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Quesito

Gentile Padre Angelo,
Satana, al contrario, ci trae continuamente a sé con le sue lusinghe, spesso legate ai piaceri del corpo. L’esperienza del peccato, credo, sia la più drammatica e sconfortante per chi, come me, cerca un cammino di fede, semplicemente perché, nonostante i continui sforzi, vi si cade continuamente; si tende a perdere, ritengo, l’altra delle tre virtù teologali, la Speranza (della Salvezza), e ci si allontana ancora di più da Dio. Questo ci porta ad un distacco da noi stessi, perché non siamo più immagine di Dio; tendiamo a perdere la fiducia e la stima in noi stessi, con pesanti implicazioni psicologiche. Forse perché vediamo dentro di noi un’immagine che detestiamo, quella di Satana, poiché conserviamo, ancora, la Fede.
Questa, almeno, è la mia esperienza.
Mi domando spesso, poi, se alcuni peccatori impenitenti, che, per così dire, abbracciano Satana, e godono dei suoi “benefici”, provino lo stesso, profondo, sconforto, avendo questi, ormai, purtroppo, perso tutte e tre le virtù teologali. Per spiegarmi meglio, riferendomi a quanto sperimento spesso, alcune persone, che apertamente e reiteratamente esercitano il peccato, sembrano condurre un’esistenza serena, se non felice, sembrano, per così dire, stare bene con Satana. Poi, sento, magari, di persone che si sono pentite di peccati atroci in tarda età, addirittura in punto di morte. Ciò può senz’altro essere esteso alle persone atee. Queste considerazioni generano in me una sensazione di disagio, una sorta di invidia, che, nonché essere un peccato in sé, si rivela un ulteriore fardello da portare, in aggiunta a quello procuratomi con i peccati, e questo perché, dato che tra una Riconciliazione e l’altra sto male, tendo ad essere chiuso e scontroso (per assenza di Carità) e depresso (per assenza di Speranza), nel paragonarmi a “quelli”, vorrei, almeno essere “sereno” come loro. La (spero apparentemente) “pacata” esistenza di questi “campioni del peccato”, e degli atei, in sostanza, inocula in me il dubbio dell’inutilità, se non, persino, del nocumento degli sforzi effettuati, e fa, talvolta, vacillare la mia fede. Sono portato a pensare che la ricerca di Dio sia accompagnata non da pace e gioia, ma dalla sofferenza interiore. Sperimento un disagio continuo, uno stazionare sull’orlo del baratro. Tendo, poi, ad incolpare Dio perché non mi aiuta abbastanza, nonostante le mie preghiere; Satana, forse, in quel momento, sta tentando di strapparmi anche la Fede.
Penso che mi gioverebbe molto sapere, se ne ha esperienza, come, probabilmente al contrario delle apparenze, si sentono e vivono queste persone.
Sento di avere necessità, inoltre, di un forte ed efficace presidio, una sorta di manuale di istruzioni, che non solo mi aiuti a riconciliarmi con Dio, a questo arrivo da solo, ma a vincere le tentazioni sul nascere.

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La ringrazio molto e la saluto calorosamente.
G.


Risposta del sacerdote

Caro G.,
desidero sottolineare due tue affermazioni, che sono profondamente vere perché aderenti alla realtà. E da queste traggo lo spunto per la risposta.

1. La prima: “L’esperienza del peccato, credo, sia la più drammatica e sconfortante”.
Per aiutare a comprendere meglio le tue affermazioni devo dire che la grazia santificante comunica il possesso di Dio e fa godere della sua presenza.
Questo è il motivo per cui un cristiano avverte che l’esperienza del peccato è la più drammatica e sconfortante. Con il peccato si perde Dio e ci si trova interiormente vuoti e desolati.
Parlando di te stesso, specifichi ulteriormente questa desolazione interiore e la precisi con queste parole:  (dopo il peccato) “sto male, tendo ad essere chiuso e scontroso (per assenza di Carità) e depresso (per assenza di Speranza)”.
Si avverte questa esperienza perché prima si avvertiva l’esperienza della pienezza.
Questo è il motivo per cui “alcuni peccatori impenitenti”, come tu li chiami, non sembrano avvertire quella drammaticità e quello sconforto che spinge altri a ricuperare subito la grazia mediante la confessione sacramentale, qualora la si fosse persa, perché stando in peccato si ha l’impressione di non vivere, di essere interiormente morti.
San Tommaso d’Aquino ripeteva spesso una bella frase di Sant’Agostino: come l’anima è la vita del corpo, così Dio è la vita dell’anima.
Il corpo, senza anima, è morto, è un cadavere. Così l’anima, senza la presenza di Dio, è vuota e come morta.

2. La seconda frase: “Questo ci porta ad un distacco da noi stessi”.
Si direbbe che il peccato è una alienazione.
Queste parole mi hanno fatto ricordare alcune espressioni del Concilio Vaticano II sul peccato: chi ne fa l’esperienza “si trova diviso in se stesso”, “si sente come incatenato” (GS 13). “Il peccato è, del resto, una diminuzione per l’uomo stesso” (GS 13).
Sono tre espressioni che ne indicano tutta la drammaticità.

3. Ma ecco proprio i peccatori impenitenti sembrano non avvertire niente di tutto questo, sembrano le persone più serene di questo mondo, tanto che nel nostro visitatore affiora la tentazione di essere come loro: “nel paragonarmi a quelli, vorrei, almeno essere sereno come loro. La pacata esistenza di questi campioni del peccato, e degli atei, in sostanza, inocula in me il dubbio dell’inutilità, se non, persino, del nocumento degli sforzi effettuati, e fa, talvolta, vacillare la mia fede”.
Il tormento del nostro visitatore era già il tormento del Salmista quando dice di aver invidiato i prepotenti,  la prosperità dei malvagi (Sal 73,3-4).
Infatti “non c’è sofferenza per essi, sano e pasciuto è il loro corpo. Non conoscono l’affanno dei mortali e non sono colpiti come gli altri uomini. Ecco, questi sono gli empi: sempre tranquilli, ammassano ricchezze (Sal 73,4-5.12).
Il Salmista è tentato di concludere come il nostro visitatore: “Invano ho conservato puro il mio cuore e ho lavato nell’innocenza le mie mani, poiché sono colpito tutto il giorno, e la mia pena si rinnova ogni mattina (Sal 73,13-13).

4. Ma questo è un inganno.
Perché se è vero che chi perde la grazia vive in tormento, è pur vero che quando si gode del possesso di Dio e della sua presenza ci pare proprio di aver tutto.
Non è paragonabile ogni piacere terreno con le briciole di Paradiso che si vivono nell’unione con Dio.
Per contrasto, proprio la perdita della grazia fa capire quanto sia bella e serena la vita chi vive unito al Signore.
E si capisce che i peccatori impenitenti e gli atei sono veramente poveri, affannati a cercare un’esperienza dietro l’altra che li possa colmare. Ma il peccato colma solo momentaneamente.
Senza dire dell’angoscia, a volte forse non chiaramente percepita, del vuoto di fondo, del non senso della vita.
Vivono senza avere un futuro davanti. E penso che sia tremendo sapere di non avere futuro.
Cercheranno magari di demonizzare la prospettiva di una perdizione eterna, dicendo che tanto l’inferno non c’è. Ma chi glielo garantisce? Non è sufficiente negarne l’esistenza per non farlo esistere davvero e soprattutto per non precipitarvi.
In questo senso il medesimo Salmista diceva: “Riflettevo per comprendere: ma fu arduo agli occhi miei, finché non entrai nel santuario di Dio e compresi qual è la loro fine. Ecco, li poni in luoghi scivolosi, li fai precipitare in rovina.
Come sono distrutti in un istante, sono finiti, periscono di spavento! Come un sogno al risveglio, Signore, quando sorgi, fai svanire la loro immagine” (Sal 73,16-20).
Tu vuoi sapere come vivono interiormente i peccatori impenitenti.
Te lo dice la Sacra Scrittura: “Tu dici: «Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla», ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, vesti bianche per coprirti e nascondere la vergognosa tua nudità e collirio per ungerti gli occhi e ricuperare la vista” (Ap 3,17-18).
I peccatori impenitenti, come li chiami tu, sono poveri perché non possiedono Dio,
Sono ciechi perché non conoscono neppure lo stato miserabile in cui si trovano.
Sono nudi perché spogli di ogni merito.

5. Dici anche: “Sono portato a pensare che la ricerca di Dio sia accompagnata non da pace e gioia, ma dalla sofferenza interiore. Sperimento un disagio continuo, uno stazionare sull’orlo del baratro”.
C’è del vero in quello che dici: la ricerca di Dio, finché si è nel peccato, è sofferenza interiore. E senza la grazia si avverte di “stazionare sull’orlo del baratro”.
Ma non è così per chi possiede Dio e gode della sua presenza personale.
Mi dici che vorresti un manuale per vincere le tentazioni sul nascere. L’esperienza dei santi ci porta in un’unica direzione: fuggirle. San Filippo Neri diceva che di fronte alle tentazioni vince chi è vigliacco, cioè chi scappa.
Sì, c’è tormento nella ricerca di Dio, ma questo tormento è analogo alla fatica che sperimenta lo scalatore di una montagna o di un ciclista in salita. C’è tormento e gioia, affanno e pregustazione.
Dall’altra parte (quella del peccato) c’è monotonia, vuoto ed effimero appagamento. Senza il resto di cui parla Sal 73,16-20.

Ti ringrazio per quanto mi hai comunicato.
Hai reso molto vivo un problema che colpisce almeno in qualche momento la vita di ogni credente.
Ti accompagno con la forza e la serenità comunicata dalla preghiera che volentieri faccio per te.
Ti benedico.
Padre Angelo