebbe aggiungere qualcos’altro, che potrei dire, in caso mi si ripresentasse questo argomento?
La ringrazio moltissimo! Continuo a dare il massimo nel mio ambiente, cercando prima di tutto di "rievangelizzare" me stesso per poi portare Gesù agli altri! Il mondo ne ha così tanto bisogno…
e le assicuro le mie preghiere per lei e per i suoi confratelli!
Francesco
Risposta del sacerdote
Caro Francesco,
di per sé non è necessario scomodare la fede per rispondere al problema dell’eutanasia.
Ma procediamo con ordine.
1. I tuoi amici cattolici dicono che uno può fare quello che vuole purché non leda il diritto altrui.
Rispondo: uno potrebbe fare quello che vuole con quello che è suo, ma non con quello che è d’altri.
Ora il problema sta proprio qui: se uno sia padrone della propria vita.
Se così fosse potrebbe farne quello che vuole.
Ma se proprietario della sua vita è Dio, allora la vita umana è sacra, intoccabile e inviolabile.
2. Ebbene, appare sufficientemente chiaro che l’uomo non è proprietario di se stesso per due motivi.
Primo, perché è stato messo al mondo. Nessuno ci è venuto di propria iniziativa. A nessuno è stato preventivamente chiesto il permesso se gli si poteva dare l’esistenza, né glielo si poteva domandare.
Questo fa capire come dinanzi al problema dell’esistenza e del suo significato l’uomo necessariamente sia costretto a mettersi in atteggiamento passivo e a concludere che la vita gli è stata data, concessa, regalata. È un dono.
Questa verità, prima che un dato di fede, costituisce un elemento di esperienza comune e universale. Nessun uomo, dotato del bene dell’intelletto, può negarlo o non sperimentarlo.
3. Riconosciuta questa passività, ci si può legittimamente chiedere: perché viene donata la vita? Qui allora la ragione umana deve bussare alla porta della fede, perché “solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo… Cristo infatti proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (GS 22).
4. Forse qualcuno potrebbe dire che la vita, più che un dono, sia una condanna!
Ma se ti giri attorno, vedi come tanta gente che vive in maniera grama non è ansiosa di darsi la morte. Va avanti attaccata alla vita e come ci tiene!
Anche i barboni continuano la loro vita. Non domandano a nessuno di aiutarli a morire. C’è un’inclinazione all’autoconservazione che è fortissima. Lo dimostra in maniera quanto mai chiara la fuga dal dolore e dalla morte, oltre che l’anelito all’immortalità.
5. Il secondo motivo per cui si comprende che l’uomo non è il proprietario di se stesso risulta dal fatto che egli non è padrone della propria esistenza.
Egli sa e sperimenta che gli può essere tolta in qualsiasi momento, nonostante che siano contrarie la sua volontà e quella altrui.
L’uomo è consapevole che la sua vita scorre nell’esistenza passando di istante in istante non per virtù propria, ma per virtù di Colui che per essenza è l’esistenza.
Se passasse nell’esistenza di istante in istante per virtù propria, mostrerebbe di avere in se stesso la ragion d’essere, la sorgente dell’essere, in una parola, di essere Dio. Se la potrebbe conservare anche quando sta per essergli tolta.
6. In ordine alla vita, l’uomo necessariamente deve riconoscere di essere dipendente così come implicitamente lo riconosce quando mangia, quando respira, quando si veste, quando viene al mondo, quando comunica con gli altri secondo criteri oggettivi di verità. Non è dipendenza anche quest’ultima?
Anche nel nostro ragionare, nel nostro pensare, nel nostro valutare non siamo noi che creiamo i criteri di verità, ma li riconosciamo oggettivamente e comprendiamo che sono validi per tutti perché trascendono l’arbitrio personale.
Lo stesso principio presentato dai tuoi amici (a prescindere dalla sua discutibilità): "Uno è libero di fare quello che vuole, fintantoché non lede la libertà altrui" non viene presentato come un principio valido per tutti, dinanzi al quale si deve essere dipendenti?
7. Dare la morte a se stessi o agli altri, anche sotto il pretesto della pietà come si invoca per l’eutanasia, significa misconoscere la verità su se stessi e rifiutare, in questo caso, ciò che implicitamente ed esplicitamente si ammette e si sperimenta per tutto il resto della vita: la dipendenza da Dio, il riconoscimento della sua sovranità e del suo disegno d’amore.
L’illiceità dell’eutanasia, prima ancora che dalla fede, emerge dunque dal riconoscimento della verità dell’essere dell’uomo.
8. Ma in questo discorrere sull’eutanasia c’è un altro problema soggiacente: l’incapacità di amare.
Quando la vita non riserva più godimenti, qualcuno vorrebbe optare per la morte, sottraendosi all’affetto da dare e da ricevere. Ma questo è egoismo.
Anche nella sofferenza una persona ha ancora tante cose da dire e da dare, soprattutto se è credente.
Non le dirà magari con le parole. Ma quando si vede una persona che soffre, e soprattutto quando la si assiste, si diventa più riflessivi, più maturi, più capaci di dedizione. Si entra per forza, quasi costretti, in un altro mondo.
9. Come dicevo, se una persona è credente, nella sofferenza ha ancora molte cose da dare. Ha da dare il proprio cuore, con tutto quello che c’è dentro, a Cristo. E le intenzioni possono essere le più svariate e innumerevoli quanto lo sono le necessità delle anime, della Chiesa e del mondo.
Ti esorto a continuare ad essere testimone di Gesù Cristo, sempre pronto a rendere testimonianza della verità in cui credi.
Ti ringrazio per l’incoraggiamento a proseguire in questa nuova forma di ministero che raggiunge anche i lontani e li stimola a diventare vicini, come è testimoniato da tanti visitatori che si professano atei e non credenti, ma che cercano un dialogo.
Ti ringrazio anche della preghiera, di cui abbiamo molto bisogno.
Ti assicuro la mia e la mia benedizione.
Padre Angelo