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Quesito

Gentile Padre Angelo,
inizio col farle un quesito teologico che mette in serio dubbio e mancanza di serenità la mia fede. Sono una studentessa al terzo anno di filosofia e ho preso l’indirizzo estetico. Da quando faccio volontariato con gli handicappati e da quando ho sofferto di una grave malattia psichica, penso che un giorno se ci riuscirò, vorrei scrivere un libro sull’anima e la sua natura.
C’è un punto, però che non riesco a risolvere: “l’intelletto”. Ecco io credo che il centro dell’uomo sia il cuore e che il nostro cervello rifletta ciò che si trova nel nostro cuore, ma l’intelletto è anche qualcosa in più del cuore, perchè è la coscienza chiara, l’intelligenza, ciò che in un certo senso ordina i nostri sentimenti provenienti dal cuore. Esso non è solo ragione, esso è anche intuizione, quello che i greci chiamavano nous.
Il problema che mi pongo è il seguente, se si è affetti da demenza, indipendentemente dal perchè questo può capitare (alzheimer, ictus, ritardo mentale, ecc), certo nessuno può dire che a queste persone manchi il cuore, perchè è dimostrato che anche un down, o un vecchio demente possono avere dei sentimenti…, ma in che stato è l’intelletto, l’intelligere di queste persone?
Un essere che per ipotesi fosse privo di intelletto potrebbe andare in paradiso? Se una persona è cosi handicappata mentalmente da non poter concepire lo stesso concetto di Dio, può andare comunque in Paradiso? E viceversa, io, che dopo una grave malattia psichica (e sarebbe interessante, alla luce della teologia porsi anche il perchè di una malattia psichica da un punto di vista della fede), ho un intelligere che funziona bene, perchè l’intuito c’è ancora, ma ho poche emozioni e sentimenti e forti stati d’animo: potrei andare in Paradiso? Io ho il problema di provare “poco”, di essere ora poco passionale, sono un po’ apatica…. vedo in questo un danno del CUORE. Cosa è peggio ai fini di una vita ultraterrena, perdere il cuore o perdere la testa? Spero sia chiaro che una schizofrenia causa una grande sofferenza interiore e la sofferenza è molto profonda, quindi dopo tutto quella sofferenza sono diventata meno “sensibile”. Io in questo vedo danneggiata la mia anima, più che il mio intelletto. E’ giusto?
Francesca


Risposta del sacerdote

Carissima Francesca,
secondo l’antropologia cattolica, che in fondo è la stessa di Aristotele, l’uomo è composto di anima e di corpo.
Il corpo è dotato di sensi esterni e di sensi interni. Questi ultimi si trovano per lo più in quell’organo che noi chiamiamo cervello.
L’anima invece è dotata di due facoltà: intelletto e volontà. Queste due facoltà sono spirituali, come spirituale è l’anima.
Per “intelligere”, fin che ci troviamo di qua, dobbiamo accompagnare sempre l’esercizio dell’intelletto con i sensi, almeno con quelli interni (immaginazione, memoria sensitiva…). Aristotele diceva che nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu (niente è nell’intelletto che prima non passi dai sensi).
Orbene, quando i sensi vengono intralciati da malattie non trasmettono più immagini esatte all’intelligenza. Per questo qualcuno “sragiona”.
A volte capita che l’immaginazione non trasmetta più niente all’intelligenza. E questa rimane in qualche modo inattiva.
Da questo non si può concludere che una persona abbia perso l’intelligenza. Nessuno gliela può togliere. Semplicemente la parte sensoriale, il cervello, non funziona come deve.
Mi chiedi se “un essere che per ipotesi fosse privo di intelletto potrebbe andare in paradiso”.
Ti rispondo: tutti gli esseri umani hanno l’intelletto, perché sono dotati di anima spirituale.
Chiedi anche “se una persona è cosi handicappata mentalmente da non poter concepire lo stesso concetto di Dio, può andare comunque in Paradiso?”
La risposta è affermativa, perché Dio non viene visto attraverso i sensi, ma attraverso l’intelligenza.
A rigore, la mente non può mai essere handicappata, perché è spirituale. Può essere handicappato solo il senso.

Ti ringrazio per la domanda, ti assicuro la mia preghiera e ti benedico.
Padre Angelo