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Quesito
Caro Padre Angelo,
(…) dalla e-mail di maggio ho fatto un bel po’ di cose, gliele racconto alcune che penso siano significative da raccontare.
Dal 24 al 26 maggio sono andato coi ragazzi piccoli del movimento dei Focolari in occasione della Pentecoste, al loro congresso annuale. Io facevo da assistente (cioè animatore). È stata una faticaccia incredibile, perché bisogna stare dietro ai ragazzi ogni minuto, ma è stata un’esperienza bellissima. A me ha commosso vedere come in alcuni ragazzi, agisse lo Spirito, e mi sembrava di assistere ad una nascita. Dei ragazzini che cercavano di vivere il Vangelo, in piccole cose. Come in autogrill dove un ragazzo comprava le bibite per regalarle ai compagni (ma che non conosceva), nel cercare di non arrabbiarsi con l’altro amico anche quando è difficile, nel prestare i soldini che mancavano per fargli prendere la cioccolata.
Erano tutte occasioni per amare. Cose che ai grandi possono sembrare piccole, ma chi lo sa se sono poi così piccole?
O anche vedersi approcciare un bambino di 9 anni che chiede di dire il Rosario in pullman (!).
Questo mi ha fatto nascere un grosso rispetto per questi ragazzi, perché il Signore agisce anche in questi piccoli. E mi ha anche fatto riflettere sul dono stupendo da parte di Dio di diventare padri d’anime per alcune persone, e come si possa ottenere da Dio questa bellissima grazia. C’è una canzone molto bella del gen verde, "Gioisci figlia di Sion" che ha questa strofa che mi ha sempre affascinato: "Rallegrati, Maria, / quella spada che ha trafitto l’anima tua / ti ha resa madre di tutti noi".
Una volta avevo letto un bellissimo libro su S. Massimiliano Kolbe (sento un legame forte con questo santo), e mi ero entusiasmato a leggere tutto il suo ardore e coraggio che aveva avuto quando, ammalato in un centro di cura, non aveva perso tempo e si era messo in dialogo con persone atee e non credenti del centro, discutendo con loro e organizzando conferenze a tema religioso. Attraverso queste opere, ne riportò a Gesù un gran numero. Rileggendo però questo testo, ho osservato che i primi mesi della sua permanenza al centro, l’ha passata fermo in un letto, e penso proprio che abbia sfruttato quel tempo per offrire tutte le sue sofferenze a Gesù.
Ma da tante tante altre vite ho letto questa cosa (S. Pio, S. Domenico, S. Teresa del Bambin Gesù, la stessa Chiara Lubich ecc), che c’è un legame tra offrire il dolore per amore e la grazia della conversione di un cuore.
Per me è un mistero, e vorrei approfondirlo..
La ringrazio e la saluto
Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. sono contento di far conoscere ai nostri visitatori la tua esperienza con i bambini e come li abbia visti disposti ad atti di amore molto grandi.
I loro fioretti mi hanno rimandato con la memoria ai fioretti dei pastorelli di Fatima. Avevano rispettivamente 7, 9 e 10 anni. Dunque erano veramente bambini.
Ma dopo che l’Angelo e la Madonna chiesero loro di fare dei sacrifici per la conversione dei peccatori e in espiazione dei peccati si è vista nella loro vita una generosità che non ha nulla da invidiare ai grandi.
Anzi, che ha molte cose da insegnare proprio a loro.
Il Signore in quei giorni le ha insegnate anche a te, che eri andato da loro per fare l’animatore.
Ma questi bambini ti ha fatto da maestro e ti hanno ricordato le parole di Gesù: “Se non diventerete come bambini non entrerete nel Regno dei cieli”.
2. Adesso desidero approfondire per un istante il “mistero” della croce e cioè la realtà nascosta sotto la sofferenza.
Mi piace ricordartelo con le parole di una giovane, di santa Rosa da Lima, domenicana, morta a trentun anni.
Aveva capito che come attraverso la croce (passione e morte) del Signore erano arrivati a noi tutti i beni della redenzione (espiazione dei peccati, conversione, unione con Dio e tutte le grazie che ne seguono), così ugualmente passando attraverso la medesima strada si ottengono tutti i benefici.
3. Diceva: “ll Salvatore levò la voce e disse: Tutti sappiano che la grazia segue alla tribolazione, intendano che senza il peso delle afflizioni non si giunge al vertice della grazia, comprendano che quanto cresce l’intensità dei dolori, tanto aumenta la misura dei carismi.
Nessuno erri né si inganni; questa è l’unica vera scala del paradiso, e al di fuori della croce non c’è altra via per cui salire al cielo.
Udite queste parole, mi sentii spinta a scendere in piazza per gridare a tutti, qualunque fosse la loro età, il sesso e la condizione: Ascolta, popolo; ascoltate, genti tutte. Da parte di Cristo e con parole della sua stessa bocca vi avverto che non si riceve grazia senza soffrire afflizioni. È necessario che dolori si aggiungano a dolori per conseguire l’intima partecipazione alla natura divina, la gloria dei figli di Dio e la perfetta bellezza dell’anima.
Questo stesso stimolo mi spingeva fortemente a predicare la bellezza della grazia divina, mi tormentava e mi faceva sudare ed andare. Mi pareva che l’anima non potesse più trattenersi nel carcere del corpo, ma che la prigione dovesse rompersi, ed essa, libera e sola, con più agilità, se ne andasse per il mondo gridando: Oh se i mortali conoscessero che gran cosa è la grazia, quanto è bella, quanto nobile e preziosa, quante ricchezze nasconde in sé, quanti tesori, quanta felicità e delizie!
Senza dubbio andrebbero essi stessi alla ricerca di fastidi e pene; e andrebbero questuando molestie, infermità e tormenti invece che fortune, e ciò per conseguire l’inestimabile tesoro della grazia. Questo è l’acquisto e l’ultimo guadagno della sofferenza ben accettata. Nessuno si lamenterebbe della croce e dei dolori, che gli toccano in sorte, se conoscesse con quali bilance vengono pesati nella distribuzione fra gli uomini”.
4. Dopo che la Madonna chiese ai tre pastorelli di Fatima se erano disposti ad offrirsi in sacrificio a Dio in espiazione dei peccati e per la conversione dei peccatori, quei bambini si diedero ai sacrifici in maniera impressionante.
Forse solo i bambini, che hanno un cuore semplice e puro, sono capaci di donarsi con così grande totalità.
Si legge nella prima Memoria di Lucia: “Facemmo allora per la prima volta la meditazione sull’inferno e sull’eternità.
La cosa che più
impressionò Giacinta fu l’eternità. Anche durante i giochi, ogni tanto domandava: ‘‘Ma senti!
Allora, dopo tanti, tanti anni, l’inferno non sarà ancora finito?’.
E altre volte: ‘‘Quella gente
che c’è lì a bruciare, non muore? E non diventano cenere? E se noi preghiamo molto per i
peccatori, nostro Signore li libererà di lì? E anche con i sacrifici? Poverini! Dobbiamo
pregare e fare molti sacrifici per loro!’.
Dopo aggiungeva: ‘‘Come era buona quella Signora?
Subito ci ha promesso di portarci in cielo’.
Giacinta prese tanto sul serio i sacrifici per la conversione dei peccatori, che non si lasciava
sfuggire nessuna occasione.
C’erano alcuni bambini, figli di una famiglia di Moita, che
passavano di casa in casa a mendicare.
Un giorno li incontrammo, mentre andavamo col nostro
gregge. Giacinta vedendoli disse: ‘‘Diamo il nostro spuntino a quei poveretti, per la
conversione dei peccatori’.
E corse a portarglielo.
Nel pomeriggio mi disse che aveva fame. Lì
intorno c’erano lecci e querce. Le ghiande erano ancora un po’ verdi, ma io le dissi che erano
buone da mangiare. Francesco salì su un leccio per riempire le tasche, ma Giacinta si ricordò
che potevamo mangiare quelle delle querce, per fare il sacrificio di mangiare qualcosa di
amaro. E quel pomeriggio gustammo quel delizioso piatto! Giacinta fece di questo uno dei suoi sacrifici abituali. Coglieva ghiande di quercia o ulive non ancora fatte.
Un giorno le dissi:
– Giacinta, non mangiare questa roba! Sono troppo amare.
– Ma è proprio per quello che le mangio, per convertire i peccatori!
Non furono solo questi i nostri digiuni. Ci eravamo messi d’accordo di dare il nostro spuntino a quei poveretti tutte le volte che li avessimo incontrati; e quei poveri bambini, contenti della nostra elemosina, cercavano d’incontrarci e ci aspettavano sulla strada. Non appena li vedevamo, Giacinta portava loro correndo tutto il mangiare della nostra giornata, con tanta soddisfazione, come se non ne avesse bisogno davvero.
Così, quei giorni mangiavamo pinoli, radici di campanelli (è un piccolo fiore che ha alla radice una pallina della grandezza di un’oliva), more, funghi e una cosa che coglievamo alla radice dei pini, che non mi ricordo come si chiama; o frutta, se ce n’era vicino, in qualche terreno appartenente ai nostri genitori”.
5. La realtà nascosta sotto la sofferenza, quando è vissuta bene con i sentimenti di Gesù, è l’amore.
L’amore è una “forza che unisce”. Così lo definiva Sant’Agostino.
Ora quando il nostro amore viene unito a quello di Gesù Cristo perché si offre qualcosa per amor suo, questo amore acquista un potere enorme, quel poter di cui parlò Cristo quando disse in riferimento alla sua morte in croce: “E io quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me”.
Ecco dunque il mistero, la realtà nascosta sotto la croce.
Ecco perché Padre Pio, San Domenico, Santa Teresina del Bambin Gesù e tanti altri sentivano attrazione verso questa realtà.
Per loro si trattava di una grazia ricevuta dal Signore.
Domandiamola anche noi, attraverso la Madonna.
Anche per questo ti assicuro la mia preghiera.
Ti benedico.
Padre Angelo