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Quesito

Caro Padre Angelo,
innanzi tutto la ringrazio per tutte le risposte che mi ha dato e mi scuso se torno ancora ad importunarla su di un argomento che non riesco capire, non per causa sua, certo. Faccio ancora l’esempio della legittima difesa: io, per legittima difesa, uccido un uomo. Come faccio ad affermare che non ho fatto il male per ottenere il bene: il male è stato fatto (un uomo è morto), il bene l’ho ottenuto (io e la mia famiglia siamo salvi). Come faccio ad affermare di aver solo tollerato il male di questo omicidio ma di non averlo voluto. L’impulso di schiacciare il grilletto è pur sempre partito dal mio cervello che ha deciso di uccidere un uomo. Ma decidere di fare una cosa non è forse l’equivalente di volerla?
Mi scuso ancora della mia durezza di comprendonio e della mia insistenza,
Nicola


Risposta del sacerdote

Carissimo Nicola,
1. Ammiro la tua umiltà, ma il problema è davvero sottile.
Quando si parla di legittima difesa è facile equivocare.
L’equivoco sta in questo: si pensa che il fine buono e doveroso (la legittima difesa) possa giustificare un’azione cattiva.
Ma se così fosse, il principio della legittima difesa non sarebbe accettabile sia sotto il profilo del diritto naturale (un’azione deve esser buona tanto nei suoi fini come nei suoi mezzi) sia dal punto di vista della fede. San Paolo infatti dice che non si può fare il male perché ne venga fuori il bene.

2. I teologi cattolici, in modo particolare San Tommaso d’Aquino, giustificano la difesa nel caso dell’ingiusta aggressione con la luce che deriva dal cosiddetto volontario indiretto.
Il che significa che uno vuole solo il bene e pertanto sia il fine che i mezzi sono buoni.
Tuttavia, stante e perdurante l’aggressione dell’altro, va a finire che la spada o il giavellotto dell’altro, andando a cozzare contro la mia corazza o la mia spada, rimbalza sull’aggressore, lo ferisce e lo uccide. Questo era l’esempio portato dagli antichi.
Allora l’azione compiuta da chi si difende non è un’azione omicida, ma di difesa di se stessi o della propria famiglia.
Pertanto si tratta di un’azione buona, che purtroppo indipendentemente dalla propria volontà ha un effetto cattivo, l’uccisione dell’altro.

3. Oggi invece, quando si parla di legittima difesa, si pensa subito all’uso della rivoltella.
Allora qui bisogna dire: se lo sparo è per aria o per terra o sulle gomme delle auto o moto che i ladri stanno usando per portarsi via la refurtiva non c’è nulla da dire.
Ma se si mira direttamente al corpo dell’altro, qui non c’è più legittima difesa. C’è l’uccisione dell’aggressore, che può essere capìta e scusata finché si vuole, ma rimane sempre un’azione che nel suo fine e nei suoi mezzi mira all’uccisione. Si tratta pertanto di un omicidio.
E questo non è lecito, a meno che l’unica strada per impedire all’altro di continuare a sparare sia quella di fermare la causa efficiente dello sparo.
E questo è quanto fanno i soldati o le guardie quando sono chiamati a difendere dall’ingiusto aggressore.
Ma va subito detto che essi non vogliono uccidere, cosa che se dipendesse da loro non farebbero mai.
Ricorrono ad estremi rimedi per fermare estremi mali incalzanti. Colpiscono gli aggressori che sparano nel medesimo modo in cui un antimissile cerca di respingere il missile assalitore. Qui non c’è altra soluzione, che rimane giustificata sempre alla luce del volontario indiretto: si scende in campo per difendersi dall’aggressore (atto volontario diretto) e non per uccidere (atto volontario indiretto).

4. Ecco il testo di san Tommaso:
“Nulla impedisce che un atto abbia due effetti, di cui uno è intenzionale e l’altro involontario. Gli atti morali però ricevono la specie da ciò che è intenzionale, non da ciò che è involontario, essendo questo un elemento accidentale.
Perciò dall’azione della difesa personale possono seguire due effetti, il primo dei quali è la conservazione della propria vita, mentre l’altro è l’uccisione dell’attentatore. Ora, questa azione non può essere considerata illecita per il fatto che con essa si intende conservare la propria vita: poiché è naturale ad ogni essere conservare per quanto è possibile la propria esistenza.
Tuttavia un atto che parte da una buona intenzione può diventare illecito se è sproporzionato al fine. Quindi se uno nel difendere la propria vita usa maggiore violenza del necessario, il suo atto è illecito. Se invece reagisce con moderazione, allora la difesa è lecita: infatti il diritto stabilisce che «è lecito respingere la violenza con la violenza nei limiti di una difesa incolpevole».
Quindi non è necessario per la salvezza dell’anima che uno rinunzi alla legittima difesa per evitare l’uccisione di altri: poiché un uomo è tenuto a provvedere più alla propria vita che alla vita altrui.
Siccome però spetta alla pubblica autorità uccidere un uomo per il bene comune, è illecito che un uomo intenda [espressamente] uccidere un uomo per difendere se stesso, a meno che non abbia un incarico pubblico che a ciò lo autorizzi per il pubblico bene: come è evidente per il soldato che combatte contro i nemici e per le guardie che affrontano i malviventi. Anche questi però peccano se sono mossi da risentimenti personali” (Somma teologica, II-II, 64, 7). Va ricordato che ai tempi di san Tommaso veniva data per scontata la legittimità della pena di morte, se questa era comandata dall’autorità.

5. Riporto ancora una volta quanto scrive il Catechismo della Chiesa Cattolica, che su questo punto si rifà esplicitamente al pensiero di San Tommaso:

“La legittima difesa delle persone e delle società non costituisce un’eccezione alla proibizione di uccidere l’innocente, uccisione in cui consiste l’omicidio volontario. «Dalla difesa personale possono seguire due effetti, il primo dei quali è la conservazione della propria vita; mentre l’altro è l’uccisione dell’attentatore… Il primo soltanto è intenzionale, l’altro è involontario» (San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II, 64, 7)” (n. 2263).
“L’amore verso se stessi resta un principio fondamentale della moralità. E’ quindi legittimo far rispettare il proprio diritto alla vita. Chi difende la propria vita non si rende colpevole di omicidio anche se è costretto a infliggere al suo aggressore un colpo mortale: «Se uno nel difendere la propria vita usa maggior violenza del necessario, il suo atto è illecito. Se invece reagisce con moderazione, allora la difesa è lecita… E non è necessario per la salvezza dell’anima che uno rinunzi alla legittima difesa per evitare l’uccisione di altri: poiché un uomo è tenuto di più a provvedere alla propria vita che alla vita altrui» (San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II, 64, 7)” (n. 2264).
“La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, i legittimi detentori dell’autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità” (n. 2265).

Sempre a tua disposizione, per ulteriori chiarimenti, ti ringrazio, ti saluto, ti seguo con la preghiera e ti benedico.
Padre Angelo