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Quesito
Carissimo padre Angelo,
avrei in quesito da porLe circa il divieto di pronunciare invano il nome di Dio, e, in particolar modo, circa la differenza tra la rigorosa interpretazione ebraica e la ben più rilassata interpretazione cristiana.
Nell’ Esodo leggiamo che Dio ha detto: “Non pronuncerai invano il nome del Signore Dio Tuo , perché il Signore non lascerà impunito chi lo avrà pronunciato invano” (Esodo 20,7). Nel Deuteronomio ribadisce: “Non nominare invano il nome del Signore tuo Dio, perché il Signore non ritiene innocente chi lo nominerà invano”.
I nostri amati fratelli maggiori ebrei ci tengono talmente tanto ad osservare questo precetto, che sono arrivati al punto di non nominarlo affatto, sostituendo alla parola Dio espressioni come “il Santo Benedetto Egli Sia”, l’Eterno, il Santo, il Forte, il Benedetto, il Padrone del cielo….
Anche quando sono costretti a scrivere tale parola, non la scrivono mai per intero ma mettono un trattino di modo che risulti D-o, o, in inglese G-D e così in tutte le lingue.
Ora, non dico che si debba arrivare anche noi a questi estremi, ma perché molti nostri predicatori riducono tale comandamento al semplice divieto della bestemmia?
Difatti il comandamento biblico che vieta la bestemmia è un altro, più avanti rispetto al Decalogo: “Non bestemmierai Dio e non maledirai il principe del tuo popolo” (Esodo 22,27).
Invece capita spessissimo che in molte parrocchie e chiese (non solo cattoliche ma anche protestanti) si dia per scontato che sia la bestemmia la sola espressione proibita, mentre non risulta essere offensivo mettere il Santissimo nome di Dio in espressioni esclamative quali il celebre “Oh mio D..!” e altre simili. Non so se qualcuno ci ha mai pensato, ma nominare il Creatore di tutte le cose in simili espressioni è molto degradante per Lui.
Difatti anche il Card Ravasi, la cui sapienza biblica è, a mio modesto avviso, ineguagliata, ha spiegato che in ebraico “invano” significa “Fuori dal sacro contesto, senza una più che valida ragione”.
Vorrei tanto che lei, in qualità di predicatore e di teologo, mi desse una sua opinione in proposito.
Nel frattempo la ringrazio di tutto cuore per le risposte che incessantemente fornisce. Che il Santo Benedetto la ricolmi di grazia e benedizione.
Con affetto, Daniele.
Risposta del sacerdote
Caro Daniele,
1. non è vero che i nostri pastori riducano il secondo comandamento al divieto della bestemmia.
Di fatto molti fedeli quando si confessano accusano di aver pronunciato il nome di Dio o della Vergine invano.
Per quanto riguarda i Pastori: il Magistero della Chiesa nel Catechismo della Chiesa Cattolica dice più o meno quanto tu riporti del card. Ravasi: “Il secondo comandamento proibisce l’abuso del nome di Dio, cioè ogni uso sconveniente del nome di Dio, di Gesù Cristo, della Vergine Maria e di tutti i santi” (CCC 2146).
E aggiunge: “Il secondo comandamento proibisce l’abuso del nome di Dio, cioè ogni uso sconveniente del nome di Dio, di Gesù Cristo, della Vergine Maria e di tutti i santi” (CCC 2149).
2. Il medesimo Catechismo inquadra questo divieto all’interno del rispetto di ciò che è sacro.
Per sacro s’intende ciò che viene sottratto all’uso profano per essere destinato esclusivamente al culto di Dio.
Questo si applica a tempi, a luoghi, a persone, a oggetti, a suppellettili e anche alle parole.
Per questo, ad esempio, è del tutto sconveniente usare parole della sacra Scrittura per fare ridere.
3. Scrive il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Il rispetto per il nome di Dio esprime quello dovuto al suo stesso Mistero e a tutta la realtà sacra da esso evocata. Il senso del sacro fa parte della virtù della religione” (CCC 2144)
E riporta quest’affermazione del Card. Newmann: “Il sentimento di timore e il sentimento del sacro sono sentimenti cristiani o no? Nessuno può ragionevolmente dubitarne. Sono i sentimenti che palpiterebbero in noi, e con forte intensità, se avessimo la visione della Maestà di Dio. Sono i sentimenti che proveremmo se ci rendessimo conto della sua presenza. Nella misura in cui crediamo che Dio è presente, dobbiamo avvertirli. Se non li avvertiamo, è perché non percepiamo, non crediamo che egli è presente” (John Henry Newman, Parochial and plain sermons, 5, 2, pp. 21-22).
4. E qui tocchiamo la motivazione più profonda, ricordata in una nota della Bibbia di Gerusalemme: “Secondo la mentalità degli antichi, il nome è inseparabile dalla persona e partecipa della sue prerogative” (BJ, nota a At 3,16).
Pertanto pronunciare il nome di Dio o il nome di Gesù è la stessa cosa che mettersi alla loro presenta e invocarne l’onnipotenza salvatrice.
Ora si comprende bene la sconvenienza (per usare un eufemismo) del pronunciare invano il nome di Dio o il nome di Gesù: ci si mette alla loro presenza e non vi si bada affatto. È come invitare a casa propria una persona e lasciarla in un angolo mentre noi ci dedichiamo a tutt’altro.
5. Il Catechismo della Chiesa Cattolica precisa: “La santità del nome divino esige che non si faccia ricorso ad esso per cose futili” (CCC 2155).
Ciò significa che la parola Dio può essere usata nelle nostre conversazioni e nelle nostre o discussioni”. Non è necessario ricorrere a giri di parole per non usare la parola Dio.
San Paolo quando scrive ai Romani usa molto spesso la parola Dio, come ad esempio: “Infatti l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute. Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. 22Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con un’immagine e una figura di uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili” (Rm 1,18-23).
E parlando all’Areopago di Corinto imbastisce tutto un discorso su Dio per giungere alla conclusione che Dio si è incarnato, è morto ed è risorto: “Passando infatti e osservando i vostri monumenti sacri, ho trovato anche un altare con l’iscrizione: «A un dio ignoto». Ebbene, colui che, senza conoscerlo, voi adorate, io ve lo annuncio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è Signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti da mani d’uomo 25né dalle mani dell’uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa: è lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio perché cerchino Dio, se mai, tastando qua e là come ciechi, arrivino a trovarlo, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come hanno detto anche alcuni dei vostri poeti: «Perché di lui anche noi siamo stirpe». Poiché dunque siamo stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all’oro, all’argento e alla pietra, che porti l’impronta dell’arte e dell’ingegno umano. Ora Dio, passando sopra ai tempi dell’ignoranza, ordina agli uomini che tutti e dappertutto si convertano, perché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare il mondo con giustizia, per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti»” (At 17,23-31).
6. Pertanto non mi sentirei di dire che la Chiesa Cattolica presenti una “ben più rilassata interpretazione cristiana” del secondo comandamento sia.
Siamo in buona compagnia di San Paolo, che godeva della Divina Rivelazione più dei rigidi ebrei che per non pronunciare la parola Dio ricorrevano sempre ad altre interlocuzioni. Mentre nella stessa Scrittura non viene fatto così
Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo