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Quesito

Carissimo padre Angelo,
nel ringraziarLa per le esaurienti e complete risposte che Lei continuamente da, volevo porle anche io un quesito.
Sono un animatore del gruppo giovani della mia parrocchia, e l’altro sabato mi è stato posto un quesito a cui ho saputo rispondere soltanto in parte.
La domanda posta era la seguente: Perchè abbiamo un Dio diverso tra antico e nuovo testamento?
O meglio, come mai nell’antico testamento troviamo e leggiamo di un Dio che incita alla guerra e alla battaglia; mentre nel nuovo troviamo e leggiamo di un Dio totalmente opposto, cioè di un Dio buono, misericordioso e giusto?! 
Sicuro di una Sua risposta come sempre esauriente La saluto e Le auguro una buona e santa settimana. 
Paolo.


Risposta del sacerdote

Caro Paolo,
1. la rivelazione di Dio è progressiva, come attesta la lettera agli ebrei: “Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,1).

2. Inoltre è necessario tenere presente che Dio si è rivelato con parole umane, desunte dalla cultura degli uomini.
Sicché leggere la Sacra Scrittura estrapolando le parole o le espressioni dal contesto storico e culturale in cui furono scritte può portare a una lettura sbagliata. Oggi diremmo: fondamentalista.

3. Il Concilio Vaticano II nella costituzione dogmatica Dei Verbum al n. 12  insegna “Come deve essere interpretata la sacra Scrittura”.
E afferma: “Poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana (Cf. S. Agostino, De Civitate Dei, XVII, 6, 2), l’interprete della sacra Scrittura, per capir bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole.
Per ricavare l’intenzione degli agiografi, si deve tener conto fra l’altro anche dei generi letterari.
La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa in testi in vario modo storici, o profetici, o poetici, o anche in altri generi di espressione.
È necessario dunque che l’interprete ricerchi il senso che l’agiografo in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso, intendeva esprimere ed ha di fatto espresso (Cf. S. Agostino, De Doctrina Christiana, III, 18, 26). Per comprendere infatti in maniera esatta ciò che l’autore sacro volle asserire nello scrivere, si deve far debita attenzione sia agli abituali e originali modi di sentire, di esprimersi e di raccontare vigenti ai tempi dell’agiografo, sia a quelli che nei vari luoghi erano allora in uso nei rapporti umani (Cf. Pio XII, Encicl. Divino afflante, nota 5).
Perciò, dovendo la sacra Scrittura esser letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta (Benedetto XV, Encicl. Spiritus Paraclitus), per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva tradizione di tutta la Chiesa e dell’analogia della fede.
È compito degli esegeti contribuire, seguendo queste norme, alla più profonda intelligenza ed esposizione del senso della sacra Scrittura, affinché mediante i loro studi, in qualche modo preparatori, maturi il giudizio della Chiesa” (Dei Verbum 12).

4. Quanto dice la Dei Verbum vale anche per Dio che soprattutto nell’Antico Testamento viene presentato in termini antropomorfici.
G. Ravasi ha scritto: “È stato spiegato a più riprese dagli studiosi che questi limiti dell’Antico Testamento sono legati a un dato fondamentale della Bibbia. Essa non è una collezione di tesi teologiche e morali perfette e atemporali, come sono i teoremi in geometria, bensì è la storia di una manifestazione di Dio all’interno delle vicende umane. È dunque un percorso lento di illuminazione dell’umanità perché esca dalle caverne dell’odio, dell’impurità, della falsità e s’incammini verso l’amore, la coscienza limpida e la verità. Sant’Agostino definiva appunto la Bibbia come il libro della pazienza di Dio che vuole condurre gli uomini e le donne verso un orizzonte più alto” (g. ravasi, I Comandamenti, p. 100).

5. A proposito di guerre, ad esempio, nell’Oriente antico va detto che costituivano un fatto endemico: ad ogni inizio d’anno i re scendevano in guerra (2 Sam 11,1).
Tutte le campagne, tutte le vittorie in modo particolare, erano seguite da atti di crudeltà e da rappresaglie: messa a morte dei capi nemici, mutilazione dei sopravissuti, saccheggi e devastazioni, cattura degli schiavi.
Inoltre è necessario tenere presente il genere letterario che applica a Dio quanto dagli uomini, secondo la loro cultura e i loro condizionamenti sociali, è ritenuto buono e giusto.
Ora tutto l’Antico Testamento, dai giudici ai maccabei, riconosce la legittimità delle guerre intraprese dal popolo eletto per la conquista della Terra promessa, per la sua difesa contro gli avversari e per la liberazione dagli oppressori.

6. Il tema delle guerre e degli eccidi inoltre va letto alla luce di Gn 9,6 dove viene stabilita la legge del taglione, che è propria dell’Antico Testamento ed è tipica di una società non ancora organizzata come la società nomade e dove la giustizia veniva fatta dai singoli.
Le guerre nell’Antico Testamento sono interpretate come un castigo inflitto da Dio a determinate popolazioni a causa di gravi perversioni.
La Bibbia di Gerusalemme dice che il cannibalismo era praticato da alcuni popoli antichi (cfr. nota a Sap 12,5).
Si legge in Sap 12,3-7: “Tu odiavi gli antichi abitanti della tua terra santa, perché compivano delitti ripugnanti, pratiche di magia e riti sacrileghi. Questi spietati uccisori dei loro figli, divoratori di viscere in banchetti di carne umana, iniziati in orgiastici riti, genitori carnefici di vite indifese, tu li hai voluti distruggere per mano nei nostri antenati, perché ricevesse una degna colonia di figli di Dio la regione da te stimata più di ogni altra” (Sap 12,3-7).
“Qui ci si trova dinanzi a una specie di taglione divino” (nota a Sap 11,4-14).
E in realtà il testo sacro dice: “Perché capissero che con quelle stesse cose per cui uno pecca, con esse è poi castigato” (“per quae peccavit, per haec et torquetur”, Sap 11,16).
Il tema del contrappasso è ripreso diverse volte nella sacra Scrittura, dove ad esempio si afferma: “Quanti vissero ingiustamente con stoltezza tu li hai tormentati con i loro stessi abomini” (Sap 12,23 e anche 16,1 e 18,4).

7. E tuttavia poco per volta si fa presente la prospettiva della pace del Regno messianico: “Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra. Casa di Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore” (Is 2,4-5).
È un’aspirazione tipica di Israele, ben diversa da quella dei popoli circostanti, e sarà prerogativa di Cristo e di coloro che fedelmente lo seguono.

In conclusione: più che avere un Dio diverso, c’è una sensibilità diversa, che va compreso all’interno della Rivelazione graduale nei particolari contesti storici e culturali in cui è stata fatta.
Mi auguro che con queste note tu abbia qualche nozione in più per comprendere meglio il testo sacro.

Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo