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Quesito
Buonasera Rev.do p. Angelo,
Ho letto sul sito amicidomenicani una sua risposta sulla questione dell’esclusione dei due libri dei Maccabei dai libri deuterocanonici da parte dei protestanti perché contengono riferimenti alla intercessione per i morti e allo stato di purificazione. Per caso saprebbe indicarmi una fonte che tratta magari anche in generale le motivazioni teologiche della esclusione dei Maccabei e degli altri libri dal “canone” protestante?
Facendo una breve ricerca non trovo fonti a riguardo, sembra non ci siano motivazioni teologiche.
La ringrazio di cuore!
fra Luca Maria
Risposta del sacerdote
Caro fra Luca Maria,
1. il biblista M. Laconi a proposito della canonicità dei Maccabei scrive: “Respinti dagli ebrei palestinesi, ma accolti con favore da quelli alessandrini, i due libri dei Maccabei furono accettati dalla Chiesa nel cui seno per due secoli non si levarono voci discordi: li citano come libri santi verso la fine del II sec. Clemente Alessandrino, Ippolito, Tertulliano; al III secolo Cipriano. (…).
Ma già nel III secolo e più ancora nel quarto la loro canonicità è discussa da alcuni Padri, che tuttavia ne fanno largo uso; ma in questo stesso periodo la gran maggioranza dei Padri li accoglie come sacri senza alcuna incertezza. Come per gli altri deuterocanonici, in Oriente i dubbi vanno scomparendo dal secolo VI, mentre per l’autorità di san Girolamo riaffiorano in Occidente durante tutto il Medio evo.
Finché il Concilio di Firenze (1442) e quello di Trento (1546) definirono dogmaticamente l’ispirazione e la canonicità di tutti i deuterocanonici, compresi i due libri dei Maccabei” (Il messaggio della salvezza, 2, p. 391).
2. Come mai San Girolamo, che è tra quelli che ne fanno largo uso, li rifiuta?
La Bibbia di Gerusalemme, nella sua edizione francese, scrive: “Ricordiamo che San Girolamo considera come apocrifi, e cioè non ispirati, quelli che non figurano nel canone ebraico” (Les livres des Maccabées, p. 8).
3. Il discorso si sposta dunque all’interno del mondo ebraico.
Ora sappiamo che tale mondo era diviso in due partiti, quello dei farisei e quello dei sadducei.
I primi credevano nella risurrezione dei morti e nella loro retribuzione, i secondi no.
Per questo i Sadducei accettavano della Scrittura solo i primi cinque libri, quelli del Pentateuco.
Essi credevano in una sopravvivenza simile a quella delle ombre, identica per tutti.
Poiché il secondo libro dei Maccabei manifesta esplicitamente la fede nella risurrezione, dev’essere stato scritto da un fariseo.
4. Il contesto in cui si parla della necessità del sacrificio per i morti e fa chiaro riferimento alla risurrezione è quello della vittoria di Giuda contro Gorgia, stratega dell’Idumea.
Gorgia avanzò con tremila fanti e quattrocento cavalieri (2 Mac 12,33). Nella battaglia “cadde però un piccolo numero di Giudei” (2 Mac 12,34).
“Giuda poi radunò l’esercito e venne alla città di Odollàm; poiché stava per iniziare il settimo giorno, si purificarono secondo l’uso e vi passarono il sabato.
Il giorno dopo, quando ormai la cosa era diventata necessaria, gli uomini di Giuda andarono a raccogliere i cadaveri dei caduti per deporli con i loro parenti nei sepolcri dei loro padri.
Ma trovarono sotto la tunica di ciascun morto oggetti sacri agli idoli di Iàmnia, che la legge proibisce ai Giudei. Così fu a tutti chiaro il motivo per cui costoro erano caduti” (2 Mac 12,38-40).
Il testo poi prosegue:
“Perciò tutti, benedicendo Dio, giusto giudice che rende palesi le cose occulte, si misero a pregare, supplicando che il peccato commesso fosse pienamente perdonato.
Il nobile Giuda esortò tutti a conservarsi senza peccati, avendo visto con i propri occhi quanto era avvenuto a causa del peccato di quelli che erano caduti.
Poi fatta una colletta, con tanto a testa, per circa duemila dracme d’argento, le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio per il peccato, compiendo così un’azione molto buona e nobile, suggerita dal pensiero della risurrezione.
Perché, se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti.
Ma se egli pensava alla magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota.
Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato” (2 Mac 12,41-46).
5. Mi chiedi quali siano per i protestanti le motivazioni teologiche dell’esclusione dei Maccabei dalle Sacre Scritture.
Sono riassunte nei convicimenti del popolo d’Israele sulla possibilità di offrire sacrifci per i defunti.
Ecco questi convincimenti nel pregevole commento di Mauro Laconi: “Il v. 43s. indica la base della convinzione di Giuda: la fede nella risurrezione dei morti, fortemente accentuata nel nostro libro (cfr. c. 7); senza la speranza della risurrezione, «sarebbe stato inutile e vano pregare per i morti» (v. 44). Ammettendola invece, si impostava il problema della retribuzione oltre la tomba (che non avrebbe avuto nessun senso nell’antica dottrina dello Sheol, secondo la quale buoni e cattivi dopo la morte avrebbero condiviso un’esistenza amorfa e inconscia, incapace tanto di gioia che di dolori), che nel 2 Mac. pare delinearsi così: quelli che muoiono nel pieno rispetto delle leggi divine, in perfetta virtù, otterranno la risurrezione e godranno della «vita eterna» (7,9.36), e quella che il nostro brano chiama «una bellissima ricompensa» (v. 45); per gli infedeli, gli empi, i macchiati di gravissime colpe, «non vi sarà risurrezione alla vita» (7,14), ma piuttosto, dopo essere stati rigorosamente puniti in questa vita (7,17.35), cadranno poi nella tenebrosa incoscienza dello Sheol.
Tra questi due gruppi si incunea il prezioso apporto del nostro brano: si dà una terza categoria di persone, fedeli, che muoiono sostanzialmente «nella pietà» (v. 45), cioè avendo rispettato e praticato la Legge di Dio, ma che hanno contratto una colpa e muoiono con la coscienza macchiata da un peccato; ebbene, costoro, anche dopo la morte potranno ottenere il perdono del loro peccato (vv. 42.43.45) mediante il suffragio dei vivi esercitato con preghiere (v. 42) e sacrifici espiatori (vv. 43.45).
In tutta la Bibbia non vi è testo che esplicitamente come questo stia alla base della dottrina cattolica del Purgatorio (17) e del valore dei suffragi praticati per i defunti.
Non la contiene però ancora in modo perfetto e completo, perchè è del tutto assente il concetto di espiazione ultraterrena, o di pene da Dio inflitte al defunto che ha colpe da espiare. Per di più lascia ancora dei punti oscuri: quali colpe possono essere rimesse nell’aldilà e quali no? Non è certo possibile desumere dal nostro testo la distinzione precisa tra colpe gravi e colpe veniali, ma al massimo tra gravissime colpe irremissibili (ad es. empietà di persecutore: 7,14, apostasia), e colpe meno gravi, (come quella commessa dai soldati di Marisa). Di più non è possibile chiedere al 2 Mac.
Questa unica e preziosa testimonianza sulla fede del giudaismo precristiano dell’ultimo periodo, enuncia una dottrina che non solo troverà il suo pieno sviluppo nell’insegnamento della Chiesa, ma che si ritroverà ancora, almeno accennata, nella letteratura rabbinica; proprio nel periodo evangelico la corrente di Shammai ammetteva una specie di Purgatorio: «La scuola di Shammai dice: vi sono tre classi: una per la vita eterna, l’altra per gli obbrobri di una durata eterna: sono i perversi completi; quelli tra di loro per cui la bilancia rimane eguale, scendono nella geenna e si mantengono al di sopra, e ne rimontano e sono guariti» (Tosephta Sanh., 13,3)” (Il messaggio della salvezza, 2, pp. 410-411).
6. Quest’ultima linea di pensiero, presente ai tempi di Gesù nell’ambiente ebraico, rende ragione dell’affermazione di San Paolo secondo cui alcuni si salveranno “quasi passando attraverso il fuoco” (1 Cor 3,15) e di come mai fin dall’inizio nella vita cristiana si è pregato e si è celebrata l’Eucaristia per i defunti.
Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore ti benedico.
Padre Angelo