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Quesito
Reverendo padre,
sono una farmacista e avrei bisogno di un suo parere riguardo ad un recentissimo episodio di obiezione di coscienza di un amico collega della mia città, che si è rifiutato di procurare (invitando la cliente a rivolgersi alla più vicina farmacia) una spirale contenente un ormone (levonorgestrel, lo stesso della “pillola del giorno dopo”) che serviva non a scopo anticoncezionale, bensì come cura di una forte anemia che trae beneficio dalla riduzione del flusso mestruale che questa spirale provoca (è una indicazione terapeutica specificata dal foglio illustrativo). La signora era in possesso di regolare ricetta e ha detto al farmacista che per lei era una terapia, ma il collega, sapendo che in ogni caso la spirale è abortiva e non avendola mai venduta per questo motivo, ha presentato alla signora l’incapacità di andare contro la propria coscienza e non ha voluto ordinare il prodotto richiesto. La cliente è andata in altra farmacia e solo ora, dopo un paio di mesi, la notizia è sul giornale nella cronaca locale. Le chiedo: il fatto di aver negato di procurare un medicinale che, a differenza del Norlevo o della RU, può avere anche effetti terapeutici previsti dal foglio illustrativo potrebbe spostare ,dal punto di vista morale, i termini della questione per l’applicazione dell’obiezione di coscienza? La signora ha chiamato la spirale un farmaco “salvavita”per il suo caso di grave anemia (che ha visto in passato anche la necessità di un ricovero in ospedale),chiaramente però a questo effetto “salvavita” mancano completamente i termini dell’urgenza in quanto la signora aveva tutto il tempo che voleva per cercare in altra farmacia il prodotto.
La ringrazio per l’aiuto che ricambio con la preghiera per lei.
Risposta del sacerdote
Carissima,
1. supposto che la signora in questione sia sposata e abbia normali rapporti coniugali, non può prendere la spirale neanche al solo scopo di usarla come mezzo necessario per introdurre nell’organismo un determinato ormone.
2. La teologia morale conosce il principio delle azioni a duplice effetto, vale a dire delle azioni che sortiscono un effetto buono e uno cattivo.
Se in taluni casi, concomitantemente ad un’azione buona si può tollerare un effetto cattivo, mai invece si può fare il male per ottenere un risultato positivo.
Nel caso da te presentato, ci troviamo di fronte ad un’azione intrinsecamente cattiva, perché è abortiva, sicché non è mai lecito fare ciò che è intrinsecamente cattivo in vista di un effetto buono.
Inoltre il male che ne deriva (l’eventuale aborto), è sempre più pesante dell’effetto positivo, che potrebbe essere procurato anche attraverso altre vie.
3. Ti presento i quattro principi che regolamento le azioni a duplice effetto:
– Che l’azione sia buona in se stessa, o almeno indifferente. Perciò non è mai lecito compiere azioni cattive in quanto tali, come ad es. dire o giurare il falso, anche se da esse si possono ricavare ottimi effetti (ad es. la pace in famiglia, nello stato…). Il motivo è che il fine non giustifica i mezzi e non si può mai fare il male per ottenere un bene. Per scoprire se un’azione è buona o almeno indifferente si deve analizzarne l’oggetto, il fine e le circostanze.
– Che l’effetto primo e immediato sia buono, e non sia ottenuto tramite quello cattivo. L’effetto cattivo, anche se previsto, deve essere solo tollerato. Ad esempio, la perdita di coscienza in seguito ad anestesia non è direttamente voluta, ma solo tollerata, come effetto di un’azione buona o per lo meno indifferente, qual’è quella di rendere insensibile al dolore in vista di un intervento chirurgico serio.
– Che vi sia proporzione tra l’effetto buono e quello cattivo, di modo che l’effetto cattivo non sia più grande dell’effetto buono. L’effetto cattivo, infatti, anche se non è voluto direttamente, è sempre un male, e non può essere tollerato se non per evitare un male più grande. (Non si può, ad es., vendere stampa pornografica con l’intento buono di ricavare un guadagno, perché gli effetti della pornografia sono più gravi del guadagno derivante dal commercio).
– Che sia l’unica via e cioè che l’azione sia necessaria in quel momento e non sia procrastinabile. In questa condizione è inclusa la volontà di perseguire unicamente l’effetto buono.
4. Diverso sarebbe il discorso se la persona che chiede la spirale viva in assoluta continenza. Qui evidentemente non vi sarebbe alcun pericolo abortivo.
5. Il farmacista, dopo aver dichiarato gli effetti abortivi della spirale, non avrebbe potuto procurarla a chi volontariamente si esponeva ad abortire ininterrottamente.
Ti ringrazio cordialmente per la preghiera che mi assicuri, ti ricambio volentieri e ti benedico.
Padre Angelo