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Quesito
Caro Padre Angelo,
le volevo chiedere, se mi poteva descrivere, come si può definire l’inferno.
Risposta del sacerdote
Carissimo,
Gesù ha parlato molte volte dell’inferno, ne asserisce l’esistenza, l’eternità e le pene.
Ma tu mi chiedi di descriverlo e di definirlo.
Non è facile dirlo con una parola.
A questo proposito ti riporto quanto hanno scritto alcuni autori.
1. “Il dogma dell’inferno, visto nell’ l’insieme della Rivelazione e alla luce degli altri dogmi, può essere un alimento per la nostra vita di fede.
Diciamo: visto nell’insieme della Rivelazione e alla luce degli altri dogmi.
Non bisogna infatti falsare le prospettive.
L’inferno non è la verità centrale del cristianesimo, sulla quale si organizzerebbe la nostra vita terrena nel timore e nel tremore.
La nostra fede, la nostra speranza, la nostra carità a questo solo tendono Dio conosciuto, contemplato, eternamente amato.
Il nostro orizzonte è la vita eterna nel Regno.
Ma ogni giorno l’uomo può rifiutare di seguire questo fine, negare l’inclinazione del suo destino, non voler ritornare a Dio da cui proviene; limitarsi a se stesso e preferirsi a Dio.
Il dogma dell’infelicità eterna non è che l’inverso del dogma dell’eterna beatitudine.
Per gli uomini in stato di grazia la vita eterna si inizia sulla terra, ma per coloro che continuamente e lentamente optano contro Dio, la morte eterna anch’essa si inizia quaggiù.
La linea misteriosa che separa la città del male dalla città di Dio passa ad ogni istante nel cuore di ciascun uomo, secondo l’amore che ne ispira la vita. Il cielo e l’inferno sono già in noi” (dal volume L’Enfer a cura di Bardy, Ed. de la Revue des Jeunes, pp. 9-10).
2. Scrive Dostojewski: “Che cos’è l’inferno? La sofferenza di non poter più amare”.
Commenta M. Blondel: “Questa sofferenza radicale il dannato se l’è scelta durante la sua vita terrena; essa comanda inesorabilmente la sua vita futura. Non si comincia ad amare il giorno dopo la morte. Chi è vissuto nell’odio la morte ve lo cristallizza per sempre. Di qui quell’incoercibile rabbia di tutti contro tutti e contro Dio. L’inferno è stato fondato da Lucifero e dai suoi angeli nell’istante stesso della loro ribellione, del loro rifiuto di Dio. Tutto il contenuto dell’inferno sgorga da questa prima sorgente infuocata. A quest’opera di maledizione il dannato si associa, a sua eterna rovina” (dal volume L’Enfer a cura di Bardy, Ed. de la Revue des Jeunes, pp. 83-84).
3. “Dire che la "città dolente" e i suoi supplizi sono opera della "somma Sapienza e del primo Amore" significa attribuire a Dio una responsabilità che grava esclusivamente sugl’impenitenti…
Si pensi alle pitture così profondamente commoventi del Beato Angelico: invece di presentarsi un magnifico atleta, che respinge e schiaccia i peccatori che si coprono il volto impauriti, che fuggono e si curvano sotto il braccio vendicatore, il pio frate di Fiesole ci offre un Cristo seduto, addolorato in volto, ma con la serenità di chi compatisce, che alza una mano, in cui appare la ferita del chiodo ancor sanguinante, e con l’altra apre la tunica e scopre il suo cuore ferito; dinanzi a questa figura i peccatori impenitenti si voltano e si battono il petto per attribuire a se stessi le loro colpe e indicare il rimorso inestinguibile che li rode e li brucerà senza fine” (M. Blondel, La philosophie et l’esprit chrétien, t. II, pp. 356-358).
4. Nella riflessione teologica, l’esclusione definitiva dalla vita eterna viene presentata come «pena del danno» e «pena del senso».
La prima fa sì che tutte le qualità proprie della persona, già stravolte dal peccato durante la vita terrena, subiscano un ulteriore pervertimento, a una lacerazione più profonda. Così l’interiorità diventa una chiusura maggiore verso gli altri e verso Dio stesso; il libero arbitrio diventa una più caparbia scelta del male; la coesistenza assume ancora più drasticamente la forma di rivalità; l’autotrascendenza, anziché nell’infinita perfezione dell’essere di Dio, si realizza nell’infinita perversione del nulla.
La «pena del senso» è una sofferenza a di tipo fisico, spesso richiamata dal «fuoco» di cui para la predicazione di Gesù e che non può essere ridotto a pura immagine simbolica, sebbene sia difficile stabilirne esattamente la natura. 0vviamente questa pena non ha nulla a che fare con le descrizioni fantasiose dei racconti popolari, riprese anche da artisti e poeti. L’esistenza dell’inferno e la sua eternità sono state definite più volte dal magistero ecclesiastico (nel simbolo Quicumque e nel Concilio Lateranense IV; DS 76 e 801) (Mondin, Dizionario enciclopedico di filosofia, teologia e morale, voce Inferno, p. 381).
Il 13 luglio 1917 la Madonna a Fatima ha fatto vedere l’inferno ai tre pastorelli e ha insegnato una preghiera che suona così: “o Gesù, perdona le nostre colpe, preservaci dal fuoco dell’inferno, porta in cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della tua misericordia”.
Ti ringrazio della domanda, ti saluto, ti seguo con la preghiera e ti benedico.
Padre Angelo.