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Quesito
Buongiorno Padre Angelo Bellon,
sono qui per domandarle in merito al potere e valore della Santa Messa per i vivi e per i morti.
Premetto che sebbene sia una persona attaccata al denaro non è mia intenzione rinunciare a fare celebrare messe per i vivi e sopratutto per i morti, anzi in particolar modo per i morti ho nel cuore mio il desiderio di fare celebrare messe per la loro liberazione.
Tuttavia mi sento la necessità di porle alcune domande in merito a questo tesoro celeste:
1) Si può far celebrare una messa per più intenzioni oppure per ogni intenzione bisogna far celebrare una messa? Inoltre se le intenzioni sono le stesse di entrambe le persone posso far celebrare una messa per due o più persone?
2) Nel momento in cui vado a far celebrare la messa devo spiegare dettagliatamente le mie intenzioni o quest’ultimo non è necessario?
3) Da quanto ho scoperto il potere di questo immenso tesoro ho letto che diverse persone che hanno fatto celebrare messe per le loro intenzioni queste ultime sono state esaudite dal Padre Celeste. Lei può anche farmi esempi relative a testimonianze di grazie ricevute per mezzo di questo strumento d’amore di Dio?
La ringrazio anticipatamente per la Sua risposta e la ricorderò durante le mie preghiere che farò oggi al Signore.
Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. sono contento di rispondere a questa tua domanda perché è necessario fare chiarezza sulle cosiddette “intenzioni cumulative”
Queste “intenzioni cumulative” sono consentite dall’Autorità della Chiesa e non potrebbe essere differentemente dal momento che il sacrificio di Cristo è stato offerto per tutti.
2. Per “intenzioni cumulative” intendo la volontà di più fedeli che chiedono al sacerdote di celebrare la medesima Santa Messa secondo le loro personali intenzioni.
Ad esempio: diverse persone, indipendentemente le une dalle altre, chiedono al sacerdote di celebrare la Messa in suffragio di un loro defunto.
E il sacerdote unisce tutte queste intenzioni nella celebrazione di un’unica Messa.
Ripeto: questo è lecito, ma ad alcune condizioni:
che i fedeli siano d’accordo nell’accumulare le intenzioni in un’unica celebrazione;
che non venga indicata ai fedeli l’elemosina prevista dalla conferenza episcopale per la celebrazione di un’unica Messa;
che questo non si possa fare più di due volte la settimana, con preavviso dei fedeli;
che il celebrante tenga per sé solo l’elemosina di una Messa, dando tutto il resto al Vescovo per le necessità della diocesi.
Purtroppo questo non viene fatto se non nelle Chiese (in genere sono quelle dei religiosi) in cui i sacerdoti dicono apertamente alla gente che non attuano il cumulo di intenzioni.
3. A suffragio del cumulo di intenzioni si porta la motivazione che il sacrifico di Cristo ha un valore infinito.
Questo è vero e nessuno lo mette in discussione.
Ma quello che si dimentica di ricordare è che la nostra partecipazione al sacrificio di Cristo è sempre finita.
E allora il cumulo d’intenzioni va a dividere il frutto finito che si ricava dalla celebrazione della Messa.
4. È questo il motivo che ha spinto la Chiesa a concedere il cumulo di intenzioni non più di due volte la settimana.
Con ciò intende affermare che i fedeli hanno diritto che venga applicato ad una loro intenzione tutto il frutto ministeriale di una celebrazione.
5. Quali le motivazioni teologiche?
Le riprendo da Charles Journet, il grande teologo del Concilio Vaticano II, dal suo bel volume intitolato “La Messa”.
Ecco quanto scrive: “Ad ogni Messa, Cristo in gloria viene a noi, per toccarci attraverso la sua Croce, e rendere
attuale nei nostri confronti la sua Passione redentrice, Causa universale, sovrabbondante,
infinita, della salvezza del mondo.
Ad ogni Messa, la Chiesa entra nel dramma della Passione redentrice in proporzione alla sua
fede ed al suo amore. Ecco l’applicazione prima, la partecipazione diretto del sacrificio della
Croce, procurata dalla Messa. Questa applicazione, questa partecipazione è immensa ma
finita.
Essa avviene infallibilmente.
Ad ogni Messa, la Chiesa, unita dalla sua fede e dal suo amore alla Passione di Cristo, supplica
per la salvezza del mondo. Ciò ch’essa ottiene così per la sua supplica, ciò ch’essa attinge così
nella Passione di Cristo e che ricade in benedizione sugli uomini, è una applicazione seconda, una partecipazione indiretta, anch’essa finita, al sacrificio della Croce.
Ecco ciò che i teologi chiamano i frutti della Messa” (pp. 177-178).
6. Dopo aver distinto i vari frutti della Messa (quello generale che va a beneficio di tutti i vivi e i defunti, quello speciale – detto da altri viene chiamato ministeriale, n.d..r. – che va a destinazione dell’intenzione per cui si celebra quella Messa e quelli particolari che vanno a beneficio del sacerdote che celebra e dei fedeli presenti) il card. Journet aggiunge: “L’applicazione della Messa è misurata, prima dal fervore di coloro che attraverso Cristo, con Cristo, in Cristo, supplicano per la salvezza del mondo.
Ma essa è condizionata inoltre, in una certa misura, dalle disposizioni di coloro stessi per i quali si supplica: dalle loro disposizioni presenti, se sono viventi, dalla loro pietà anteriore, se sono defunti” (Ib., p- 180).
7. Presenta poi i motivi di questa speciale applicazione del frutto della croce: “Indipendentemente dall’offerta generale della Messa per il mondo intero, che la Chiesa fa
nel suo proprio nome di Sposa di Cristo, il sacerdote stesso, considerato non in quanto persona privata spinta non dalla sua sola devozione personale, né
nemmeno in quanto ministro immediato di Cristo come al momento in cui pronuncia le
parole transustanziatrici della consacrazione, ma in quanto ministro immediato della Chiesa
, delegato dai poteri gerarchici a compiere la liturgia da essi prevista può offrire
liberamente la Messa a favore di coloro che glielo chiedono o gli fanno una elemosina a questo
scopo.
Di ciò che la Chiesa ha attinto attraverso l’intensità del suo amore nelle profondità infinite della Messa, essa ne può attribuire una parte al sacerdote, in quanto precisamente egli è il suo ministro, lasciandogli la libertà di applicarla, secondo la sua intenzione, a fini di
santificazione.
Questa intenzione costituisce il frutto speciale della Messa, poiché essa è fatta
sua in modo speciale dalla Chiesa.
Bisogna ammettere senza esitare, con Pio VI (…), che una tale
offerta, quando non trova ostacoli, procura a coloro per i quali è fatta una applicazione
speciale, anch’essa finita, della virtù infinita della Messa.
Secondo l’intenzione proposta al sacerdote, questa applicazione finita sarà fatta interamente
a favore di una persona, o sarà divisa tra diverse (Ib., pp.180-181).
8. Alla luce di questi principi, ecco la risposta alle tue singole domande:
– si può far celebrare la Messa sia per una sola intenzione sia per più intenzioni, ma in questo secondo caso il frutto della Messa, che pur immenso è finito, viene diviso fra molti;
– puoi far celebrare la Messa per più persone per il medesimo fine (liberazione dal Purgatorio), ma il frutto viene diviso;
– nel momento in cui vai a far celebrare la Messa non è necessario spiegare dettagliatamente le intenzioni per cui chiedi la celebrazione, ma puoi farlo per renderne il sacerdote maggiormente partecipe. Ma di per sé non è necessario.
9. Mi dici infine delle grazie speciali fruite dalle persone per cui è stata fatta celebrare una Messa e mi chiedi qualche testimonianza.
Ti porto due testimonianze di Santa Teresina del Bambin Gesù.
La prima è relativa ad un criminale per il quale aveva fatto celebrare una Messa per la sua salvezza.
“Intesi parlare d’un grande criminale, ch’era stato condannato a morte per dei delitti orribili, tutto faceva prevedere ch’egli morisse nell’impenitenza. Volli a qualunque costo impedirgli di cadere nell’inferno, e per arrivarci usai tutti i mezzi immaginabili; consapevole che da me stessa non potevo nulla, offersi al buon Dio tutti i meriti infiniti di Nostro Signore, i tesori della santa Chiesa, finalmente pregai Celina di far dire una Messa secondo la mia intenzione, non osando chiederla io stessa per timore d’essere costretta a confessare ch’era per Pranzini, il grande criminale. Non volevo dirlo nemmeno a Celina, ma lei mi fece domande così tenere e pressanti, che le confidai il mio segreto; ben lungi dal prendermi in giro, mi chiese di aiutarmi a convertire il mio peccatore; accettai con riconoscenza, perché avrei voluto che tutte le creature si unissero con me per implorare la grazia a favore del colpevole. Sentivo in fondo al cuore la certezza che i desideri nostri sarebbero stati appagati; ma, per darmi coraggio e continuare a pregare per i peccatori, dissi al buon Dio che ero sicura del suo perdono per lo sciagurato Pranzini: e che avrei creduto ciò anche se quegli non si fosse confessato e non avesse dato segno di pentimento, tanta fiducia avevo nella misericordia infinita di Gesù, ma che gli chiedevo solamente un "segno" di pentimento per mia semplice consolazione… La mia preghiera fu esaudita alla lettera! Nonostante la proibizione che Papà ci aveva posta di leggere giornali, non credetti disobbedire leggendo le notizie su Pranzini. Il giorno seguente alla sua esecuzione capitale mi trovo in mano il giornale: "La Croix". L’apro con ansia, e che vedo? Ah, le mie lacrime tradirono la mia emozione, e fui costretta a nascondermi. Pranzini non si era confessato, era salito sul patibolo e stava per passare la testa nel lugubre foro, quando a un tratto, preso da una ispirazione subitanea, si volta, afferra un Crocifisso che il sacerdote gli presentava, e bacia per tre volte le piaghe divine! Poi l’anima sua va a ricevere la sentenza misericordiosa di Colui che dice: "Ci sarà più gioia in Cielo per un solo peccatore il quale faccia penitenza che per novantanove giusti i quali non ne hanno bisogno…" (Storia di un’anima, 135).
10. La seconda è relativa a se stessa. Quand’era ragazzina, fu colpita da un male che nessun medico riusciva a diagnosticare con il risultato che la sua salute andava di male in peggio e si temeva per la sua stessa vita.
Ma ecco il racconto: “Un giorno vidi Papà entrare nella camera di Maria ove io ero coricata: a Maria dette parecchie monete d’oro con una espressione di grande tristezza, e le disse di scrivere a Parigi e chiedere delle Messe presso Nostra Signora delle Vittorie affinché facesse guarire la sua povera figlioletta.(…).
Non trovando soccorso sulla terra, la povera Teresa si era rivolta anche lei alla Madre del Cielo, la pregava con tutto il cuore perché avesse finalmente pietà di lei… A un tratto la Vergine Santa mi parve bella, tanto bella che non avevo visto mai cosa bella a tal segno, il suo viso spirava bontà e tenerezza ineffabili, ma quello che mi penetrò tutta l’anima fu "il sorriso stupendo della Madonna". Allora tutte le mie sofferenze svanirono, delle grosse lacrime mi bagnarono le guance, ma erano lacrime di una gioia senza ombre. Ah, pensai, la Vergine Santa mi ha sorriso, come sono felice! Ma non lo dirò a nessuno, perché altrimenti la mia felicità scomparirebbe. Senz’alcuno sforzo abbassai gli occhi e vidi Maria (una sorella maggiore di Teresina, n.d.c.) che mi guardava con amore, pareva commossa, quasi capisse il favore che la Madonna mi aveva concesso. Ah! era proprio a lei, alle commoventi preghiere di lei, che io dovevo la grazia del sorriso da parte della Regina dei Cieli. Vedendo il mio sguardo fisso sulla Vergine Santa, ella pensò "Teresa è guarita!". Sì, il fiore umile stava per rinascere alla vita, il raggio splendido che l’aveva riscaldato non doveva interrompere i propri benefizi: agì non in modo subitaneo, bensì gradatamente, dolcemente, risollevò il fiore e lo rafforzò a tal segno che cinque anni dopo si aprì sulla montagna benedetta del Carmelo” (Storia di un’anima, 93-94).
Continua pertanto ad affidare le tue imprese alla potenza della celebrazione delle Sante Messe.
Ti ricorderò nella mia prossima celebrazione e ti benedico.
Padre Angelo