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Quesito
Caro Padre Angelo,
la ringrazio per questa rubrica e per le risposte chiare e puntuali che dà alle domande.
Sono Barbara, ho 24 anni ed è la prima volta che le scrivo. E’ un po’ di tempo che non riesco a dare una spiegazione a una cosa per me un po’ strana. Le spiego. Negli ultimi tempi, parlando della causa di beatificazione di Giovanni Paolo II, è stato svelato che tra i tanti aspetti della sua vita mistica ci sia stata anche la pratica della flagellazione. Sinceramente sono rimasta alquanto stupita. Questo papa è stato importante nel mio cammino di fede, e lo è tutt’ora. Ma come si concilia il suo amore per la vita, per lo sport con questa pratica di mortificazione? La sua vita è stata segnata dalla sofferenza e dalla malattia, allora tutto questo che senso ha? Nei confronti della sofferenza la mia idea è che bisogna accettarla e donarla se arriva, ma non bisogna cercarla o crearsela. Gesù ha accettato la croce, ma non se l’è data da solo. E poi il corpo non va rispettato e curato (senza che diventi una fissazione) perché è un dono? Che bene si ha per se stessi e per gli altri nel farsi questo tipo di male fisico?
Discorso diverso è il digiuno, ad esempio, perchè è una sorta di allenamento verso l’essenzialità, l’umiltà e, a mio avvivo, rende più sensibili e grati per quello che si ha. Ma il digiuno è una rinuncia sotto certi aspetti dolce, non una violenza.
La saluto e la ringrazio.
Barbara
Risposta del sacerdote
Cara Barbara,
1. l’ascetica cristiana ha sempre a annoverato tra le pratiche penitenziali anche la disciplina o flagellazione.
Intendiamoci subito: non si tratta di farsi del male, di autodanneggiarsi.
Perché se così fosse, sarebbe contraria alla volontà del Signore.
2. In alcuni Ordini religiosi la disciplina era una prassi e in alcuni lo è tuttora. Tuttavia se una persona era o è fragile di salute non la si concedeva e non la si concede.
Come vedi, anche questa piccola annotazione, getta molta luce sulla questione da te suscitata.
3. San Paolo ricorda che in noi abita il peccato: “Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me” (Rm 7,15-17).
Proprio per eliminare queste cattive inclinazioni e giungere davanti a Dio con una coscienza pura e senza macchia, San Paolo scrive ancora: “Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato” (1 Cor 9,24-27).
Il cristiano dunque sente il bisogno di riparare e di purificarsi ulteriormente.
Si direbbe che voglia espiare anche corporalmente quanto si è concesso.
4. Il suo amore per il Signore e per gli altri, poi, lo porta ad imitare Gesù Cristo che si è sottoposto volontariamente alla passione per espiare i nostri peccati e per meritare che il cuore degli uomini si aprisse agli impulsi della grazia.
Allora si comprende come mai tanti santi abbiano sentito l’esigenza di cooperare insieme con Cristo nell’espiare anche corporalmente quanto altri si sono concessi rendendosi ciechi e sordi ai richiami della grazia.
5. In questo cammino, così delicato, è necessario procedere sotto la direzione del proprio confessore o accompagnatore spirituale perché non si faccia il passo più lungo della gamba e perchè non ci si creda santi a motivo di queste penitenze.
Si cresce nella santità solo se si cresce nella partecipazione ai sentimenti di Cristo, in modo particolare nell’umiltà e nella carità.
6. Va ricordato infine che l’accettazione delle sofferenze e delle contrarietà della vita in piena confidenza alla volontà di Dio vale più delle penitenze che uno può darsi da se stesso.
Queste ultime però non sono inutili. Perché, oltre ai vantaggi sopra ricordati, mettono l’animo nella disponibilità di accogliere con amore e con fiducia tutto quello che la Divina Provvidenza dispone per la nostra e altrui purificazione e santificazione.
Ti ringrazio della domanda.
Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo