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Caro Padre Angelo,
sono una ragazza di 23 anni, da sempre cattolica. Ho poi vissuto un periodo di cca 5 anni in cui la mia fede era sempre la stessa, ma non ero vicina ai Sacramenti e anzi ero purtroppo dedita a molti peccati, anche se ho sempre continuato a relazionarmi col Signore e la Mamma celeste.
Recentemente, nel triduo di Pasqua 2018 (forse perché pregai di più o forse perché mi inginocchiai ai piedi di una statua dell’Addolorata, o forse perché ho mostrato un piccolissimo barlume di amore per Gesù, nel mio desiderio intimo di volerlo consolare un po’ nella Passione) è accaduto qualcosa. La mia voglia di preghiera, di lode, di istruzione spirituale e molte altre cose, tra cui il desiderio di non peccare più, si sono presentati a me dall’esatto giorno di Pasqua…e questa io sono convinta che sia la conversione che il Signore mi ha donato. Io gli dico sempre ultimamente infatti “Signore, mi hai liberato dal mio fango, non ti ringrazierò mai abbastanza”. Ho iniziato a fare molte confessioni, i peccati di tanto in tanto mi sono stati mostrati da Dio e io sono subito andata a confessarmi. Mi sto avvicinando alle Scritture, adoro il libro dei Salmi e ciò che leggo suscita ora in me grande emozione! Ora…vorrei sottoporre alla sua attenzione un quesito. Proprio oggi, stando in sala parto (tirocinio infermieristica) ho assistito al parto naturale. E mi sono chiesta a motivo dei dolori fisiologici: “Se il parto comporta dolore è perché Dio volle così” e subito ho ricordato la Genesi. E qui un’altra domanda: “Ma Dio ci ama infinitamente… possibile che davvero il dolore del puerperio sia un castigo divino? Dunque Dio non deve amarci poi così tanto se ha preposto per noi donne così tante sofferenze, cosa che non ha fatto con l’uomo” e via così con moltissimi dubbi che per un pò mi stavano anche indisponendo nei confronti di Dio. So bene che questi dubbi e tristezze sono recati dal male, dal momento che quanto più mi voglio avvicinare a Dio, tanto più mi sento tentata. Tuttavia, molti passi della Bibbia, Vecchio e Nuovo Testamento sembrano remare contro la donna. Anche San Paolo, nella lettera a Timoteo (2,12) afferma in sintesi che la donna deve essere sottomessa al marito, perché questo riporta alla Genesi “verso tuo marito ti spingerà la tua passione,ma egli vorrà dominare su di te” e quindi a un comando divino. Ad una lettura “alla lettera” sembrerebbe quasi che Dio metta le basi per l’atteggiamento misogino, che ancora oggi noi donne siamo costrette a subire…Come possiamo spiegare tutto ciò? Inoltre, si legge anche nella Scrittura che la donna deve portare il velo nel Tempio del Signore, perché ha come capo il marito, mentre l’uomo ha la sua gloria in Dio e ha come capo Dio. Tutte queste affermazioni sembrano (ad una come me, impreparata) nettamente in contraddizione con il fatto che per Dio siamo tutti uguali e amati.
La Chiesa pone molto l’attenzione sulla donna e la esalta come stupenda Creazione divina…ma poi ecco che nelle Scritture, incluso Nuovo Testamento, si ritrovano passi di tutt’altra natura.
Mi scusi se mi sono dilungata in proposito, tutto ciò che le ho domandato è perché voglio avvicinarmi sempre di più alla Verità e non cadere nell’errore di pensare a Dio come un Castigatore o alle Scritture come il fondamento per giustificare l’inferiorità della donna, protratta fino ai nostri giorni, dove più dove meno.
La ringrazio Padre, anche per tutte le altre risposte illuminanti trovate sul sito di Amici Domenicani e la ricordo con affetto nella mia preghiera.
Sia lodato Gesù.
A.


Carissima,
1. prima di giungere alla questione che mi hai posto desidero sottolineare il momento in cui hai ricevuto la grazia della conversione: il giorno di Pasqua.
La Pasqua per noi non è solo un devoto ricordo di quanto avvenne nella passione, morte e risurrezione del Signore.
Ma è il memoriale, che significa rendere presente l’evento e rendere efficace la grazia che lo accompagna.
È sufficiente che noi anche solo per poco apriamo la porta al Signore e subito avvertiamo la grazia dell’evento.
Pasqua, che significa “passaggio”, è vivere l’evento della passione e della risurrezione del Signore e sperimentarne la grazia.

2. La grazia che accompagna la passione e la morte del Signore è quella del pentimento dei nostri peccati, è quella del morire all’uomo vecchio.
Tu l’hai vissuta sentendo anzitutto la spinta alla confessione dei tuoi peccati.
Non solo, ma hai anche iniziato una vita di conversione permanente perché ti sei autodeterminata alla confessione regolare e frequente. E questo è la stessa cosa che mettersi in un cammino permanente di conversione.

3. La grazia della risurrezione del Signore è quella di sbocciare ad una vita nuova.
Questa vita nuova è la vita in Cristo. E tu l’hai percepita così: sentendo il desiderio vivo di conoscere di più Nostro Signore Gesù Cristo e di stare di più con Lui.
Perché leggere le Sacre Scritture è la stessa cosa che mettersi a fianco di Gesù e ascoltarlo mentre ci parla.
Pregare con i Salmi è la stessa cosa che pregare con lui e con i suoi stessi sentimenti.

4. Se posso darti un  consiglio: ripeti ogni anno quello che hai fatto per la Pasqua del 2018. Aprigli la porta con qualche pratica particolare e sperimenterai di anno in anno qualche aspetto nuovo della grazia della Pasqua.

5. Adesso invece vengo alle tue precise domande.
Innanzitutto: “possibile che davvero il dolore del puerperio sia un castigo divino?”
Non è un castigo.
Sappiamo che nel Paradiso terrestre i nostri progenitori potevano mangiare dell’albero della vita. Questo cibo misterioso li rendeva immuni dalla sofferenza e dalla morte.
I teologi hanno classificato questa immunità all’interno di una grazia particolare che li avvolgeva anche in altri ambiti della vita.
Questa grazia è stata coniata con un termine particolare: i doni preternaturali.
È naturale per l’uomo provare fatica nel lavoro della terra, così come è naturale per ogni vivente la sofferenza durante il parto.
Non si tratta dunque di un castigo, ma della perdita di un dono preternaturale.

6. Certo non è paragonabile il dolore della donna nel parto a quello dell’uomo quando lavora.
Secondo i disegni di Dio espressi nella natura la donna è più coinvolta dell’uomo nella generazione di una persona.
È lei che porta per nove mesi la fatica della gestazione.
È lei che soffre anche fisicamente i dolori del puerperio.
È a lei che è affidata quella piccola creatura per il suo sostentamento e per tutte le altre cure, che sono più materne che paterne.
Indubbiamente la maternità coinvolge in maniera straordinariamente più grande che la paternità
Ed è per questo che Dio dice all’uomo: “figlio, ricordati dei dolori di tua madre” (Sir 7,27).
Non sono enumerabili i dolori e i travagli di una madre verso i figli.
Sono di ogni genere.
Solo chi è passato attraverso la maternità li sa discernere tutti.

7. È anche all’interno di questa logica che Giovanni Paolo II al termine dell’enciclica “Salvifici doloris” ha detto che “la sofferenza è presente nel mondo per sprigionare amore” (SD 30).
E poi ha soggiunto “in chi soffre” e “in chi si dedica a chi soffre”.
Il dolore del puerperio dunque secondo il disegno divino non è una condanna o un castigo, ma serve per sprigionare amore: nella madre e poi nei figli verso la madre: “figlio, ricordati dei dolori di tua madre” (Sir 7,27).

8. Circa la sottomissione della donna è illuminante ciò che San Paolo dice in Ef 5,21-22: “Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore”.
È chiaro dunque che la sottomissione della donna al marito non è unica, perché si sottintende anche la sottomissione del marito alla moglie: “Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri” (Ef 5,21-22).

9. Circa altre espressioni che sembrano anacronistiche (come ad esempio il portare il velo) mi piace ricordare ancora una volta quanto si legge in un documento della Commissione teologica internazionale: “Se gli scritti del Nuovo Testamento considerano la donna nella sua subordinazione all’uomo (cfr. 1 Cor 11,2-16; 14,33-36ss) – il che è comprensibile per l’epoca -, ci sembra tuttavia che su questo problema lo Spirito Santo ha condotto la cristianità contemporanea, unitamente al mondo moderno, ad un’intelligenza migliore nelle esigenze morali del mondo della persona” (Principi di morale cristiana, dic. 1974).
Ciò fa capire che alcune espressioni e anche alcuni comandi sono comprensibili nel loro contesto storico. Ma non si tratta di volere divino valevole per tutti i tempi.
Si tratta di qualche cosa di analogo ad altri argomenti come quello dei cibi circa i quali il concilio di Gerusalemme fece divieto, come quello di “astenersi dagli animali soffocati e dal sangue” (At 15,20).
A questo proposito la Bibbia di Gerusalemme commenta: “Il sangue è l’espressione della vita, che appartiene solo a Dio, e il divieto della Legge in proposito (Lv 1,5) era così grave da spiegare molto bene la ripugnanza dei Giudei a dispensarne i pagani”.
Per questi gli Apostoli dissero di astenersi dal sangue. Ma si tratta di una prescrizione disciplinar di ordine contingente, e pertanto mutabile.

Nella speranza di aver portato chiarezza, ti auguro grande progresso nella vita cristiana, ti ricordo al Signore  e ti benedico.
Padre Angelo