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Quesito

Buongiorno Padre Angelo,
mi chiamo Cristina e sto pian piano, con grandi fatiche, avvicinandomi a Gesù.
Ci sono tante cose tuttavia dette dalla Chiesa, che non riesco a comprendere e in certi momenti fatico a mantenermi sulla via, perchè non trovo nessuno che mi possa chiarire i concetti.
Ad esempio, Le pongo una domanda che mi sta assillando proprio in questi giorni, e cioè: se Gesù è morto per noi e ci ha liberato dal peccato, perchè ci sono ancora tante malattie, tanti dolori e tante sofferenze tra noi?
Forse la mia domanda Le sembrerà banale, ma Le assicuro che per me è importante una Sua risposta.
La ringrazio, Le chiedo una preghiera affinché possa proseguire nel cammino che a volte si fa tanto difficile.
Cordialmente, Cristina


Risposta del sacerdote

Cara Cristina,
1. gli ebrei si erano formato il concetto che il Messia avrebbe portato il benessere, l’indipendenza sociale e tanti altri beni di carattere temporale.
Ai tempi di Cristo il Messia era atteso come il re giusto, vittorioso e misericordioso che avrebbe messo fine ad ogni sofferenza e ad ogni ingiustizia.
Inoltre avrebbe stabilito il regno universale della pace, della santità e dell’abbondanza.
Così ad esempio si legge in Zaccaria: “Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina.
Farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra” (Zac 9,9-10).
Verso l’inizio dell’era cristiana, era viva l’attesa di un Messia politico «figlio di David», il quale avrebbe definitivamente ristabilito la maestà e la potenza dei regno di Israele.
Era un’attesa così forte che, al dire di alcuni biblisti, Gesù stesso dovette essere molto attento e reticente nell’impiego di questo nome al quale preferisce quello di figlio dell’uomo.

2. Gesù invece si presenta come Messia nel senso che porta all’uomo una liberazione più profonda, quella dal peccato e dal demonio e porta altri beni, che non sono di ordine materiale, ma spirituale.
A che cosa sarebbe servita la liberazione attesa dagli ebrei se non fosse stata data ad ogni uomo un’altra liberazione?
E a che cosa sarebbe servito un regno politico di prosperità se i singoli fossero rimasti attaccati al denaro, alla sensualità, all’orgoglio?
Non è dunque una liberazione dai mali esterni quella che ci ha portato Gesù, ma la liberazione dai mali che colpiscono l’anima, da quelli che fanno stare male dentro e la rendono schiava del demonio.

3. Gesù, infine, non porta la sovrabbondanza di beni materiali sicché tutti ne avrebbero potuto godere a buon mercato, ma quella ben più preziosa, duratura e interiore del possesso di Dio, della comunione e della conversazione con Lui, dell’anticipo di paradiso attraverso la vita di grazia.

3. Non è da dimenticare poi che proprio le sofferenze e le malattie ricevono da Gesù un valore salvifico di redenzione.
Giovanni Paolo II diceva che Dio permette la sofferenza perché questa è capace di sprigionare amore: amore in chi si dedica e amore in offre le proprie sofferenze e le unisce a quelle di Cristo per la vita e la redenzione del mondo.
Dio permette le malattie e le sofferenze all’interno di quella logica che Cristo ha esposto nell’ultima cena: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto” (Gv 15,1-2).
È il capovolgimento dei valori mondani secondo i quali la malattia e la sofferenza sarebbero tempo sprecato, perché non si può essere utili né a se stessi né agli altri e anche perché sottratto al divertimento.
Il cristiano invece sa che la prova aiuta a far rientrare in se stessi, ad essere più maturi, a far comprendere quello che veramente conta.
E quello che veramente conta non è il luccichìo delle cose del mondo, di cui il Quoelet direbbe: “Vanità delle vanità… tutto è un inseguire il vento”, ma quello che dura eternamente, quello che è nascosto nell’anima e costituisce davanti a Dio la vera grandezza dell’uomo.

Ti auguro di conoscere sempre meglio il Signore e di prendere possesso di Lui attraverso la grazia.
Ti assicuro la mia preghiera, ti saluto cordialmente e ti benedico.
padre Angelo