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Quesito
Caro Padre Angelo,
ho scoperto da poco questo blog e intendo ringraziarla per il grande lavoro che svolge.
Io sono un ragazzo di 21 anni, frequento l’università e cerco di vivere la mia vita nella fede. Le chiedo scusa nel caso in cui questa domanda le sia già stata posta, ma non ho avuto modo di leggere tutte le risposte che ha pubblicato.
Le chiedo inoltre scusa se scendo nei dettagli ma non riesco a trovare un altro modo di esporle la questione.
Bene, io so che la masturbazione è un peccato mortale e so ,dal Catechismo, che un peccato mortale, per essere tale, suppone la presenza di materia grave, piena avvertenza e deliberato consenso. Io le chiedo delucidazioni sul deliberato consenso, in particolare le espongo le situazioni in cui mi sono trovato.
Spesso, mentre sono da solo ho la tentazione di cadere negli atti impuri e, anche se è una cosa che non vorrei fare e che cerco di evitare, magari comincio a caderci (mettendo le mani dove non dovrei e/o se mi capita di vedere qualche immagine “poco casta”), poi mi rendo conto che sto sbagliando e allora smetto, prima di “portare a termine”, diciamo così, il peccato. Ecco la mia domanda è proprio questa: se io cerco di lottare contro questo peccato con tutte le mie forze, ma comunque in qualche modo ci sono caduto ( perché “ho cominciato”, anche se mi sono fermato “durante”), mi trovo comunque in condizione di non essere in Grazia di Dio?
Questa situazione, anche se molto raramente, potrebbe capitare anche con la mia ragazza: in un momento di intimità vi è la tentazione di esagerare, ma poi si “ritira la mano indietro”, perché entrambi sappiamo che non è quello il modo giusto di vivere il nostro fidanzamento.
Approfittando della sua pazienza e bontà, le porgo un’altra domanda, comunque inerente alla prima. Mi capita spesso (anzi sempre), che, dopo essere caduto in un peccato mortale, io cambi totalmente.
Le spiego: mi passa la voglia di fare tutto (non vorrei esagerare dicendo “la voglia di vivere”), trascuro la preghiera ed il mio rapporto con il Signore, e commetto ancora altri peccati tipo “reazione a catena”.
Io so che la gioia di vivere viene dalla Grazia di Dio, e che senza di Lui la mia vita non avrebbe senso… tanto è che mi capita di accostarmi al sacramento della Riconciliazione a volte anche più volte a settimana. E comunque quasi sempre almeno una volta a settimana. La domanda è: mi può dare un consiglio su come limitare questo impatto psicologico che il peccato causa su di me?
Anche perché poi con la Confessione mi rendo conto di quanto Dio mi ami, e di con quanta facilità mi perdoni, mentre io avevo perso l’amore e la fiducia verso me stesso. Vuoi perché la mia anima non vive senza la Grazia del Signore, vuoi perché il mio egoismo e la mia vanità non vogliono accettare che comunque sono un peccatore.
Grazie Padre Angelo!
F.
Risposta del sacerdote
Caro F.,
1. circa la prima domanda distinguerei tra il cercare deliberatamente di compiere un atto impuro e fermarsi (diciamo così) in cammino, e trovarsi a compiere senza deliberazione questo atto e fermarlo appena se ne ha l’avvertenza.
Se nel primo caso ci troviamo di fronte a deliberato consenso, nel secondo caso mi pare che non ci sia piena deliberazione.
2. Nel primo caso la propria volontà, almeno inizialmente, è difforme dalla volontà di Dio. Per cui si perderebbe già la grazia.
Dico: perderebbe.
Perché il fatto che talvolta non inizi neanche l’azione cattiva sta a significare che forse non c’era la determinazione piena a compiere l’atto.
Quando invece la determinazione c’è e si passa atto, anche se ci si arresta prima della fine, non si può dire che non si sia peccato grave.
Tuttavia la volontà di arrestarsi forse può significare che, pur nel peccato grave, si è manifestato un po’ di buona volontà.
3. Nel secondo caso manca il deliberato consenso, sicché non vi sarebbe peccato grave.
Sebbene bisognerebbe anche trarre insegnamento dalla propria esperienza e non mettersi supinamente in situazioni di continuo errore, dalle quali si deve tornare indietro.
Faccio un esempio: quando si guida la macchina, può capitare che per qualche volta si sbagli di imboccare la strada giusta, soprattutto dove ci sono diversi svincoli. Ma a forza di dai, mettendoci maggiore avvertenza, poi non sbaglia più.
Allora come siamo solleciti a mettere questa buona volontà per quanto concerne la guida di una macchina, così dobbiamo essere solleciti di attingere sempre ciò che custodisce la purezza dei nostri affetti e ci permette di poterli offrire a Dio come ostia viva, santa e a Lui gradita (cfr. Rom 12,1).
4. Circa la seconda domanda (dopo essere caduto ti viene meno la buona volontà in tutto): mi viene da dire che senti bene che gli atti impuri sono un peccato mortale. Te ne accorgi dagli effetti.
Potrei dire che tu sei più attento ad evidenziarlo perché da quanto capisco cerchi di avere una certa vita spirituale e coltivi sinceramente l’amicizia col Signore.
Altri avvertono di meno questo disagio, oppure non lo avvertono affatto perché la loro coscienza su questo punto è meno pulita o è del tutto oscurata. In ogni caso però qualche conseguenza negativa la sentono ugualmente.
Anche perché l’atto impuro cerca di dare una soluzione sessuale ad un problema che non c‘entra nulla con la sessualità.
Il problema rimane. In più c’è il disagio o il malessere dell’atto impuro, di cui il minimo che si possa dire è che non è secondo il significato intrinseco della sessualità.
5. La cosa migliore senza dubbio sarebbe quella di non cadere mai in questo peccato. E devi fare uno sforzo per giungervi, incrementando la preghiera e la tua unione col Signore.
Ma qualora succedesse ancora, la prima cosa che devi fare è quella di domandare perdono al Signore.
Certo non puoi dirgli in quel momento che lo ami, perché senti che l’ha appena tradito. Ma puoi ripetergli incessantemente come i dieci lebbrosi di cui abbiamo sentito nel Vangelo della 28° domenica del tempo ordinario: “Gesù, maestro, abbi pietà di me”.
È una forma di preghiera penitente e se è motivata dal dispiacere di aver di nuovo crocifisso il Signore può già portare in noi la grazia santificante prima ancora della confessione sacramentale (sebbene non senza il suo proposito e sebbene non consenta di fare la Santa Comunione).
Questo sentimento di vera contrizione, detto anche di contrizione perfetta proprio perché è animato dalla carità, dovrebbe portare alla pratica della carità verso tutti e anche verso se stessi.
5. Tuttavia l’atto impuro, proprio perché provoca un disordine nell’intimo nucleo della persona, non lascia fisicamente e psicologicamente indenni, per cui è inevitabile che poi si avverta in maniera più o meno forte questa alterazione.
Ma il pentimento che si esprime anche attraverso la preghiera penitente e alcune opere penitenziali che uno si impone da se stesso, può riportare almeno in parte la serenità perduta, in attesa della riconciliazione piena che avviene con la celebrazione del sacramento della confessione.
Ti auguro tuttavia di non credere mai più.
In te mi pare di vedere le premesse per potercela fare, con l’aiuto della grazia di Dio.
E proprio questa grazia di Dio la impetro per te assicurandoti la mia preghiera e l’aiuto della benedizione.
Padre Angelo