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Quesito

Rev.mo Padre,
già Giovanni, con il suo battesimo, invitava a pentirsi dei peccati commessi; Gesù, poi, sanando i malati e invitando a credere nel Suo Vangelo, perdonava sollecitando a non ricadere nel peccato. Mai però, nè l’uno, nè l’Altro, hanno invitato i penitenti a confessare, cioè a “dire” i propri peccati. Nè l’autorità di rimettere i peccati, da Gesù affidata agli Apostoli, è stat subordinata alla confessione delle colpe.
A me, in effetti, la confessione crea non poco disagio, anche perchè, purtroppo, è rarissimo trovare un Sacerdote che ascolti e corregga.
E allora, da vecchio studioso di storia, ora molto attento alle problematiche religiose, la confessione così come la intendiamo, mi sembra più che altro il residuo di un medievale “controllo delle anime”. Mi perdoni la franchezza che può sembrare arroganza. Ma ahimè qui da me non ci sono occasioni per un confronto con sacerdoti.
Il Signore La benedica per il compito che svolge
Antonio


Risposta del sacerdote

Caro Antonio,
1. se badi alle parole usate dal Signore: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati” (Gv 20,23) dovrai convenire che nessuno può perdonare o non perdonare se non conosce l’oggetto del perdono e se vi siano le condizioni per poter perdonare.
Gesù non ha detto semplicemente: “perdonate”. Ma “a chi perdonerete…e a chi non perdonerete”.

2. Evidentemente questo non può essere soggetto all’arbitrio del sacerdote.
Ad esempio: se uno ha rubato e non ha la volontà di restituire, si può perdonare in nome di Dio?
Potrebbe Dio avvallare una cosa del genere?
In questo caso il sacramento della penitenza sarebbe ancora il segno visibile della nostra conversione e del nostro ritorno a Dio?
Non diventerebbe invece un buon motivo per continuare ad essere delinquenti, tanto tutto verrebbe perdonato, senza alcun impegno di giustizia?

3. Mi dici che “da vecchio studioso di storia, ora molto attento alle problematiche religiose, la confessione così come la intendiamo, mi sembra più che altro il residuo di un medievale di "controllo delle anime"”.
Ti posso dire invece che nella Chiesa primitiva si era ancor più rigorosi su questo, perché prima di essere riconciliati, oltre all’accusa fatta al vescovo, si doveva fare pubblicamente la penitenza.
Solo dopo aver compiuto la penitenza, che poteva essere gravosa e durare anni a seconda dei peccati commessi si veniva riconciliati.
Anche qui l’accusa dei peccati era sempre necessaria per imporre la penitenza, che non poteva essere data a caso.

4. Senti che cosa diceva Sant’Agostino: “Nessuno dica: ‘‘Faccio la Penitenza privatamente, per conto mio, di fronte a Dio’, e ‘‘il Dio che perdona conosce quello che compio nel cuore’. Dio allora avrebbe detto senza motivo: ‘‘ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto anche in cielo!’. Così come senza motivo avrebbe consegnato le chiavi del regno di Dio alla Chiesa! Si può rendere vano il Vangelo? Si possono rendere vane le parole di Cristo?” (Sermone 392, 3.).

5. Mi parli di controllo delle anime?
Anche qui, mi spiace dirtelo, vai fuori strada.
Quale controllo di anime ci può essere quando la Chiesa dice che la violazione del segreto confessione fa incorrere in una scomunica che può essere tolta solo dal Papa?

4. Quale controllo delle anime ci può essere se la Chiesa punisce che usa in foro esterno di quanto ha conosciuto in confessione?
Due canoni della disciplina dicono così:
Can. 984
§ 1. È del tutto proibito al confessore far uso delle conoscenze acquisite dalla confessione con aggravio del penitente, anche escluso qualsiasi pericolo di rivelazione.
§ 2. Colui che è costituito in autorità ed ha avuto notizia dei peccati in una confessione ricevuta in qualunque momento, non può avvalersene in nessun modo per il governo esterno.
Can. 985
Il maestro dei novizi e il suo aiutante, il rettore del seminario o di un altro istituto di educazione, non ascoltino le confessioni sacramentali dei propri alunni, che dimorano nella stessa casa, a meno che gli alunni in casi particolari non lo chiedano spontaneamente”.

5. Ti ricordo infine quanto ha detto Giovanni Paolo II in Reconciliatio et Paenitentia:
“Questo Sacramento è, secondo la più antica tradizionale concezione, una specie di azione giudiziaria; ma questa si svolge presso un tribunale di misericordia, più che di stretta e rigorosa giustizia, il quale non è paragonabile che per analogia ai tribunali umani, cioè in quanto il peccatore vi svela i suoi peccati e la sua condizione di creatura soggetta al peccato; si impegna a rinunciare e a combattere il peccato; accetta la pena (penitenza sacramentale) che il confessore gli impone e ne riceve l’assoluzione” (RP 31,II).
Ma oltre al carattere giudiziale, ve n’è anche uno “terapeutico o medicinale”. Nell’antichità cristiana l’opera redentrice viene chiamata “medicina salutis”. “Io voglio curare, non accusare”, diceva S. Agostino (Sermo 82, 8) a proposito della pastorale penitenziale
“È grazie alla medicina della confessione che l’esperienza del peccato non degenera in disperazione” (RP 31,II).
Severino Boezio diceva in proposito: “Se attendi l’opera del medico, è necessario che riveli la malattia” (De Consolatione, I, pross. 4).

6. Continua Giovanni Paolo II: “Tribunale di misericordia o luogo di guarigione spirituale, sotto entrambi gli aspetti, il sacramento esige una conoscenza dell’intimo del peccatore per poterlo giudicare e assolvere, per curarlo e guarirlo.
E proprio per questo implica da parte del penitente un’accusa sincera e completa dei peccati, che ha pertanto ragion d’essere non solo ispirata a motivi ascetici (quale esercizio di umiltà e mortificazione), ma inerente alla natura stessa del Sacramento” (RP 31,II).

7. Pertanto l’accusa dei peccati è richiesta da Gesù. L’ha richiesta implicitamente. Lo si desume dalle parole usate: “A chi.. e a chi…”.
Per questo il Magistero della Chiesa ha definito nel Concilio di Trento che “la confessione integra dei peccati è stata istituita dal Signore, e che è necessaria per diritto divino a quanti sono caduti in peccato dopo il Battesimo” (DS 1679).

8. Giovanni Paolo II nel Motu proprio Misericordia Dei (7.4.2002) lo ribadisce: “Il Concilio di Trento dichiarò che è necessario ‘‘per diritto divino confessare tutti e singoli i peccati mortali’ (DS 1707).
La Chiesa ha visto sempre un nesso essenziale tra il giudizio affidato ai sacerdoti in questo Sacramento e la necessità che i penitenti dichiarino i propri peccati (DS 1679, 1323), tranne in caso di impossibilità”.

Ti auguro ogni bene per il nuovo anno da poco iniziato, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo