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Quesito

Caro padre Angelo,
ti scrivo per porti una questione che in questo periodo mi sta molto a cuore.
La mia coinquilina, che nel tempo è diventata anche una mia cara amica, vive una vita affettiva che potrei definire quasi more uxorio, ossia lei e il suo ragazzo ogni sera condividono la cena e il letto; va aggiunto che questa mia amica dice anche di avere riscoperto la fede, che Dio è importante nella sua vita, però, in concreto, non accetta il magistero morale della Chiesa sulla sessualità, sostenendo di aver raggiunto questa convinzione dopo aver compiuto un percorso di maturazione, seguita anche da uno psicologo.
A me questo interroga molto, e dà anche un po’ fastidio, dato che, quando mi capita di cadere in questo tipo di peccati, mi guardo bene dal fare la Comunione, senza prima confessarmi, problema che a lei non sembra toccare.
So che spesso tu alle domande su questi temi, dici che la coscienza va educata e che, anzi, l’abitudine al peccato ottunde in parte la capacità di discernimento tra bene e male. D’altronde, penso di avere davanti un piccolo prodigio di Dio: questa coppia di amici già sta progettando il matrimonio in chiesa, di avere figli e di vivere per sempre insieme, per cui ho come l’impressione che il Signore abbia cominciato a lavorare in loro, che ci sia una vocazione autentica, anche se c’è ancora molto da lavorare.
Insieme a questa situazione, vorrei porre alla tua attenzione anche un mio problema, legato alla questione precedente.
Mi sono reso conto, in questo tempo di convivenza “da studenti”, di avere una reazione direi quasi “nevrotica” se per caso persone che mi sono vicine fanno capire, dalle parole e dai gesti, di avere un rapporto con la sessualità molto libero, normale, quotidiano, quasi che mi dia fastidio avvertire in chi mi sta vicino quel tipo di intimità, e immaginare quello che questa comporta. So che questo ha senza dubbio un’origine psicologica, quindi ho focalizzato la questione, almeno un po’; quello che mi inquieta, comunque, è che questa mia “avversione” sembra avere in me una presa molto forte, e, quello che è peggio, sento che mi pone un serio problema per amare il mio prossimo, come se non potessi fare a meno di odiare negli altri quello che non tollero neanche in me, tenendo conto che sono lontano anni luce da quell’apprezzamento e da quella visione positiva del corpo e della sessualità che ci ha trasmesso il magistero di Giovanni Paolo II.
Per cui ti chiedo, come posso fare per portare questo mio disagio nella vita spirituale?
Ringraziandoti per la disponibilità, ti abbraccio nel Signore!

 


 

Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. non mi meraviglio che tu abbia sentimenti di avversione nei confronti del comportamento della tua coinquilina.
A meno che io non fraintenda, questo dovrebbe essere l’atteggiamento normale di ogni cristiano: amiamo i peccatori ma i loro peccati li detestiamo, non possiamo accettarli.
Oggi c’è una mentalità anche all’interno della Chiesa che tende ad equiparare tutto: buono e non buono, lecito e non lecito. Ma questo non è secondo l’insegnamento del Vangelo, il quale ci chiama ad essere franchi: “Il vostro parlare sia: «Sì, sì», «No, no»; il di più viene dal Maligno” (Mt 5,37).
Per cui il disagio che provi mi sembra essere un buon segno.
Ciò che è peccato non giova ad avvicinarsi a Dio, perché il peccato in se stesso è allontanamento da Dio, come dice Sant’Agostino.

2. Mi dici che questa ragazza si sta avvicinando a Dio sebbene rifiuti il magistero morale della Chiesa.
Tuttavia ho l’impressione che in quella tua inquilina si stia risvegliando la religiosità (che di per sé è naturale in ogni cuore umano) più che la fede, la quale di per se stessa implica il lasciarsi condurre.
Ora questa ragazza non si vuole lasciar condurre dal Signore e tanto meno da coloro di cui il Signore ha detto: “Chi ascolta voi ascolta me e chi disprezza voi disprezza me” (Lc 10,16).

3. Certo il Signore si serve anche della religiosità naturale per attirare a Sé. Del resto è Lui che l’ha immessa nel cuore dell’uomo.
Ma questa da sola non basta.
San Tommaso ricorda che credere a Dio comporta aderire alle Verità che egli ci ha comunicato (Somma teologica, II-II, 2, 2).
Queste verità Dio ce le presenta attraverso la Chiesa alla quale ha promesso il suo spirito di verità perché non devii nel suo insegnamento.

4. Ugualmente mi pare normale il “fastidio” che provi nei confronti di persone che hanno un rapporto con la sessualità molto libero, e cioè licenzioso.
Di Santa Caterina da Siena si legge che quand’era bambina tutti cercavano di averla con loro perché in sua compagnia si sentivano meglio, sparivano le fatiche interiori e gli spiriti cattivi.
Per una persona che è a posto e vive in grazia è quasi normale provare i medesimi sentimenti di quella gente quando si è alla presenza di un santo.
Ed è anche quasi normale che queste stesse persone avvertano disagio in un ambiente che non ne condivide la fede e le aspirazioni. Si sentono come un pesce fuor d’acqua.
Mi pare di poter dire che questo fastidio talvolta sia addirittura reciproco.

5. Tuttavia, al di là del disagio, dobbiamo fare sempre la distinzione tra peccato e peccatore: il peccato va odiato, il peccatore va amato.
Per cui non è evangelico provare avversione per le persone, per quanto siano sprofondate nel peccato.
Sant’Agostino, spiegando le parole evangeliche: "Amerai il prossimo tuo", afferma che "col termine prossimo è indicato chiaramente qualsiasi uomo" (De doctr. Christ. 1,30).
E poiché i peccatori non cessano di essere uomini e il peccato non toglie loro la chiamata alla comunione con Dio dobbiamo amarli perché Dio viva in loro e loro vivano in Dio, come dice San Tommaso (Quaest. disp. de caritate, a. 4).

6. Sicché dobbiamo desiderare per loro la conversione, il pentimento, la grazia di Dio, la riparazione del male compiuto e la salvezza eterna.
Sappiamo che nostro Signore cercava i peccatori e mangiava e beveva con loro per trarli a salvezza (cf. Mt 9,10 ss).
San Tommaso dice che sono lodevoli le persone che stanno con i peccatori per convertirli purché non si corrompano nel fervore e nella vita di grazia.
Mentre questo non sarebbe buona cosa per più fragili per il pericolo di una loro corruzione (Somma teologica, II-II, 25,6, ad 5).

7. Cerca anche tu di fare la stessa cosa.
Non fermarti al fastidio o al rancore, che non giovano a nulla se non ad avvelenare il cuore e a far star male.
Poiché la carità è un amore soprannaturale che nessuno può produrre da se stesso ma è dono di Dio, domanda insistentemente al Signore la grazia di poter amare tutti, e in particolare i peccatori, perché Dio viva in loro ed essi vivano in Dio.
È il meglio che ti possa augurare.

E perché l’augurio non rimanga sterile lo accompagno con un ricordo al Signore.
Ti auguro ogni bene e ti benedico.
Padre Angelo