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Quesito

Reverendo Padre Angelo,
vorrei conoscere la sua opinione su una questione di morale sessuale.
Studiando al liceo la filosofia di Tommaso d’Aquino e la sua enunciazione delle quattro leggi (eterna, naturale, umana, divina), già teorizzate da San Paolo nelle sue Epistole, mi sembra di aver capito che chi commette un peccato impuro viola non solo la legge divina, ma anche quella naturale, come del resto anche quella eterna e umana.
Pertanto mi sono chiesto se sia possibile, e per me lo è, che una persona possa tendere alla castità anche non conoscendo i dettami della religione cristiana, ma bensì ci possa arrivare anche basandosi sull’ordine naturale delle cose. Infatti San Paolo dice che: “Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono” (Rm 2,14-15).
Nietzsche direbbe in tal caso che “chi non può dare cattivi esempi dà buoni consigli” e mi si potrebbe ancora obiettare che io stia facendo come la volpe con l’uva, cioè perché non sono in grado di avere una vita sessuale soddisfacente, sto minimizzando l’importanza della sessualità.
Invece per me la sessualità umana non è una gara in cui dilettarsi a primeggiare per vantarsi con gli altri, bensì un atto naturale che può e deve essere compreso all’interno di un’indagine seria della natura stessa prima ancora di fare ricorso alla dottrina della Chiesa. Fermo restando però che, poiché il peccato offusca anche la mente umana, tale ricorso all’opinione della religione è talvolta non solo doveroso ma anche necessario.
Per favore mi dica lei se sono nel giusto.
La ringrazio e la saluto.
A.


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. i dieci comandamenti (compresi il sesto e il nono, che suonano così: non commettere atti impuri e non desiderare la donna d’altri), prima di essere un dettato della Divina Rivelazione, sono leggi scritte nel cuore dell’uomo.
Per questo nei loro principi generali sono conosciuti da tutte le culture. Ad esempio, anche nell’antica Roma o in Grecia si condannava l’adulterio. La stessa cosa viene fatta anche oggi nelle altre religioni non cristiane.
Dal momento che sono scritti nel cuore dell’uomo e tutti gli uomini grosso modo li riconoscono, non era strettamente necessario che Dio li proponesse all’umanità per mezzo di Mosè.

2. Ho detto che i dieci comandamenti, almeno nei loro principi generali, sono conosciuti in tutte le culture.
Ma in tante altre determinazioni pratiche subiscono degli oscuramenti, a seconda del grado di viziosità raggiunto.
Sappiamo che il peccato comporta anche la conseguenza di offuscare il giudizio di coscienza.
Per questo il Catechismo della Chiesa Cattolica scrive: “Quantunque accessibili alla sola ragione, i precetti del decalogo sono stati rivelati” (CCC 2071). S. Agostino ne porta la ragione: “Affinché gli uomini non potessero lagnarsi che la legge era incompleta, Dio ha scritto sulle tavole della legge ciò che essi non leggevano nei loro cuori. Certamente questi precetti vi erano scritti, ma non volevano leggerli.
Dio li mise sotto i loro occhi perché fossero costretti a vederli nella loro coscienza: la voce di Dio, avvicinandosi in qualche modo agli uomini esteriormente, li costrinse a rientrare nel loro intimo” (In Psalm., 57, 1).
S. Tommaso osserva che i precetti del decalogo hanno una ragionevolezza tale che ogni persona, sebbene non molto istruita, può subito comprendere con facilità. “Essi tuttavia hanno bisogno di essere enunciati, perché in alcuni casi può capitare un pervertimento dell’umano giudizio” (Somma Teologica, II-II, l00, 1).

3. Il Magistero della Chiesa, quando esprime la valutazione morale sui disordini sessuali, dice così: “Ora, secondo la tradizione cristiana e la dottrina della Chiesa, e come riconosce anche la retta ragione, l’ordine morale della sessualità comporta per la vita umana valori così alti che ogni violazione diretta in quest’ordine è oggettivamente grave” (Persona humana l0).
Come vedi, ho evidenziato l’espressione e come riconosce anche la retta ragione.
Infatti come tu stesso hai rilevato c’è già la voce della coscienza che parla. S. Paolo dice: “Quanto la legge esige è scritto nei loro cuori” (Rm 2,15).
E il Concilio Vaticano II ricorda che “nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente dice alle orecchie del cuore: fà questo, fuggi quest’altro” (Gaudium et spes, 16).
Per retta ragione si intende retta coscienza.

4. Ma i peccati impuri guastano il giudizio di coscienza, e per tal motivo molti, inveterati nel male, non vedono più la chiarezza della norma.
Questo era il pensiero del filosofo pagano Aristotele, vissuto nel secolo IV avanti Cristo. Egli aveva osservato che “l’intemperanza corrompe il giudizio della ragione: non però quello della ragione speculativa, per il quale si comprende che i tre angoli di un triangolo equivalgono a due angoli retti, ma quello della ragione pratica, e cioè dei giudizi che presiedono l’agire umano” (Etica a Nicomaco, Lib. 6, cap. 5).
San Tommaso, che è stato un suo grande commentatore, aggiunge: “I vizi carnali tanto più estinguono il giudizio di ragione (o della retta coscienza) quanto più allontanano dalla ragione” (Somma teologica, II-II, 53, 6, ad 3).
Come vedi, San Tommaso dice che quanto più sono delle autentiche perversioni, tanto più estinguono il giudizio di ragione”. Non dice soltanto che corrompono, ma addirittura estinguono.
E questo è il motivo per cui alcuni non solo non si vergognano di determinati comportamenti, ma addirittura ne fanno un motivo di conquista civile e di orgoglio.

5. E adesso ti porto una testimonianza recente di un autore non cristiano.
Non è direttamente una testimonianza sui disordini dell’impurità, ma sulla bellezza della castità. Ciò significa che determinati valori non sono solo cristiani, ma appartengono all’umanità in quanto tale, perché sono scritti nel cuore di tutti.
È la testimonianza di Gandhi, apostolo della non violenza: “Non si pensi che la castità è impossibile perché è difficile. La castità è il più alto ideale, non deve quindi far meraviglia che richieda il più alto sforzo per raggiungerla. Una vita senza castità mi sembrerebbe insipida e animalesca: il bruto, per natura sua, non ha autocontrollo, l’uomo è uomo perché è capace di averlo” (GANDHI, La mia vita per la libertà, pp. 193-194).
Attorno ai 30 anni, insieme alla moglie, Gandhi fece voto solenne e perpetuo di castità: “Quando io guardo indietro mi sento pieno di gioia e di meraviglia. La libertà e la gioia che mi riempirono dopo aver fatto il voto di castità, non l’avevo mai sperimentata prima del 1906 (data del suo voto solenne).
Prima di fare il voto io ero in balìa di ogni tentazione impura a ogni momento. Ora il voto diventò per me uno scudo sicuro contro la tentazione.
La grande potenza della castità divenne in me sempre più palese. Ogni giorno che è passato mi ha sempre fatto comprendere di più che la castità è una protezione del corpo, della mente, dell’anima. Il praticare la castità non diventò il praticare un’ardua penitenza, fu invece una consolazione ed una gioia. Ogni giorno mi svelava una fresca bellezza: è stata per me una gioia sempre crescente” (Ib.).
Ed ecco come è nata nell’anima di Gandhi la decisione per la castità: “Io vidi con chiarezza che uno che aspira a servire gli altri in modo totale non può non fare a meno di fare il voto di castità. Il voto di castità mi diede la gioia: diventai libero e disponibile a ogni servizio del prossimo” (Ib.).

6. Ti porto infine la testimonianza di sant’Agostino, prima della sua conversione.
Sant’Agostino, infangato nell’impurità, cercava anche umanamente una via d’uscita.
In quel mentre avverte il fascino della purezza che lo chiama per una via più bella e degna della persona.
Ecco le sue parole: “Ma da quella parte, dove tenevo rivolta la faccia e trepidavo di fare il passo, mi si mostrava la casta bellezza della continenza, serena e pudicamente lieta, invitandomi con tratto onesto ad andare senza dubbi, stendendo per accogliermi ed abbracciarmi le pie mani tra una folla di buoni esempi; fanciulli e fanciulle, giovani molti e gente d’ogni età, vedove austere e vergini anziane; ed era in tutti la stessa purezza non sterile, ma feconda madre di figli della gioia a Te sposo, o Signore. E mi faceva un sorriso d’incoraggiamento come per dirmi: ‘‘E tu non riuscirai a fare quello che hanno fatto questi e queste? Forse che questi e queste ne hanno la forza in se stessi e non piuttosto nel Signore loro Dio?’ (…). Tale era il combattimento che si svolgeva nel mio cuore: me contro me” (Confessioni, VIII, 11-12).

7. Le violazioni della legge naturale costituiscono una ferita per la persona umana.
E allora potrei parlare dell’insoddisfazione che l’impurità lascia in chi se ne imbratta. Molto spesso i peccati sessuali lasciano interiormente desolati.
Ma mi pare che sia sufficiente quanto ti ho scritto.

8. Sono contento che tu avverta il valore umano, prima ancora che cristiano, della purezza. Ti fa onore.
Sono ancor più contento perché se le impurità costituiscono una ferita, che necessita di essere rimediata se non vuole degenerare in cancrena, la purezza ripaga oltre ogni misura.
Il più delle volte non ce ne accorgiamo. Ma avviene sempre così.
Io sono convinto che Sant’Agostino e don Bosco non si sbagliavano quando applicavano alla purezza quello che Salomone dice della sapienza: “Insieme con essa mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile” (“venerunt autem mihi omnia bona pariter cum illa”, Sap 7,11).
Sì, insieme con la purezza ci sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile.

Ti ringrazio della domanda, ti seguo con la preghiera e ti benedico.
Padre Angelo