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Quesito

Caro Padre Angelo,
non sono preparata per fare la domanda che segue (molti fanno citazioni anche dotte), ma vorrei comunque un chiarimento.
Si dice che va all’inferno chi proprio odia, quasi chi proprio vuole andarci.
Nella parabola di Lazzaro e del ricco epulone però oltre a tutti gli altri contenuti, io scorgo che il ricco epulone all’inferno ha anche sentimenti di amore; chiede che venga avvisato il padre perché ha 5 fratelli. Chiede in sostanza che ai suoi cari non sia riservata la sua stessa sorte.
Se è così, non è almeno degno di passare al purgatorio?
Mi scuso per la mia ignoranza, grazie.
Daniela


Risposta del sacerdote

Cara Daniela, 
1. Gesù Cristo non ha detto che va all’inferno “chi proprio odia”.
Se così fosse, la tua obiezione sarebbe valida perché nel ricco epulone qualche sentimento c’era ancora.
Ha detto invece: “Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli” (Mt 5,19).
L’interpretazione comune dei Santi Padri su quei “minimi” è che sia un sinonimo di esclusi.
Scrive San Giovanni Crisostomo commentando questo passo del Vangelo: “quando senti parlare di minimo nel regno dei cieli non sospettare nient’altro se non il supplizio e la Geenna”.
Secondo Sant’Agostino quel minimo significa indegno.
San Tommaso, riprendendo l’affermazione di Sant’Agostino dice: “Per cui sarà chiamato minimo nel regno dei cieli e cioè non sarà là.
Oppure, non essendo nel regno, sarà chiamato minimo, cioè dispregiatissimo e vilissimo da quelli che sono nel regno”.

2. San Paolo, che godeva della Divina Rivelazione, non dice vanno all’inferno solo quelli che odiano, ma: “Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio” (1 Cor 6,9-10).
Dice anche: “E poiché non ritennero di dover conoscere Dio adeguatamente, Dio li ha abbandonati alla loro intelligenza depravata ed essi hanno commesso azioni indegne: sono colmi di ogni ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di lite, di frode, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, arroganti, superbi, presuntuosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E, pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo le commettono, ma anche approvano chi le fa” (Rm 1,28-32).
E: “Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio” (Gal 5,19-21).

3. Come si vede, accanto ai peccati di malizia mi sono anche quelli della irreligiosità (nemici di Dio, non dare culto a Dio, idolatria) e della concupiscenza (fornicazione, impurità, adulterio, sodomia, ubriachezza).

4. Non va dimenticato che il Vangelo di San Marco si conclude così: “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato” (Mc 16,16).
E che nella lettera agli ebrei si legge pure: “Senza la fede è impossibile essergli graditi; chi infatti si avvicina a Dio, deve credere che egli esiste e che ricompensa coloro che lo cercano” (Eb 11,6).

5. Il Catechismo della Chiesa Cattolica in sintesi dice che va all’inferno chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi.
Ecco le testuali parole: “Gesù parla ripetutamente della «Geenna», del «fuoco inestinguibile», che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire sia l’anima che il corpo. Gesù annunzia con parole severe che egli «manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno… tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente» (Mt 13,41-42), e che pronunzierà la condanna: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno!» (Mt 25,41” (CCC 1034)).

6. In una parola, va all’inferno chi muore col peccato mortale.
Dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Il peccato mortale è una possibilità radicale della libertà umana, come lo stesso amore. Ha come conseguenza la perdita della carità e la privazione della grazia santificante, cioè dello stato di grazia.
Se non è riscattato dal pentimento e dal perdono di Dio, provoca l’esclusione dal Regno di Cristo e la morte eterna dell’inferno; infatti la nostra libertà ha il potere di fare scelte definitive, irreversibili.
Tuttavia, anche se noi possiamo giudicare che un atto è in sé una colpa grave, dobbiamo però lasciare il giudizio sulle persone alla giustizia e alla misericordia di Dio” (CCC 1861).

7. Il medesimo Catechismo ricorda poi la dottrina di sempre e cioè che: “Perché un peccato sia mortale si richiede che concorrano tre condizioni: «È peccato mortale quello che ha per oggetto una materia grave e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso»” (CCC 1857).

9. La materia grave non è costituita solo dall’odio.
Per questo il catechismo dice: “La materia grave è precisata dai Dieci comandamenti, secondo la risposta di Gesù al giovane ricco: «Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre”» (Mc 10,19). La gravità dei peccati è più o meno grande: un omicidio è più grave di un furto. Si deve tener conto anche della qualità delle persone lese: la violenza esercitata contro i genitori è di per sé più grave di quella fatta ad un estraneo” (CCC 1858).
Oltre ai peccati contro la seconda tavola della legge (contro il prossimo) ci sono anche i peccati contro la prima tavola della legge (i primi tre precetti del decalogo).
Alla domanda del giovane che chiedeva a Gesù che cosa doveva fare per entrare nella vita eterna, Gesù rispose: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti” (Mt 19,17).
Giovanni Paolo II commenta: “Dal contesto del colloquio e, specialmente, dal confronto del testo di Matteo con i passi paralleli di Marco e di Luca, risulta che Gesù non intende elencare tutti e singoli i comandamenti necessari per «entrare nella vita», ma, piuttosto, rimandare il giovane alla centralità del Decalogo rispetto ad ogni altro precetto, quale interpretazione di ciò che per l’uomo significa «Io sono il Signore, Dio tuo»” (Veritatis splendor,13). 

Con l’augurio di essere sempre conforme alla dottrina evangelica, ti benedico e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo