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Quesito

Egregio Padre,
mi chiamo A…, ho 29 anni e una vita, data l’età, tutta ancora da inventare…o meglio, così sarebbe dovuto essere.
Sono un medico psichiatra, ho concluso la specializzazione lo scorso 14 aprile presso l’Università di Bologna.
Diventando medico, e ancor più psichiatra, intendevo dedicare la mia esistenza, le speranze, le passioni, gli entusiasmi, le angosce, gli affanni, i malesseri a tutte quelle vite che si perdono nel nulla e nel vuoto di una vita che sentono come un qualcosa di fragile, di rarefatto, soggetta a soccombere al primo accenno lieve di vento.
Volevo intercettare il loro respiro di dolore, volevo essere travolto dal loro urlo sacrificato, volevo correre nel vento gelido delle loro solitudini, volevo essere partecipe della loro paura di essere e di vivere, volevo cogliere nei loro occhi l’amore e l’agonia che custodiscono… ho cercato e ho voluto!
Poi ti capita di accorgerti che tu non puoi illuminare quelle vite spente perché non avrai tempo di accendere la tua luce.
Senza inutili giri di parole: il referto della risonanza magnetica segnala un “nodulo cistico” ad altezza del corpo-coda del pancreas. Sono un medico, conosco il vero significato di quelle due parole “nodulo cistico”. Si tratta di carcinoma e so anche che un adenocarcinoma non lascia spazio a nessun appello.
Sono mesi che sto male, in preda a spasmi che ti contorcono e ti umiliano, quando un fastidio, un conato di vomito, uno squilibrio visivo li presagisce tu insisti e tieni duro e poi capita di vederti offeso e umiliato, piegarti sull’addome tenendo strette le mani su di esso, come a custodire quel dolore che ti offende e ti annienta…
Dovrei essere sottoposto ad un intervento chirurgico, già programmato, a breve, ma non sono certo di volerlo subire. Previa la sua riuscita, le prospettive di vita, per una simile patologia, non superano i 5 anni… ne avrei 34 e ancora sarei sulla strada dell’apprendistato, della comprensione, ancora avrei tanto da amare, da sperare, da sorridere, da soffrire… con coloro ai quali sempre mi sono sentito vicino e compagno: quelli che si sono persi nei loro vortici di trappole e illusioni, quelli che giocano il loro destino sugli avamposti dell’emarginazione, quelli che si logorano sulla trincea della miseria e dell’abbandono…
Perché sì, ci sono infinite giovani vite che si perdono e si annullano nelle tenebre. Figli di un destino ignoto, di un desiderio perduto, di una strada che non vedono perché, sui loro percorsi, trionfa sempre l’oscurità, perché regna sempre il buio e la notte. Come loro, io oggi mi sento un figlio del nulla, mi muovo e mi agito in un teatro che recita l’assurdo e l’incomprensibile.
Oggi per me, assurdi e incomprensibili, sono la gioia e la speranza, il coraggio e la fiducia, il sogno e il desiderio. Assurdo e incomprensibile mi paiono gli affanni e le estenuanti fatiche di ieri, per fare in fretta, per non perdere tempo, per essere quello che ho sempre voluto essere, un medico.
Oggi la vita mi scorre quasi inconsapevole e smarrita, e un velo di tenebra mi avvolge e mi toglie il respiro.
Cinque anni, cinque anni per dire addio ad ogni cosa, alla vita, alla mamma, a quel padre mai visto, al mare, a quel mare che tanto amo. Cinque anni per vivere i residui di un frammento d’amore che non mi salverà.
Sto male, proprio fisicamente, assumo antispastici che mi hanno causato una sub-occlusione intestinale, ma devo placare il dolore in qualche modo…
Sto male, nell’interiorità più vera, questa vita mi offende, questa ipocrisia che si arma di occhi che passano indifferenti davanti alle fatiche dei tanti “amici fragili” che non ho più le energie per “difendere” e sostenere nella loro fatica di esistere.
Una grande ondata si è alzata da un orizzonte lontano e mi si è avventata sopra, mi percuote, mi getta a terra, mi ferisce e mi trascina lontano.
Cinque anni, cinque anni per sorridere ancora sopra una foto che mi vede ragazzino, esile e alto, dai ciuffi flavi e dall’occhio ceruleo. Una foto di pochi, pochissimi anni fa. Avevo diritto ad aggiungerne delle altre, molte altre…
Non le dirò che penso al suicidio, non è così… Ma questa vita mi sfugge di mano, e pensare, a 29 anni, di avere una scadenza di altri soli cinque anni… beh mi creda, è davvero angosciante…
Per quello che mi resta, “lascerò andare la gioia che ho” anche se non posso essere certo che “un giorno la ritroverò”…
Non ho la fede, e ho bisogno della parola di uno che ha fede… di uno che ha certezza che un giorno ritroverà quella gioia…
Ringrazio per l’attenzione che mi vorrà dedicare…
Cordialmente,
A.


Risposta del sacerdote

Carissimo A.,
1. inutile dirti che la tua lettera mi ha toccato e che da quel momento ti ho sentito particolarmente vicino.
Ho cominciato a pregare per te, a ricordarti al Signore nel momento più alto della storia: quello della consacrazione durante la Messa. Perché la Messa perpetua sui nostri altari il sacrificio di Cristo, sacrificio che ha un merito infinito.

2. Il santo Curato d’Ars diceva che quando noi preghiamo per una particolare persona durante la consacrazione, in quel momento lo Spirito Santo tocca la mente e il cuore della persona per cui preghiamo.

3. Io continuerò a farlo perché tu possa svolgere al meglio la missione che Dio ti ha dato.

4. Nella tua mail mi parli di te stesso come di uno che è arrivato al termine o si trova al termine della sua vita, con solo il tempo per dare addio alle cose e alle persone care e con tante fatiche e speranze che vanno in fumo.

5. Permettimi di dire che non è così.
In ogni caso tu sei all’inizio della tua attività.
Ma il Signore forse ha permesso che tu venissi colpito da un male così duro perché tu trovassi la Luce e potessi dare a vite spente e senza speranza la Luce vera, che è Cristo stesso, che si è presentato nel mondo come Medico e Medicina per tutti.

6. Solo Cristo è la Luce che non tramonta.
Tutte le altre luci che noi vogliamo dare al di fuori di Lui sono luci spente fin dall’inizio: non illuminano, non riempiono, non guariscono.
All’inizio della tua attività il Signore ti ha fermato come Paolo sulla strada di Damasco perché tu ti caricassi della Luce vera, quella che è capace di saziare una persona per il tempo e per l’eternità.

7. Vorrei dirti tante cose, insegnarti tante cose, iniziarti a tante cose. Sì, proprio così: iniziarti a tante cose. E cioè ad entrare in un mondo diverso, nel mondo vero, e cioè nel mondo di Dio.
E nel mondo di Dio si entra attraverso la grazia che purifica dai peccati, che toglie le squame che impediscono di vedere la Luce vera.
Si entra soprattutto attraverso la grazia che santifica la nostra anima, attraverso quella grazia che ti fa sentire la presenza di Dio nel cuore, anzi che ti dà fin d’ora il possesso di Dio e di tutte le cose sue.

8. Ricordo di un giovane che colpito da una grave notizia che gli veniva da casa sua, entrò in Chiesa e andò a pregare a lungo davanti all’altare della Madonna.
Uscito di Chiesa andò a comperarsi una corona del santo Rosario e la sua vita divenne più seria, più matura, più santa.

9. Un grande scrittore francese (Léon Bloy) ha detto che la sofferenza ha il compito di risvegliare la presenza di Dio nell’anima.
Poi ha soggiunto: quando tutto va bene, corriamo il rischio di sentire Dio lontano. Quando siamo nella sofferenza, lo sentiamo vicino.
Penso che sia così.

10. Dio si è avvicinato a te in maniera così forte e bussa alla porta del tuo cuore. È di Lui che tu hai bisogno. Ne hai bisogno più dell’aria che respiri.
Mi auguro che per Natale tu possa aprirGli la porta.
Sarà il Natale di Dio nella tua vita.
E sarà anche il Natale di te stesso alla vita vera.

Ti assicuro la mia preghiera e il mio ricordo costante nella S. Messa: che tu possa guarire perfettamente nel corpo e nello spirito.
Ti affido anche alle preghiere e ai meriti dei nostri visitatori.
Ti benedico e ti saluto cordialmente.
Padre Angelo