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Caro Padre Angelo,
quale ruolo è affidato alla morte in croce di Gesù da Paolo?
Carissimo,
1. il profeta Isaia aveva parlato del futuro Messia presentandolo come un servo sofferente.
Ecco il testo più importante: “Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti.
Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca” (Is 53,3-7).
2. Isaia però era vissuto nel secolo 8° avanti Cristo.
Nel tardo giudaismo, e cioè nei tempi più vicini alla venuta di Cristo, non si attendeva più il Messia nelle vesti del servo sofferente, ma in una figura indicibilmente splendida, terreno-celestiale, guerriera e politica insieme, superiore a ogni umana debolezza, alle infermità e alla morte.
Mai un simile eroe, quasi un superuomo, si sarebbe lasciato crocifiggere.
Sua caratteristica sarebbe stata la sovranità universale, l’annientamento dei nemici, l’instaurazione di una regalità eterna e universale. Avrebbe portato fra i popoli pace per sempre.
Nel libro di Enoch, un apocrifo del 1° secolo avanti Cristo, se ne descrive l’attesa: “Mai potrà l’uomo immaginare quanto sia terribile il suo aspetto di fronte ai nemici… Ovunque egli dirige il suo sguardo tutto quello che cade sotto i suoi occhi trema; ovunque pervenga il suono della sua voce coloro che l’ascoltano si disciolgono come cera al fuoco» (Enoch, 46)
Ugualmente anche un coevo apocrifo, Esdra, nel quarto libro della sua Apocalisse al capitolo 13 parla di una moltitudine di uomini che si alzano per lottare contro un personaggio misterioso. Al momento di affrontarlo hanno paura.
Quel personaggio (il Messia) non aveva in mano nessuno strumento di guerra. Ma fu sufficiente che emettesse dalla sua bocca un soffio di fiamma e di fuoco e che dalla sua lingua uscissero scintille di tempesta che tutti furono rimanessero arsi, lasciando dietro se stessi solo polvere di cenere e fumo.
3. Per tale motivo la passione espiatoria di Cristo colse psicologicamente impreparata la grande massa del popolo giudaico e soprattutto i tutori ufficiali della religione, gli Scribi e i Farisei.
La cerchia stessa dei discepoli non riuscì a sottrarsi totalmente al fascino dei sogni di grandezza terrena.
Sicché quando Cristo disse: “Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà” essi non capirono quelle parole e avevano timore di interrogarlo (Mc 9,31-32).
Non ci si stupisce allora che gli apostoli aspirassero a occupare seggi ministeriali a destra e a sinistra del Messia (Mc 10,37).
E fu per questo che San Pietro si rifiutò di accettare la predizione di Cristo sulla sua passione (Mt 16,22).
4. Tale era anche l’immagine del Messia presente in san Paolo prima della sua conversione.
Il Messia non poteva soffrire, non poteva morire in quel modo.
La risurrezione gli sembrava una notizia messa in giro da alcune persone interessate.
San Paolo aveva assistito alla lapidazione di Santo Stefano il quale al momento della morte disse: “Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio” (Ap 7,56).
Certo Paolo non credeva a quanto Stefano diceva. Ma se lo tenne a mente, come del resto ricordava la testimonianza dei cristiani sulla risurrezione di Gesù.
Ed ecco che sulla strada di Damasco gli apparve proprio quel Gesù che Stefano aveva visto. Lo vide risorto che gli diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perséguiti?”.
E Paolo: “Chi sei, o Signore?”.
E Gesù: “Io sono Gesù, che tu perséguiti!” (Cfr. Ap 9,5-6).
Se gli parla, allora è risorto.
Aveva ragione dunque Stefano.
E avevano ragione anche i cristiani.
5. È alla luce della risurrezione che San Paolo comprende la morte di Gesù in croce.
Se non avesse visto Cristo risorto che gli apparve per ultimo come ad un aborto (1 Cor 15,8) non avrebbe mai potuto superare lo scandalo della croce.
La croce sarebbe rimasta per lui, come per la concezione giudaica, solo un patibolo infame.
6. Nella lettera ai Filippesi invece esprime tutta la sua fede nella passione redentrice di Cristo.
La vede come passaggio necessario per vincere il male più grande dell’uomo, quello della morte, e per farci entrare con lui nella gloria.
Ecco le sue testuali parole: “Eegli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!, a gloria di Dio Padre” (Fil 2,6-11).
7. Così con la risurrezione è superato lo scandalo della croce.
In virtù della passione e della risurrezione del Signore Paolo considera come spazzatura quello che per gli ebrei contava, e cioè le osservanze rituali.
Ormai ha solo un desiderio: diventare conforme a Cristo nella morte per diventargli conforme anche nella risurrezione.
“Ma queste cose (le prescrizioni della legge), che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo.
Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore.
Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti” (Fil 3,7-11).
Mentre a vicenda ci auguriamo di diventare come San Paolo conformi a Cristo nella sua risurrezione e anche in ciò che la precede, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo