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ciao padre Angelo,
un caro saluto e buona Quaresima ormai vicina.
A fronte di notizie come questa di …, malata di SLA che si è fatta staccare la ventilazione meccanica, ed è morta sotto sedazione, mi chiedo: quella ventilazione meccanica era o no accanimento terapeutico? È stata eutanasia o si è lasciato semplicemente che le cose facessero il loro corso? La ventilazione artificiale è un intervento proporzionato o sproporzionato? Quali criteri ci possono aiutare a discernere questi casi?
Grazie dell’attenzione!
don Paolo
Caro don Paolo,
1. il Magistero della Chiesa insegna che ognuno è tenuto conservarsi in salute fruendo dei mezzi proporzionati.
Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium vitae afferma che “si dà certamente l’obbligo morale di curarsi e di farsi curare, ma tale obbligo deve misurarsi con le situazioni concrete; occorre cioè valutare se i mezzi terapeutici a disposizione siano oggettivamente proporzionati rispetto alle prospettive di miglioramento.
La rinuncia a mezzi straordinari o sproporzionati non equivale al suicidio o all’eutanasia; esprime piuttosto l’accettazione della condizione umana di fronte alla morte” (EV 65).
2. Non vanno considerati come accanimento terapeutico la ventilazione meccanica, la nutrizione parenterale totale, l’emodialisi, l’assistenza meccanica del circolo, i trapianti d’organo.
La necessità di ricorrervi dipende anzitutto dalle condizioni del soggetto.
3. La Congregazione per la dottrina della fede nella Dichiarazione sull’eutanasia (5.5.1980) al par. IV fornisce alcuni criteri pratici:
– “È sempre lecito accontentarsi dei mezzi normali che la medicina può offrire”. Anzi l’uso dei mezzi normali o proporzionati è doveroso.
– “È lecito interrompere l’applicazione di tali mezzi quando i risultati deludono le speranze riposte in essi”.
È infatti sempre valido l’assioma “nemo ad inutile tenetur” (nessuno è tenuto a ciò che è inutile).
– “Nell’imminenza di una morte inevitabile nonostante i mezzi usati, è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all’ammalato in simili casi”.
Ciò significa che non vi è il dovere di usare quei mezzi che prolungherebbero la vita così brevemente da poter essere considerati moralmente come un nulla.
Qui si può applicare il principio “parum pro nihilo reputatur” (il poco è come il niente).
– “Non si può imporre a nessuno l’obbligo di ricorrere a un tipo di cura, per quanto già in uso, che tuttavia non è ancora esente da pericoli o è troppo oneroso. Il suo rifiuto non equivale al suicidio. Significa piuttosto semplice accettazione della condizione umana, o desiderio di evitare la messa all’opera di un dispositivo medico sproporzionato ai risultati che si potrebbero sperare, o volontà di non imporre oneri troppo gravi alla famiglia e alla collettività”.
4. Alla luce di questi criteri e tenendo presente il caso specifico della ventilazione meccanica il paziente – considerate le proprie condizioni di vita – avrebbe potuto rinunciare come punto di partenza all’applicazione della ventilazione meccanica.
Era sufficiente che lo considerasse “troppo oneroso” per lui, soprattutto se si fosse trattato di conservarsi in vita in condizioni penose.
Lo stesso discorso vale anche per la tracheotomia e simili interventi.
Rinunciarvi non equivale a eutanasia o suicidio.
5. Ma una volta accettato l’intervento le cose cambiano.
Ciò che inizialmente era optativo, adesso non lo è più nel medesimo modo di chi avendo fatto un trapianto di cuore o di fegato non può dire: toglietemi il cuore o il fegato.
Per lui vivere così è uno stato di necessità voluto e nel quale adesso è tenuto a perseverare, fin tanto che questo mezzo non risulti inutile o nocivo.
Solo in quest’ultimo caso si potrebbe sospendere nel medesimo modo in cui è lecita la sospensione dell’alimentazione artificiale qualora “causasse un rilevante disagio fisico” (Congregazione per la dottrina della fede, 1.8.2007).
6. In questo senso si erano espressi i vescovi della Pennsylvania a proposito della sospensione di somministrazione di cibo a pazienti nei quali era in atto la morte cerebrale.
Dissero che “l’omissione di nutrizione e idratazione artificiale può essere moralmente giustificata.
Ciò che aiuta a cogliere la specie morale oggettivamente differente tra questo comportamento e un’eutanasia passiva è che in tal modo non si vuol porre fine alla vita del paziente, ma ci si astiene da qualcosa che è diventato inutile o troppo penoso applicare. Il giudizio di “inutilità” o “eccessiva penosità” riguarda il mezzo applicato e non la vita del paziente” (12.12.1991).
Ti ringrazio per il quesito, ti auguro un fecondo ministero e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo