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Quesito
Caro Padre Angelo,
mi chiamo Andrea e vorrei spiegarle la mia situazione confidando in un suo consiglio.
Cercherò di essere il più chiaro possibile. Allora, fino a non molto tempo fa ero lontano da Dio, molto lontano, ero dedito alle peggiori nefandezze di cui un giovane può macchiarsi: droghe leggere, alcol ed atti impuri. Per completezza di informazione dico che benché fossero attività a cui mi dedicavo, tuttavia non ho mai esagerato fino a portarle all’estremità, ovvero al vizio, alla tossicodipendenza. Però commettere certe cose neanche mi turbava, la trasgressione era normalità, non avevo rimorsi di coscienza.
Poi però è accaduto che ho iniziato a sentire dentro me quella vocina che all’inizio è sottile e flebile, poi diventa chiara e quasi imperativa: “ora basta! è arrivato il momento di cambiare, di navigare verso nuove rotte”.
E proprio allora ho sentito il bisogno di Dio. Il bisogno di salvezza e di Verità.
Mi sono proposto di non cadere più in certe mancanze e sono andato a confessarmi dal mio parroco. Ma sento che la mia conversione non è completa…
io è vero che sento il bisogno del Signore, ma mi sento ancora piuttosto lontano da Lui. Il problema che poi mi tormenta è il fatto che io, benché mi sia proposto di non offendere più Dio, tuttavia non sono sicuro di aver provato quel sincero pentimento, quel senso di contrizione, quella fisica stretta al cuore che un figlio prova quando chiede perdono al proprio padre.
Forse è proprio per questo che non sento ancora Dio vicino a me: non lo sento come presenza viva ma piuttosto come idea.
Spero di aver reso la mia condizione e confido profondamente che lei possa aiutarmi. Che cosa devo fare? come faccio a pentirmi sinceramente?
Grazie per la sua risposta,
A lei e a tutti auguro ogni bene,
Andrea
Risposta del sacerdote
Caro Andrea,
1. il Signore l’hai sentito vicino, ne sono certo, soprattutto ai tempi della tua conversione.
Immagino quello che avrai sentito dopo la prima confessione e anche dopo i tuoi incontri con Lui.
2. Ma adesso ti pare di non sentirlo più vicino. Dici che ti manca il vero pentimento, la stretta al cuore che si prova quando si ha la consapevolezza di aver fatto soffrire il padre.
A dire il vero, non è necessario che il nostro dolore sia accompagnato dai sentimenti corporali. Se ci sono, tanto meglio. Ma si richiede il dolore spirituale, e cioè la consapevolezza che si è fatto un male molto grande, di aver estromesso Dio dalla nostra vita, di essere stati la causa della morte di Gesù a motivo dei nostri peccati.
La sincerità di questo dolore spirituale si ricava dall’umiltà che ci dovrebbe accompagnare, simile a quella del pubblicano della parabola evangelica: “Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore” (Lc 18,13).
E si desume anche dalla ferma volontà di non offenderlo più.
3. Talvolta il Signore permette che sentiamo una certa lontananza perché lo cerchiamo ancora e con maggiore intensità.
San Bernardo, a quelli che si sentivano quasi respinti dal Signore perché emotivamente non provavano più nulla, diceva che lo Sposo (Gesù) non se ne è andato, ma si comporta così perché si risvegli da parte nostra l’intraprendenza dell’amore.
San Tommaso dice che l’amore si ravvia anche emotivamente quando si accompagna alla penitenza e alla mortificazione.
Secondo san Tommaso la mortificazione è la molla della devozione, è la molla del fervore.
Usando la parola “molla” da a intendere che la si fa scattare subito.
E ho la persuasione che sia proprio così.
4. Avanti dunque, caro Andrea. Il Signore ti chiama ad intimità sempre nuove e sempre più profonde.
Perché tu corrisponda a queste iniziative della grazia ti assicuro la mia preghiera.
Ti saluto e ti benedico.
Padre Angelo