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Quesito

Salve padre Angelo, innanzitutto la ringrazio di cuore per il suo servizio alla Chiesa e… alla Verità, Dio la benedica per questo. Ora, tornando al motivo per cui ho deciso di scriverle, avrei bisogno che lei mi chiarisca una questione. La domanda che sto per farle la metto tra le virgolette perché non è mia ma se l’è posta un mio amico:

"Io credo nel Logos, ma Cristo è, secondo la fede cristiana, il Logos incarnato: che ragioni mi si offrono per accettare questo? Che cosa porta un cristiano a credere che Gesù, un uomo realmente vissuto su questa Terra, sia davvero il Figlio di Dio? Metafisica, Essere Perfetto, Logos, Fine Ultimo, legge naturale: tutto ciò non è da sé sufficiente? Si dice questi siano solo i preambula fidei, l’accesso alla fede; eppure io non vedo in essi alcun appiglio cui aggrapparmi, alcun pertugio in cui cercare di passare. Non trovo alcun indizio che mi suggerisca di andare oltre, niente mi aiuta a riconoscere Dio nel Cristo; perché allora non dovrei fermarmi qua? Severino Boezio era cristiano eppure, disperato in prigione mentre attendeva che fosse eseguita la sua ingiusta sentenza di morte, scrisse La consolazione della Filosofia. In quest’opera si interroga su cosa sia l’autentico bene per l’uomo e sul perché Dio permetta il male, e alla fine grazie alla riflessione e al ragionamento ritrova la serenità. In tutto il testo Cristo non è mai nominato; se altri suoi scritti non ci fossero pervenuti non avremmo avuto modo per sapere che Boezio fosse cristiano e probabilmente lo avremmo naturalmente collocato all’interno del neoplatonismo pagano. Perché nel momento più difficile della sua vita Boezio non si rivolge a Cristo? La filosofia parrebbe per lui essere completamente sufficiente. Io mi sento in questa stessa condizione, e questo è il motivo per cui non posso, non riesco, a dirmi cristiano".

Quindi, padre Angelo, perché non è sufficiente, per un cristiano, la sola filosofia, la sola ragione? Perché senza la fede non possiamo piacere a Dio? 
La ringrazio in anticipo, e che Dio la benedica.


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. per piacere a Dio e cioè per diventare suoi amici ed essere partecipi del suo Regno non è sufficiente essere buoni e onesti.
È necessario essere rivestiti della grazia santificante.
Questa grazia santificante è simboleggiata dalla veste nuziale che doveva indossare l’invitato alle nozze di cui parla il Vangelo e che per averla disattesa fu severamente redarguito dal Re (Mt 22,12).
Ecco il testo: “Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: «Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?». Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: «Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti». Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti»” (Mt 22,11-14).

2. Per essere amici di Dio non è sufficiente appartenere alla Chiesa. Quel tale aveva accolto l’invito al banchetto. Era presente, ma era sprovvisto della veste nuziale.-
È necessario dunque e soprattutto essere rivestiti della grazia.
San Gregorio Magno dice: “Che cosa dobbiamo intendere per vestito di nozze se non la carità?” (Omelie sui Vangeli).
E Sant’Ilario: “Vestito di nozze è anche la grazia dello Spirito Santo e il candore dell’abito celestiale che, una volta ricevuto con la confessione della fede, va conservato pulito e integro fino al raggiungimento del regno dei cieli” (Commento in Matteo).

3. Possedere la carità significa aver accolto Gesù Cristo nella propria vita e vivere una vera amicizia con Lui.
Dice San Tommaso: “È proprio dell’amicizia che l’amico riveli i suoi segreti all’amico, non solo ma che gli comunichi anche i suoi beni, che conversi con l’amico, che si diletti della sua presenza, che si compiaccia delle sue parole e delle sue azioni, che trovi in lui consolazione nei suoi dolori” (Contra Gentes, IV, 21,22).
E ancora: “Nell’amore di amicizia chi ama si trova nell’amato in quanto considera il bene e il male, come pure la volontà stessa dell’amico, come cose sue proprie, così da sembrare che egli stesso senta e subisca il bene o il male nel proprio amico. Per questo è proprio degli amici volere le stesse cose e delle medesime dolersi e godere” (Somma teologica, I-II, 28, 2).
Questo amore si esprime in particolare nel godere di essere suoi amici e di stare insieme con lui, secondo quanto esprime il bel versetto del Cantico: “Il mio diletto è per me e io per lui” (Ct 2,16).

4. Questa amicizia richiede l’accoglienza di Cristo, della sua parola e della sua rivelazione.
La filosofia da sola è ancora incapace di attrezzare l’uomo a diventare amico e confidente di Dio.
Per questo san Tommaso fin dall’inizio della Somma teologica scrive:
Era necessario, per la salvezza dell’uomo che, oltre le discipline filosofiche d’indagine razionale, ci fosse un’altra dottrina procedente dalla divina rivelazione.
Prima di tutto perché l’uomo è ordinato a Dio come ad un fine che supera la capacità della ragione, secondo il detto d’Isaia: "Occhio non vide, eccetto te, o Dio, quello che tu hai preparato a coloro che ti amano" (Is 64,3).
Ora è necessario che gli uomini conoscano in precedenza questo loro fine, perché vi indirizzino le loro intenzioni e le loro azioni.
Cosicché per la salvezza dell’uomo fu necessario che mediante la divina rivelazione gli fossero fatte conoscere delle cose superiori alla ragione umana.
Anzi, anche riguardo a quello che intorno a Dio si può indagare con la ragione, fu necessario che l’uomo fosse ammaestrato per divina rivelazione, perché una conoscenza razionale di Dio non sarebbe stata possibile che per parte di pochi, dopo lungo tempo e con mescolanza di molti errori; eppure dalla conoscenza di tali verità dipende tutta la salvezza dell’uomo, che è riposta in Dio.
Per provvedere alla salvezza degli uomini in modo più conveniente e più certo fu perciò necessario che rispetto alle cose divine fossero istruiti per divina rivelazione.
Di qui la necessità, oltre le discipline filosofiche, che si hanno per investigazione razionale, di una dottrina avuta per divina rivelazione” (Somma teologica, I, 1, 1).

5. La fede di cui parla l’Autore della lettera agli ebrei non è una fede ridotta semplicemente a conoscenza delle realtà soprannaturali, già necessaria per poter dirigere la propria vita verso un obiettivo soprannaturale, ma è la fede che agisce per mezzo della carità.
È la fede come risposta a Dio che si rivela e cioè, per dirla con san Tommaso, è “quell’abito della mente che inizia in noi la vita eterna (il possesso di Dio), facendo aderire l’intelletto alle realtà invisibili” (Somma teologica, II-II, 4, 1).
È quella fede di cui parla il Catechismo della Chiesa Cattolica quando dice che “la fede ci fa gustare come in anticipo la gioia e la luce della visione beatifica, fine del nostro pellegrinare quaggiù. Allora vedremo Dio «a faccia a faccia» (1 Cor 13,12), «così come egli è» (1Gv 3,2). La fede, quindi, è già l’inizio della vita eterna: Fin d’ora contempliamo come in uno specchio, quasi fossero già presenti, le realtà meravigliose che ci riservano le promesse e che, per la fede, attendiamo di godere” (CCC 163)..
È ben diversa dunque da una riflessione filosofica, per quanto alta.
È una vita soprannaturale donata dall’Alto, accolta mediante la grazia e che inizia di qua la comunione con Dio che si vivrà pienamente di là.

6. Per quanto concerne Boezio, che la Chiesa venera come Santo e ne celebra la memoria il 23 ottobre, è vero che nella sua prigionia ha scritto il De consolatione philosophiae.
In questo testo Boezio insegna che non è il fato a governare le vicende umane, ma la Provvidenza e che questa ha un volto.
Con la Provvidenza si può parlare, perché la Provvidenza è Dio.
E scrive: “Combattete dunque i vizi, dedicatevi ad una vita virtuosa orientata dalla speranza che spinge in alto il cuore fino a raggiungere il cielo con le preghiere nutrite di umiltà. L’imposizione che avete subìto può tramutarsi, qualora rifiutiate di mentire, nell’enorme vantaggio di avere sempre davanti agli occhi il giudice supremo che vede e sa come stanno veramente le cose” (Lib. V, 6: PL 63, col. 862).
Boezio nella propria vita ha accolto Dio. Ha conversato con Lui. Lo ha a lungo contemplato scrivendo anche un trattato sulla Trinità.
Ha scritto anche sulla consolazione della filosofia e le sue considerazioni sono molto alte. Di fatto però si tratta di una filosofia e cioè di una ragione che è illuminata e sostenuta dalla fede. E cioè da Dio e dalla sua Provvidenza.
Dunque, anche per Boezio, la sola filosofia non basta.
La sua filosofia è cristiana, anche se non menziona Cristo.

Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo