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Quesito

Caro padre,
avendo un altro dubbio di natura teologica, ho pensato di fruire di questo servizio e scriverle una seconda domanda.
Leggendo il vangelo è chiaro che Gesù fu per la non  violenza in ogni caso, anche quando si trattava dell’autodifesa: lui stesso non si difende quando vengono a catturarlo, pur essendogli lecito, ma addirittura a chi cerca di proteggerlo dice: "chi di spada ferisce, di spada perisce".
Non solo, in Matteo 5,38 afferma: “se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra" e poco sopra dice che ci dice "pazzo" al fratello finirà nella Geenna”.
Ora perché la chiesa invece insegna che è lecito uccidere se per autodifesa?
La ringrazio anticipatamente,
Giuseppe Celano


Risposta del sacerdote

Caro Giuseppe,
1. la Chiesa non insegna che è lecito uccidere per autodifesa.
L’uccisione diretta del prossimo non è mai lecita, neanche per i più nobili motivi. Se si invocasse il principio che il fine giustifica i mezzi (nel nostro caso, la conservazione di sé giustificherebbe l’uccisione del prossimo) va a rotoli tutta la morale. Ognuno si costruirebbe la propria morale e non potrebbe essere giudicato da nessun altro, neanche in tribunale.

2. Ciò che invece è lecito e anche doveroso è la difesa di se stessi contro l’ingiusto aggressore.
Qui l’intervento non è mirato all’uccisione dell’aggressore, ma alla difesa di se stessi. E in primis si cerca in tutti i modi di fermare l’aggressore o di neutralizzare ogni sua azione.
Se poi questi persiste nell’aggressione, da se stesso si mette nell’occasione di essere ucciso. Ma anche qui l’azione di chi si difende, mira principalmente alla tutela di se stessi e non all’uccisione dell’aggressore.
San Tommaso d’Aquino, e con lui la teologia cattolica, giustifica l’uccisione dell’aggressore in base ad un’azione buona (la difesa di se stessi) che comporta due effetti: la difesa di se stessi e l’uccisione dell’aggressore.
Ma questo effetto negativo non lo si vuole. Lo si tollera come conseguenza inevitabile di un’azione di suo buona e alla quale si è costretti non dalla propria volontà ma dalla volontà dell’aggressore.

3. Ecco il testo di san Tommaso:
“Niente impedisce che un atto abbia due effetti, di cui l’uno intenzionale e l’altro involontario. Gli atti morali però ricevono la specie da ciò che è intenzionale, non da ciò che è involontario, essendo questo un elemento accidentale.
Perciò dalla difesa personale possono seguire due effetti, il primo dei quali è la conservazione della propria vita, mentre l’altro è l’uccisione dell’attentatore.
Orbene, questa azione non può considerarsi illecita, per il fatto che con essa s’intende conservare la propria vita: poiché è naturale per ogni essere conservare per quanto è possibile la propria esistenza.
Tuttavia un atto che parte da una buona intenzione può diventare illecito se è sproporzionato al fine. Se quindi uno nel difendere la propria vita usa una maggiore violenza del necessario, il suo atto è illecito. Se invece reagisce con moderazione, allora la sua difesa è lecita: infatti il diritto stabilisce che “vim vi repellere licet cum moderamine inculpatae tutelae”(è lecito respingere la violenza con la violenza, con la moderazione di una difesa non colpevole). Non è quindi necessario per la salvezza dell’anima che uno rinunzi alla legittima difesa per evitare l’uccisione di altri: poiché un uomo è più tenuto a provvedere alla propria vita che alla vita altrui” (S. Tommaso, Somma teologica, II-II, 64, 7).

Ti saluto, ti ricordo nella preghiera e ti benedico.
Padre Angelo