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Quesito

Caro padre Angelo
so che lei risponde a tutti quelli che hanno dubbi sulla fede oppure questioni di fede non risolte o risolte in maniera incompleta.
Vorrei avere da lei questa opportunità. Mi dibatto da tempo coi miei dubbi e mi definirei una persona agnostica. Non sono atea perchè la differenza tra me e un ateo consiste nel fatto che lui sicuramente NON crede, io non so se credo ma VOGLIO credere. Mi sono sempre definita cattolica perchè questa è stata la mia educazione familiare. Mi è piaciuto e mi piace, ma diventando grande sono iniziati i dubbi e le perplessità. Piano piano se lei vorrà glieli racconterò. Ho tanto da dire.
Inizio rivelandole che non mi confesso da tempo. Anzi l’ho fatto lo scorso anno ad Assisi con quei meravigliosi frati della basilica di San Francesco. Ma con poca convinzione. Non perchè abbia detto bugie o omesso la verità, ma perché non attribuisco alla confessione una vera importanza spirituale. A mio modesto parere la vera confessione è quella dello spirito, che avviene quando si prende coscienza dei propri peccati e si prova un vero pentimento. Dunque la mia domanda è: se c’è vero pentimento perchè non chiedere perdono profondo a Dio direttamente? Quale Dio buono e misericordioso non accoglie questo atteggiamento? Perché dovrebbe rifiutarmi la comunione solo perchè non mi sono inginocchiata davanti ad un sacerdote? Non mi dica anche lei che l’umiltà è un dono che ci avvicina a Lui perchè se Lui legge nei nostri cuori sa chi dice o meno la verità.
Sto seguendo dai gesuiti e dai frati francescani una serie di esercizi spirituali dove si pratica anche la condivisione del proprio percorso. Ritornerò su questo ma, per il momento mi limito a dire che più vado avanti (e non voglio mollare!) più accrescono i miei dubbi. Possibile che un Dio misericordiso,buono e sempre presente chieda ai suoi figli sacrifici così grandi e pesanti per noi piccoli piccoli? Come si può chiedere di perdonare la  tanta cattiveria che ci circonda e soprattutto non giudicarla? Il giudizio è indispensabile momento di crescita interiore per la valutazione e la giusta scelta del bene. Attenzione non che io sia perfetta. Non voglio scagliare la prima pietra però so discernere il bene dal male e so che certe cattiverie e certi mali non mi vedranno mai protagonosta consapevole. Il perdono spetta a Dio e se io non ne sono capace e non lo VOGLIO dare, potrei avere i miei motivi che Dio dovrebbe comprendere perchè se Lui ci ha creati, Lui sa che siamo davvero piccoli rispetto a ciò che ci viene domandato. Concludo chiedendo che anche lei non mi dica che Gesù è morto in croce per noi. E’ vero ma Lui era pur sempre il figlio di Dio.
Sperando di non averla tediata, confido in una sua risposta che possa essere l’inizio per me di un nuovo cammino.
Ringraziandola in anticipo la saluto cordialmente.
Maria Teresa


Risposta del sacerdote

Cara Maria Teresa,
1. dici il vero quando affermi “se c’è vero pentimento perchè non chiedere perdono profondo a Dio direttamente? Quale Dio buono e misericordioso non accoglie questo atteggiamento?”.
Anzi, la Chiesa stessa ti dice che questo pentimento è già una grazia che il Signore concede. È il segno della grazia di Dio che ti ha raggiunto e comincia a lavorare in te.

2. Giustamente poi ti domandi: “Perchè dovrebbe rifiutarmi la comunione solo perchè non mi sono inginocchiata davanti ad un sacerdote?”.
La risposta è semplice: perché Lui stesso te lo chiede.
E lo chiede quando al momento dell’istituzione di questo sacramento (era la sera del giorno della sua risurrezione) ha detto: “«Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati” (Gv 20,22-23).

3. Come vedi, Gesù perdona. È venuto per perdonare. Anzi, si è offerto come vittima di espiazione per i peccati nostri: “È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo” (1 Gv 2,2).
Ma ha legato il suo perdono al perdono della Chiesa, anzi al giudizio della Chiesa perché ha detto: “A chi… e a chi…”.
E questo suppone un giudizio.

4. A questo punto sorge la domanda: perché Cristo ha legato il suo perdono a quello sacramentale? Non sarebbe stato più semplice chiedere  un semplice atto interno di pentimento?
Dobbiamo ritenere che, anche in questa disposizione, Dio mira esclusivamente al bene dell’uomo.
Chiedendo di passare attraverso il sacramento Dio vuole comunicare all’uomo peccatore ma pentito dei beni molto grandi, che trovano tante analogie nella festa voluta dal padre per il ritorno a casa del figliol prodigo, o anche nel calore con cui il buon pastore circondò la ritrovata pecora smarrita.

5. Ne indico alcuni di questi beni.
Chiedendo di passare attraverso il Sacramento il Signore stimola a fare le cose seriamente, come esige l’amore.
Prova a pensare a cosa succederebbe se il Signore avesse accordato agli uomini il potere di autoperdonarsi.
Magari in un primo momento si compie un bell’atto di pentimento.
Ma poi con l’andare del tempo e il ripetersi dei peccati ci si concede tutto, ci si scusa di tutto e in maniera istantanea, senza imporsi un itinerario di conversione, senza un discernimento adeguato dei peccati.
Attraverso il sacramento invece il Signore chiede di ritagliare una porzione del proprio tempo per espiare con Cristo e con la Chiesa il proprio peccato: si va alla ricerca di un sacerdote, ci si accusa, si ascoltano i consigli, si accetta la penitenza e si riceve l’assoluzione.
Si tratta di un insieme di atti che aiutano a fare le cose seriamente, come esige un atto di vero pentimento e di richiesta di perdono.

6. Ma c’è anche questo da osservare. Quando una persona è sinceramente pentita dei propri peccati è pronta a dire con Davide nel salmo: “Ti ho fatto conoscere il mio peccato, non ho coperto la mia colpa.
Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità» e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato” (Sal 32,5);
“Ecco, io confesso la mia colpa, sono in ansia per il mio peccato” (Sal 38,19);
“Sì, le mie iniquità io le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi” (Sal 51,5). 
C’è un’esigenza di dichiararsi peccatori e c’è uno scoprirsi davanti a Dio e davanti alla Chiesa per quello che si è.

7. Santa Caterina da Siena, usando un’immagine molto reale, dice che mediante l’accusa il peccato viene espettorato dall’anima, come a dire che si tratta di un male che viene buttato fuori dalla propria vita.
La confessione è una sorta di ripudio di quanto si è fatto.
E l’assoluzione sacramentale costituisce una liberazione morale e attua una purificazione della coscienza.
In quel momento l’anima viene lavata e la persona è mondata.
Nello stesso tempo si attua una liberazione psicologica, ben diversa da quella che si può provare (se si prova!) presso il lettino dello psicanalista o lo studio dello psicologo.
Nel nostro caso, infatti, la liberazione è frutto della grazia e della riacquistata amicizia con Dio e con la Chiesa.
Inoltre è rimozione del rimorso che grava sulla coscienza a causa del peccato.

8. Inoltre confessandosi alla Chiesa si prende coscienza del danno ecclesiale e sociale causato da ogni peccato. Il peccato infatti depaupera non solo chi lo compie, ma anche tutta la Chiesa, anzi tutta l’umanità.
Scrive Giovanni Paolo II in Reconciliatio et Paenitentia: “Chi vuole indagare il mistero del peccato non può non considerare questa concatenazione di causa ed effetto. Come rottura con Dio, il peccato è l’atto di disobbedienza di una creatura che, almeno implicitamente, rifiuta colui dal quale è uscita e che la mantiene in vita; è, dunque, un atto suicida.
Poiché col peccato l’uomo rifiuta di sottomettersi a Dio, anche il suo equilibrio interiore si rompe e proprio al suo interno scoppiano contraddizioni e conflitti. Così lacerato, l’uomo produce quasi inevitabilmente una lacerazione nel tessuto dei suoi rapporti con gli altri uomini e col mondo creato. È una legge e un fatto oggettivo, che hanno riscontro in tanti momenti della psicologia umana e della vita spirituale, come pure nella realtà della vita sociale, dov’è facile osservare le ripercussioni e i segni del disordine interiore.
Il mistero del peccato si compone di questa doppia ferita, che il peccatore apre nel suo proprio fianco e nel rapporto col prossimo. Perciò si può parlare di peccato personale e sociale: ogni peccato è personale sotto un aspetto; sotto un altro aspetto, ogni peccato è sociale, in quanto e perché ha anche conseguenze sociali” (RP 15).
E poiché ogni persona “in virtù di una solidarietà umana tanto misteriosa e impercettibile quanto reale e concreta” (RP 16) è intimamente relazionata con le altre, “il peccato di ognuno si ripercuote in qualche modo anche sugli altri. È questa l’altra faccia di quella solidarietà che a livello religioso si sviluppa nel profondo e magnifico mistero della comunione dei santi, grazie alla quale si è potuto dire che ogni anima che si eleva, eleva il mondo. A questa legge dell’ascesa corrisponde, purtroppo, la legge della discesa, sicché si può parlare di una comunione nel peccato, per cui un’anima che si abbassa per il peccato abbassa con sé la chiesa e, in qualche modo, il mondo intero. In altri termini, non c’è alcun peccato, anche il più intimo e segreto, il più strettamente individuale, che riguardi esclusivamente colui che lo commette. Ogni peccato si ripercuote, con maggiore o minore veemenza, con maggiore o minore danno, su tutta la compagine ecclesiale e sull’intera famiglia umana” (RP 16).

9. Sicché attraverso la confessione fatta ad un sacerdote il fedele vuole domandare perdono alla Chiesa, persuaso che con i suoi peccati l’ha offesa e impoverita.
Con la nuova effusione di grazia viene riparato il male compiuto nella Chiesa e si attira su di essa una grazia e una benedizione celeste.
Non si può fare di meglio per riparare!
Su questo argomento il Catechismo della Chiesa Cattolica si esprime così: “Il peccato incrina o infrange la comunione fraterna. Il sacramento della Penitenza la ripara o la restaura. In questo senso, non guarisce soltanto colui che viene ristabilito nella comunione ecclesiale, ma ha pure un effetto vivificante sulla vita della Chiesa che ha sofferto a causa del peccato di uno dei suoi membri” (CCC 1469).

10. C’è poi la cosiddetta grazia sacramentale propria della Penitenza.
Potrei dire che questa grazia sacramentale comunica tre realtà.
La prima consiste in un particolare dolore dei nostri peccati che è sulla lunghezza d’onda del dolore che Cristo in croce ha avuto per i peccati che abbiamo accusato in quella confessione.
La seconda è una particolare forza per poter risorgere e cambiare vita.
La terza è un gaudio o consolazione nel nostro cuore come un’eco del gaudio che si prova in Cielo quando un peccatore si converte.

11. Per questo il Catechismo della Chiesa Cattolica dice che “in coloro che ricevono il sacramento della Penitenza con cuore contrito e in una disposizione religiosa, ne conseguono la pace e la serenità della coscienza insieme a una vivissima consolazione dello spirito” (CCC 1468).

12. Circa poi la questione del non giudicare ti rimando a varie risposte pubblicate nel nostro sito.
Qui te ne indico alcune:

?AD – Come si fa a non giudicare il nostro prossimo?
www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=2934

AD – Gesù ci esorta a non giudicare il nostro fratello, ma è …
www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=1287

AD – Mi aiuta padre a fare ordine sul significato esatto di quelle …
www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=4545

AD – Vorrei chiederLe che cosa intendiamo anzi, che cosa Gesù …
www.amicidomenicani.it/leggi_sacerdote.php?id=2490

Ti auguro di sperimentare ben presto tutti i beni che ti ho presentato e per questo ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo