Questo articolo è disponibile anche in: Italiano
Quesito
Gentile padre Angelo,
da credente attento alle ragioni di chi invece non condivide la mia fede, ho accettato l’invito rivoltomi da un carissimo amico ateo a leggere un ormai celebre libro di P. Odifreddi: "Perchè non possiamo essere cristiani".
Confesso, l’ho letto con un iniziale scetticismo dovuto al fatto che giudico assolutamente razionale la "difendibilità" della fede cattolica rispetto alle critiche di parte avversa.
Non è un testo completamente irragionevole, d’altronde, ma a mio parere molto meno aggressivo di come lo stesso autore abbia voluto presentarlo: in breve, molte sue tesi cadono facilmente o comunque sono marginali rispetto a quella che è la globale "economia" della nostra fede.
Eppure, in alcuni punti mi ha provocato, ed in altri mi ha addirittura "messo in crisi".
Penso alle accuse che Odifreddi muove al dogma dell’infallibilità papale, o quelle all’altrettanto recentemente stabilito dogma dell’Assunzione di Maria. Mi pare che siano andate a toccare punti più "vacillanti" nella mia fede, punti che indipendentemente da questa lettura mi risultavano un po’ difficili da comprendere (e da sostenere).
Riguardo all’infallibilità papale, egli mostra come nel corso dei secoli i pronunciamenti dei papi (anche ex cathedra) siano stati vari ed in alcuni casi contraddittori (ma anche intuitivamente si può riflettere sul fatto che san Pietro, che noi consideriamo primo papa, sia stato più volte contraddetto da san Paolo, e che poi le teorie dell’apostolo delle genti si siano imposte a discapito di quelle di Pietro, come dagli stessi Atti si desume).
Riguardo invece al dogma dell’Assunzione, così come quello dell’Immacolata Concezione, le mie osservazioni sono molto più radicali: queste erano idee già da secoli presenti in quella che abitualmente definiamo "pietà popolare". Era forse necessario farle assurgere a dogmi della fede (quando, se ben ricordo, il suo stesso Ordine, le contestava già alla fine del medioevo, in polemica coi frati Francescani), in un contesto, tra l’altro, che già avvertiva la necessità di una apertura e di una conciliazione – come il Papa emerito ricordava spesso – tra fede e ragione, o perlomeno tra fede e ragionevolezza – come invece già Pascal suggeriva -?
Le sarei profondamente grato se mi aiutasse a fare chiarezza riguardo a questi aspetti della fede che amo e che considero sempre il più grande dono che il Signore mi abbia fatto, pur con questi spinosi e a loro modo fecondi dubbi.
Pregherò per lei, mentre le chiedo di fare altrettanto per me, specialmente riguardo a quel germe di vocazione che brilla in me ormai da molto tempo, e che per ora ho deciso di vagliare e di custodire, di cui tempo fa ebbi modo di parlarle (ho appena cominciato l’università, le scrissi più volte a partire da tre anni fa a proposito del discernimento vocazionale e della vita religiosa).
Come sempre, confido nella riservatezza della nostra corrispondenza, poiché, come immagina, mi tocca da vicino.
Salus in Domino!
Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. non ho letto il libro di cui mi fai cenno.
Mi parli del dogma dell’infallibilità papale sancito dal Concilio Vaticano I nel 1970.
Ebbene, su questo dogma vanno fatte diverse osservazioni.
2. La prima: non è stato il Papa a definire la propria infallibilità, ma un Concilio ecumenico.
Inoltre il Concilio Vaticano I non ha voluto parlare dell’infallibilità in tutti i suoi aspetti, ma di una forma particolare di infallibilità: quella del Papa quando esprime sentenze dogmatiche.
3. Sappiamo che il magistero del Papa è infallibile anche in altre circostanze, come quelle menzionate dal Concilio Vaticano II nella Lumen gentium n. 25.
Ma il Concilio Vaticano I ha voluto prendere in considerazione questa precisa e particolare forma di infallibilità: quella legata alle sentenze dogmatiche pronunciate dal Papa.
4. Ecco che cosa ha detto il Concilio: “Definiamo esser dogma divinamente rivelato, che il vescovo di Roma, quando parla ex cathedra, cioè quando esercitando l’ufficio di Pastore e Maestro di tutti i cristiani, definisce, colla sua suprema autorità apostolica, che una dottrina intorno alla fede o ai costumi deve essere ritenuta da tutta la Chiesa, gode, in virtù dell’assistenza divina, promessagli nella persona del beato Pietro, di quell’infallibilità, di cui il divin Redentore volle fosse dotata la sua Chiesa nel definire la dottrina circa la fede e i costumi; e che perciò tali definizioni del romano Pontefice sono irreformabili per se stesse, non già per il consenso della Chiesa” (DS 3073.3074).
5. Per comprendere la definizione occorre esaminarne anzitutto le condizioni:
1) – Il Papa deve parlare come maestro di tutta la cristianità, rivolgersi a tutta la Chiesa;
2) – circa una dottrina o verità rivelata concernente la fede o i costumi;
3) – con la volontà di dare una decisione dogmatica e non un semplice avvertimento o solo una istruzione generale;
4) – la ragione della sua infallibilità risiede nella assistenza particolare dello Spirito Santo, che preserva da ogni errore, e non nell’ispirazione o rivelazione da parte di Dio; tanto meno risiede nelle sue capacità e lumi naturali come pretendono gli avversari interpretando abusivamente «ex sese», che è riferito alle proposizioni e non alla sua personale virtù;
5) – le proposizioni del Papa sono irreformabili per se stesse e non per l’adesione dell’episcopato.
Quando non si realizzano contemporaneamente tutte queste condizioni, non si tratta di un dogma di fede.
Il che significa che non richiedono da parte dei fedeli un assenso di fede, ma un assenso disciplinare.
6. Ebbene, allora per confutare l’affermazione del Concilio Vaticano I bisognerebbe che Odifreddi presentasse i “dogmi” che i Papi parlando ex cathedra avrebbero ribaltato nel corso dei secoli.
Ma non ne trovi neanche mezzo.
7. A questo proposito la Chiesa sa bene quali siano le regole del suo magistero.
Sono quelle dell”eodem sensu eademque sententia”, come hanno ricordato il Concilio Vaticano I e l’enciclica di Giovanni Paolo II Veritatis splendor nella nota n. 100.
Odifreddi invece forse queste regole non le sa, pensa di essere sapiente, illuminato e che la Chiesa si dia la zappa sui piedi. Parla come uno sprovveduto con la presunzione di saperla lunga.
Come vedi, quel titolo che lui con tanto sarcasmo affibbia ai cristiani, e che non riporto, gli si affibbia perfettamente. Non si può dire diversamente.
8. Ti riporto i testi del Concilio Vaticano I e della Veritatis splendor.
Il Concilio Vaticano I dice: “La dottrina della fede, che Dio ha rivelato, non è stata proposta all’intelligenza umana come un sistema filosofico da perfezionare, ma, come un divino deposito, è
stata affidata alla chiesa, sposa di Cristo, perché la custodisca fedelmente e infallibilmente la
proclami.
Di conseguenza il senso dei sacri dogmi che deve sempre essere conservato è quello
che la santa madre chiesa ha determinato una volta per tutte e non bisogna mai allontanarsi da
esso sotto il pretesto e in nome di una intelligenza più profonda. Crescano pure, quindi, e
progrediscano largamente e intensamente, per ciascuno come per tutti, per un sol uomo come
per tutta la chiesa, l’intelligenza, la scienza, la sapienza, secondo i ritmi propri a ciascuna
generazione e a ciascun tempo, ma esclusivamente nel loro ordine, nella stessa credenza,
nello stesso senso e nello stesso pensiero (eodem sensu eademque sententia)” (DS 3020).
9. La nota 100 della Veritatis splendor: “Lo sviluppo della dottrina morale della Chiesa è simile a quello della dottrina della fede.
Anche alla dottrina morale si applicano le parole pronunciate da Giovanni XXIII in occasione dell’apertura del Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962); «Occorre che questa dottrina (la dottrina cristiana nella sua integralità) certa e immutabile, che dev’essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo.
Altra cosa è infatti il deposito stesso della fede, vale a dire le verità contenute nella nostra venerabile dottrina, e altra cosa è la forma con cui quelle vengono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata»”.
10. Sul resto: per non farla troppo lunga, sintetizzo.
1)- San Pietro è stato rimproverato da San Paolo non per un pronunciamento erroneo, ma per un suo comportamento, dettato per altro da un motivo di carità. Ora il Papa è infallibile nel suo insegnamento e a determinate condizione, non nel suo comportamento. Anche lui si confessa tutte le settimane.
2)- Vi possono essere cambiamenti di giudizio nel Magistero della Chiesa su questioni particolari, che per altro non impegnano la fede e per le quali contano molto le circostanze storiche in cui tali giudizi sono stati espressi. Ma anche qui non troviamo contraddizioni, a meno che i testi vengano letti maniera pedestre e materiale senza tenere presenti i loro obiettivi e le circostanze in cui furono pronunciati.
3)- senza entrare nel merito delle discussioni sull’Assunzione e dell’Immacolata concezione non si tratta di idee sempre presenti, ma di convincimenti di sempre. Trattandosi di verità di grande importanza per la vita e la dottrina cristiana, la Chiesa ha ritenuto di sancirle come verità di fede, al di fuori pertanto di ogni discussione. Non sono stati pronunciamenti inutili se, oltre al progresso nella conoscenza della fede, poi hanno fatto fiorire istituzioni di carità e devozioni particolari, come la storia dimostra.
11. In conclusione si potrebbe consigliare ad Odifreddi di parlare di ciò di cui ha competenza, come lo esigono del resto anche i criteri della matematica.
Al di fuori della propria competenza, è meglio non pronunciarsi, per non ragliare come fanno gli asini. E ad Odifreddi capita spesso di ragliare con tanta superficialità e sufficienza.
Altri, che hanno una fede più solida, anche se non sanno controbattere sui singoli punti perché non sono preparati, sentono tuttavia che il discorso è sbagliato. Si tratta di un sentire che deriva dalla testimonianza di Dio che i credenti portano dentro di sé (1 Gv 5,10).
12. Sicché anche ad Odifreddi si può applicare quanto ha scritto San Tommaso: “Nessuno degli antichi filosofi prima di Cristo con tutti i suoi sforzi ha potuto conoscere su Dio e sulle cose necessarie alla vita eterna, quanto ne sa una vecchierella cristiana mediante la sua fede” (In Symb. Expos., prol.).
Sì, una vecchierella cristiana, con tutta al sua umiltà, in questioni di fede ne sa molto di più di lui.
Ti saluto, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo